Risorse

«Io non voglio fallire»: la riscossa di un’imprenditrice truffata

«Non siamo dei depressi siamo disperati, soli e masticati ma soprattutto non siamo degli evasori fiscali ma persone in difficoltà che dopo anni di pagamenti in regola chiedono per una volta di essere aiutati informando gli enti competenti della situazione. Io per riuscire a pagare i miei dipendenti ho dovuto chiedere la rateizzazione dell’Iva. La mia vera fonte di ispirazione è stato l’articolo 53 della Costituzione: “lo Stato non può rubare il pane ai contribuenti”». A pronunciare queste parole, venate di dolore ma attraversate da forza e volontà di riscatto, Serenella Antoniazzi, imprenditrice di Concordia Sagittaria (Venezia) autrice del libro “Io non voglio fallire”  edito da Nuovadimensione. Il volume ricostruisce il triennio di crisi vissuto dalla sua azienda, A.G.A. snc, operante nel settore della levigatura del legno.
 
I problemi iniziarono nel 2012, a seguito del fallimento di un importante committente (poi ricomparso sul mercato con un altro nome), che provocò un insoluto consistente. Serenella Antoniazzi fece di tutto per tenere in piedi l’attività, ma purtroppo non bastò. Pensò anche al suicidio, ma prima di dar seguito al suo proposito scrisse al giornale La Nuova Venezia. 
La sua lettera, pubblicata il 16 dicembre 2012, le permise di conoscere un altro imprenditore schiacciato dai debiti che le offrì il suo sostegno. Così, insieme ad altre aziende dello stesso committente intraprese una class action. Da qui un nuovo inizio, la ripresa dell’attività, e la risoluzione graduale dei debiti. 
 
«Non ho mai chiesto la carità ma solo tempo per pagare i miei debiti, non sono una vittima ma sono stanca di essere spremuta come un limone. Con il mio libro spero di riuscire ad aiutare almeno uno dei tanti disperati che stanno vivendo quello che ho vissuto io».

 
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Quando la startup è una banca tutto cambia

Il digital sta cambiando drasticamente tutto. 

I servizi in primis stanno subendo uno stravolgimento epocale.

A nessuno oggi verrebbe in mente di aprire un negozio di dischi, una libreria o un centro per lo sviluppo di fotografie. Figuriamoci una banca!

Gli sportelli in Italia

In Italia, nei prossimi anni, assisteremo ad una chiusura di massa che coinvolgerà il settore bancario. Se pensiamo che da noi c'è il maggior numero di sportelli bancari per abitante d'Europa e che in banca le nuove generazioni non ci vanno più, c'è da chiedersi quale sarà l'evoluzione dell'intero sistema.

La banca del futuro. Ma cosa vorranno i clienti?

Ho già scritto il 3.5.16 sull'argomento, concludendo che le Banche non seguono i bisogni degli utenti. Sono ferme al palo. 

Allora ecco la risposta (parziale) che forse avremo nel 2017: Buddybank by Unicredit.

Buddybank sarà attiva dal primo gennaio 2017 ed è controllata al 100% da UniCredit. Con un investimento iniziale di 50 milioni di euro, la startup ha un target di 1 milione di clienti in Italia in 5 anni.

Buddybank ha il sogno di diventare compagna di vita dei propri clienti per le operazioni di tutti i giorni, dalla prenotazione in un ristorante, alla pianificazione del prossimo viaggio di lavoro o di piacere. L’obiettivo del progetto Unicredit, infatti, è proprio all’interno del nome dato alla nuova banca. 

La traduzione di buddy in italiano è amico, quello che chiami quando non vuoi annoiarti, la persona con la quale condividi le esperienze più divertenti.

Buddybank offrirà 3 prodotti finanziari classici - conto corrente, carta di credito/debito e prestiti personali - e un servizio di chat e via telefono 24 ore al giorno 7 giorni su 7

Grazie a tecnologie innovative sviluppate internamente, il cliente sarà riconosciuto in pochi secondi dall'operatore senza dover premere mille tasti o rispondere a domande di sicurezza e potrà aprire un conto corrente in pochi minuti, ottenere finanziamenti istantanei, fare trading seguendo i movimenti dei top trader, risparmiare con un obiettivo personalizzato, come partecipare alla maratona di New York pensando solo a correre perché a tutto il resto penserà la banca.

