Pochi lo sanno, ma "La solitudine dei numeri decimali" non è il secondo romanzo di Paolo Giordano.
Come il romanzo originale, a cui il titolo fu cambiato dall'editore (Mondadori, ndr) dal titolo originale scelto da Paolo Giordano per il libro (Dentro e fuori dall'acqua), anche io ho deciso di cambiare il titolo al romanzo dei numeri dell'ISTAT e tanto acclamati dal Governo attuale e tutta la stampa (non)indipendente, a parte un giornale.
Il Sole 24ore ed un suo autore. Luca Ricolfi.
Luca descrive con grande chiarezza come stanno realmente le cose in relazione a questa "ripresina" italiana.
I decimali ci sommergono.
Sigonri e signori ecco lo show dei decimali: "
Il Pil nel 2015 potrebbe crescere dello 0,9% anziché dello 0,6% o dello 0,7% precedentemente previsti. E nel 2016 potrebbe segnare un +1,5% anziché +1,4% come si pensava fino a ieri. L’indebitamento netto del 2016 potrebbe risultare del 2,3% anziché del 2,2% programmato dal Governo. Però se l’Europa si decidesse a darci il via libera, potremmo indebitarci di uno 0,2% in più. Il tasso di occupazione a settembre è diminuito dello 0,1% rispetto al mese precedente. E così si potrebbe continuare per qualche pagina"
Ad ogni decimale in più o in meno, invariabilmente, si accompagnano le consuete diagnosi di segno opposto sulle prospettive dell’Italia. Per il governo, ogni decimale in più o in meno è l’ennesimo segno che «finalmente» le cose stanno cambiando.
In questo balletto degli zero-virgola, Insomma, mi spiace metterla in modo così crudo, ma qui stiamo parlando di “quisquilie e pinzillacchere”, per dirla con Totò. Quando si parla di cambiamenti la cui ampiezza è prossima a quella dell’errore statistico o dell’errore di previsione, bisogna rendersi conto che la discussione può essere utilissima per capire in che direzione si sta andando, ma resta sostanzialmente muta per quel che riguarda la sostanza del problema, che è quello di misurare la distanza da una piena guarigione.
Il tasso di occupazione.
Perché è sull’occupazione, prima ancora che sulla produttività che l’Italia è più indietro rispetto alle altre economie avanzate.
Da quando è stata introdotto il vantaggio fiscale per chi assume "Jobs Act" ad oggi, l’occupazione è cresciuta di appena 185 mila unità e, sorprendentemente, la quota di lavoratori a tempo determinato (i famosi “precari”) non è diminuita ma è addirittura aumentata.
La quota dei precari non solo è un po’ maggiore ripsetto al 2104, ma è tornata a un soffio dal suo massimo storico (14,2%), toccato durante il governo Monti.
Perché quisquilie e pinzillacchere?
185 mila posti di lavoro sono un risultato comunque apprezzabile? Vediamolo in termini di costi e benefici.
Costi - Circa 12 miliardi, spalmati in 3 anni, per i soli assunti nel 2015.
Benefici - 185 mila assunzioni nel 2015 contro 159 mila nel 2014.
La differenza è trascurabile. Siamo nell'ordine di qualche decimale. Se poi si considera che nel 2014 l’economia andava decisamente peggio che nel 2015.
Se fossi il ministro del lavoro sarei piuttosto preoccupato…
Ottimismo privo di senso
I posti di lavoro che ci mancano sono circa 7 milioni.
Un milione perché tanti ne abbiamo persi durante la crisi del 2007-2014, e altri 6 milioni perché questa, già prima della crisi, era la nostra distanza rispetto ai paesi Ocse.
Ecco perché, quando vedo l'invasione giornalistica che dichiara i primi 20 mesi del governo Renzi un grande risultato, e le solite tabelle con uno zerovirgola in più, o un aumento di qualche decina di migliaia di posti nel numero di occupati, penso che siamo vittime delle calcolatrici scientifiche.
Con questi zerovirgola, incrociando le dita che non si abbatta una nuova crisi, e utilizzando la calcolatrice scientifica con parecchi zerovirgola, saremo un paese in linea fra circa 30 anni, quando Renzi avrà superato i 71.
Che poi è un numero non tanto piacevole nella cabala napoletana.
Good luck
Duccio
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