Vicino casa mia c’è un piccolo parco giochi
Mi capita spesso di passarci accanto, e quando succede in inverno ammetto di provare un certo fastidio, vedendo che ai piedi di ciascun albero di arance giacciono spiaccicati almeno tre/quattro frutti. Inevitabile, a quel punto, pensare a quante persone - magari golose di agrumi come me – potrebbero goderne. L’abbondanza, quando non viene valorizzata, è un treno perso.
Probabilmente un rosicamento simile al mio devono averlo provato in molti, se a un certo punto qualcuno ha ideato e lanciato la piattaforma Falling Fruit. Il progetto, interattivo e partecipativo, consente agli utenti di segnalare la presenza di frutta, verdura e legumi. Risorse, queste, ancora disponibili perché in fase di coltivazione in campi privati o addirittura situate su piante ed alberi in luoghi pubblici.
La piattaforma Frutta Cadente è stata ideata da Caleb Philips ed Ethan Welty e permette di geolocalizzare le aree in cui effettuare la raccolta urbana, come pure il periodo più indicato per ciascun prodotto.
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L’obiettivo non è, a dispetto di quello che potrebbero pensare i maligni, soltanto quello di poter mangiare senza pagare (a scrocco, per dirla brutalmente) ma anche stimolare e potenziare le connessioni tra persone e organismi verdi, che condividono il medesimo spazio cittadino.
“Falling Fruit è un modo per far tesoro della generosità delle strade, spesso data per scontata o semplicemente ignorata. Quantificare le risorse libere e potenzialmente accessibili a tutti aiuta ad esplorare le città ed evitare di sporcare i marciapiedi”. Così si legge sul sito del progetto. L’idea di Caleb Philips ed Ethan Welty è già attecchita, anche se non mancano da parte degli utenti le segnalazioni connesse al funzionamento ancora altalenante della piattaforma.
L'archivio online del green & free
Frutta e verdura indicate sono circa 2.500 per un totale di 1.400.000 posizioni dislocate in tutto il mondo. Le aree più generose sono, inevitabilmente, quelle di campagna. In Europa il contributo più sostanzioso arriva da Francia (Versailles), Polonia (Varsavia) e Svizzera.
In Italia le città con più prodotti liberi sono Roma e Milano; non solo Villa Doria Phampilj e Villa Glori (Roma), ma anche zone centrali come Regina Giovanna e Piazzale Bacone.
Negli Stati Uniti le maggiori quantità di tesoro verde sono concentrate nelle aree di Spokane Valley, Seattle, San Francisco e San Diego e Phoenix. Le segnalazioni in America Latina e Australia sono, invece, ancora poche.
La piattaforma Frutta Cadente mette inoltre a disposizione degli utenti gli elenchi, divisi per Paese, delle organizzazioni impegnate nella raccolta di cibo in spazi pubblici, come pure della distribuzione dello stesso.
Particolarmente attivi sono Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito e, negli Usa, gli Stati dell’Arizona, della California, del Colorado, dell’Oregon e di Washington. I prodotti più diffusi, invece, sono, su base globale, ciliegie, mele, pere, olive, e nocciole.
Giugno per voi è innanzitutto il mese di delizie come nespole e ciliegie? Ricordatevi di fare una puntatina a Villa Torlonia e passare da Via di Valle Aurelia non appena arriverà la bella stagione
Continua...Vivi Bistrot, da pioniere del bio a fertile “capofamiglia”
12.10.2017 12:54Crowdfunding, microcredito, prestito d’onore
A oggi, chi ha una buona idea dispone di svariate opzioni, per mettere insieme i soldi necessari a realizzarla. La rete, peraltro, è un sostegno prezioso nell’ottica del passaparola, così lo scambio di informazioni su vasta scala amplifica enormemente chance e modalità potenziali di finanziamento.
A ciò si aggiunge il fatto che alcuni settori produttivi sono diventati, in un certo senso, di tendenza, quindi - tecnicamente – raggiungere il pubblico è relativamente semplice (fermo restando che riuscire a imporsi sulla concorrenza mantenendo una posizione stabile è, comunque, un’altra storia).