Ecco la video presentazione del founder Angelo D'Alessandro

Che dire? 

Di certo si tratta di una start-up particolare con un "padrone" dietro da miliardi di Euro. 

Dal video, però, sembra che ancora si ostenti un vecchio stile "giacca e cravatta", ma voglio essere fiducioso. Speriamo che almeno nei fatti saranno davvero digitalmente avanzati e vicini ai millenials più di come si intravede dalle immagini, dove, a dire il vero, spuntano più capelli bianchi che giovani nerd!

 Duccio 
Digital media instigator

 

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Renato Soru e la rivoluzione del fallimento

Della vicenda Soru/Tiscali, confesso di avere una lettura che, per quanto a me sembri oggettiva, e' del tutto viziata da un conflitto d'interesse professionale.
Nel 1995, prima che una qualsiasi compagnia telefonica entrasse nel mercato, c'erano una moltitudine di provider locali che, avventurosamente e coraggiosamente, iniziarono a fornire l'accesso alla rete.
 
La prima connessione gratuita. 
Con una mossa rivoluzionaria, Soru decise, dal marzo 1999, di offrire per la prima volta la connessione gratuita a Internet in Italia, TiscaliFreeNet. In un anno conquistò il 30% del mercato, che nel frattempo, proprio grazie a Tiscali, aveva visto triplicare il numero degli internauti. 
 
Erano gli anni della new economy
Delle aziende del settore tecnologico sorte dal nulla e, in pochissimo tempo, capaci di ottenere capitalizzazioni da capogiro e quotazioni stratosferiche: come la e.Biscom di Silvio Scaglia, oggi colpito da un mandato di arresto con l'accusa di frode, il gestore telefonico Blu, scomparso nel 2002, e Finmatica, fallita a dicembre 2004. 
Tiscali sbarcò in Borsa il 28 ottobre 1999 al prezzo di 46 euro per azione. Nel marzo dell'anno successivo toccò il suo massimo storico: 103,7 euro. Una capitalizzazione superiore alla Fiat.
 
Per vincere in Italia ci vuole il Tridente

Come recitava nel film "Il gioiellino" Remo Girone (nel ruolo di Tanzi della Parmalat), il senatore gli diceva: "in Italia per vincere ci vuole il Tridente d'attacco. Le 3 punte. Un giornale, una squadra di calcio e una banca!"
 
Renato Soru allora nel 2008 diventa editore dell'Unità, sponsorizza il Cagliari calcio, ma non riesce a comprare nessuna banca. Il tridente è incompleto e allora Soru si candida per le regionali della Sardegna.
 
Il crollo e la condanna
Dopo aver perso un infuocato scontro elettorale con Ugo Cappellacci nel 2009 ritorna alla guida dell'azienda e procede con la vendita di Tiscali Uk, che produceva il 69% dei ricavi del gruppo. 
Da allora l'azienda è un operatore solo italiano. Senza una Banca e con un attacco debole.
Infatti, ad agosto dello stesso anno Tiscali è inserita nella black list delle aziende che devono fornire alla Consob la propria situazione aziendale e finanziaria con cadenza mensile. 
 
Le azioni di Tiscali, le stesse che ora valgono 0,05 euro, arrivarono a costare 1.000 euro l'una, ed e' chiaro cosa ci capitò tra una quotazione e l'altra: Soru finì nella classifica di Forbes, e migliaia di piccoli investitori finirono sul lastrico.
 
Come può esistere un'azienda che in 20 anni non hai mai fatto un centesimo di utile, distribuito un dividendo, e che ha piu' debiti che fatturato? Francamente non ne ho idea, e' uno dei tanti misteri Italiani.
Di quell'Italia che usa un peso e una misura per i conflitti d'interessi di Berlusconi, e uno totalmente diverso per quelli di Renato Soru.
Oggi la sua capitalizzazione è pari a 160 milioni di euro e un'azione vale 0,05 euro.
 
Duccio
Digital media instigator
 
guarda il discorso delle 3 punte

 
 
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