Tuttavia ancora dieci anni fa, per quanto con il senno di poi possa sembrare incredibile, avviare ex novo un’attività nel settore biologico richiedeva un mix di tenacia, perseveranza, contatti e disponibilità di risorse materiali certamente non alla portata di tutti. Vivi Bistrot, locale situato nel cuore di Villa Pamphili ne è la prova.
Tutto è cominciato con un picnic…
Roma, 2007. Daniela e Cristina, due amiche alla soglia dei 35 anni da poco sposate e mamme, organizzano un’uscita di gruppo nel parco romano. Un’occasione, questa, per ritagliarsi una pausa dal tran tran della vita metropolitana immergendosi in uno spazio (anche metaforico) all’insegna della pigrizia, della bellezza e del buon cibo. Uno stacco, una parentesi oziosa a pochi passi da casa.
L'idea
Da lì nasce l’idea di creare un locale in cui offrire cibo sano godendo di una cornice naturale. In quel momento, però, concetti quali quello della sostenibilità, dei prodotti a Km0, dei packaging eco-friendly erano comunque “patrimonio” di una nicchia, una ristretta cerchia di estimatori e addetti ai lavori. Così, Daniela e Cristina iniziarono a viaggiare, e frequentare fiere e workshop.
Si rivelò necessario autogestirsi anche dal punto di vista finanziario, attingendo a risparmi personali e vendendo beni di proprietà. Le banche, infatti, costituzionalmente restie a investire in iniziative pionieristiche e sperimentali, si chiamarono fuori, e iniziative quali quella della raccolta fondi dal basso erano di là da venire.
Vivi Bistrot è oggi una realtà consolidata e diversificata
La motivazione, l’impegno e la competenza di Cristina e Daniela hanno dato, nel tempo, i loro frutti. Così, a distanza di dieci anni, il locale bio ospitato da un fienile dell’Ottocento ristrutturato in stile provenzale gode di ottima salute. Situato nella parte più suggestiva di Villa Pamphili, circondato da una distesa di prati che si perde a vista d’occhio, offre infatti ai patiti del mangiar bene un articolato menu, che abbraccia colazione, pranzo e cena.
Scegliendo Vivi Bistrot è possibile regalarsi un break dallo stress quotidiano senza dover affrontare frustranti ed estenuanti viaggi in macchina per uscire dalla città. Un luogo ideale, questo, non solo per organizzare picnic e feste private, ma anche per fare yoga.
Anche le banche si piegano al potere dell’amore
Cristina e Daniela hanno fondato Vivi Bistrot in corrispondenza di uno snodo cruciale delle loro vite. Dopo aver raggiunto una certa stabilità nel privato, infatti, erano alla ricerca di un progetto che mettesse insieme passioni, interessi individuali e realizzazione professionale.
“Confezionare un piatto richiede un investimento di tempo, creatività ed energie indirizzate agli altri, oltre che a noi stessi. Le ricette che proponiamo sono state frutto di fecondi vagabondaggi nei mercati, hanno tratto spunto da libri, o sono scaturite dalla scintilla di chiacchierate con esperti, amici, nonni e agricoltori. Il filo conduttore che li ha portati a noi è la convinzione che il cibo è un atto d’amore, una dichiarazione d’intenti. La volontà di prendersi cura, di praticare la dedizione”. Così si legge nel sito di Vivi Bistrot.
I risultati
Hanno convinto anche gli istituti di credito della bontà del progetto, e Cristina e Daniela, negli anni, hanno dimostrato di essere partner finanziari importanti, puntuali e affidabili nei pagamenti.
L’energia e la creatività, peraltro, hanno dispiegato tutto il loro potere di contagio. A Vivi Bistrot, infatti, è seguito un nuovo locale situato a Piazza Navona, all’interno di Palazzo Braschi. “All’inizio eravamo in 5, poi siamo arrivati a 50. Il Jobs Act ci ha dato una grossa mano nella ricerca del personale, e chi abbiamo reclutato come apprendista è cresciuto rapidamente, guadagnandosi un posto a tempo indeterminato. Per questo speriamo che iniziative del genere vengano replicate”.
Mettersi in gioco
Stare in prima linea è una scelta impegnativa, umanamente e materialmente. Rischi e incognite sono all’ordine del giorno, e sarebbe da incoscienti non metterli in conto. Tuttavia se l’iniziativa è meritevole e viene portata avanti con scrupolo e professionalità i risultati emergono quasi naturalmente, e i rinforzi (utili, ma non sempre necessari) arrivano.
Essere pionieri non è un gioco, ma può essere una sfida incredibilmente affascinante e stimolante
Dal Giappone l’ispirazione per un’idea semplice ma geniale: i vestiti che crescono con i bambini
11.10.2017 17:14I figli sono pezzi di cuore
Motori d’amore che catalizzano le risorse umane – e materiali – dei genitori. Procreare è un investimento in tutti i sensi, e per questo, sempre più, le coppie scelgono di prendersi tutto il tempo necessario a stabilizzarsi economicamente, prima di farlo.
Soprattutto nei primissimi anni di vita i bambini crescono a vista d’occhio. Un passo alla volta vanno alla scoperta del mondo e si rendono autonomi dai genitori. Ogni giorno è fonte di nuove conquiste ed esperienze…e per affrontarle è necessario un continuo ricambio di guardaroba. Si è calcolato infatti che, prima dei tre anni di vita del pargolo, si spendono circa 2.000 sterline in capi di vestiario.
Ne consegue che, per tamponare l’emorragia del portafoglio, molti genitori conservano i capi del pargoletto per riutilizzarli in caso di secondo (e magari anche terzo) figlio. Chi si ferma al primo invece, magari, dona gli indumenti dismessi a parenti, amici e/o famiglie bisognose. Un modo, questo, che si rivela indubbiamente efficace, quantomeno per arginare gli sprechi economici e l’inquinamento. Tuttavia, una serie di problemi di fondo rimangono aperti. Vale a dire, la necessità di un incessante rifornimento da parte dei consumatori spinge il mercato a una produzione intensa, con ripercussioni inevitabili sulla qualità delle merci, e sulla retribuzione dei lavoratori.
Petit Pli: cosa c’entra l’abbigliamento con l’origami?
Una soluzione potrebbero essere i vestiti espandibili, ovvero capaci di “crescere” di pari passo al bambino plasmandosi di volta in volta sulla forma e sulle dimensioni del suo corpo. A pensarci e tradurre l’idea in azione è stato il giovane designer Ryan Yasin che, combinando alcuni tessuti con i principi matematici, è riuscito a rispondere a un quesito ambizioso: gli indumenti possono trasformarsi da oggetti statici in dinamici? La risposta, affermativa, è arrivata con Petit Pli, linea basata sul concetto di origami. Ciascun capo, infatti, è composto da una serie di pieghe allungabili in 3D che assecondano le varie fasi della crescita da tre mesi a tre anni.
“Petit Pli si avvale di materiali ultra leggeri, impermeabili e traspiranti perché i bambini sono atleti dell’estremo”. Così si legge sul sito del progetto, la cui commercializzazione potrebbe avvenire nei prossimi mesi, dato che Ryan Yasin ha avviato i contatti con aziende del settore per lanciare la produzione su scala industriale.
I vestiti Petit Pli sono realizzati mediante tessuti caratterizzati da una struttura auxetica, che consente loro di allargarsi se vengono allungati, e viceversa. L’iniziale fase di progettazione è stata alquanto laboriosa perché, raccogliendo i feedback dei genitori, Ryan Yasin aveva constatato che questi non gradivano che i materiali entrassero a contatto con la pelle dei bambini.
La ricerca di un’alternativa funzionale ha portato al confezionamento di indumenti simili a un’armatura medievale, che possono essere piegati e infilati in valigia senza sgualcirsi, e che sono lavabili in lavatrice senza che le pieghe si rovinino.
La necessità aguzza l’ingegno (degli zii frustrati)
“Mia sorella aveva da poco avuto un bambino, e prima di vederlo gli avevo comprato dei vestiti. Quando però sono riuscito a farglieli avere, lui era cresciuto e non ci entrava più. Questo ha innescato la molla dell’ispirazione, in quanto ho cominciato a chiedermi come si potesse risolvere la questione”. Petiti Pli è nata quindi da un’esigenza personale connessa a un episodio della sua vita privata, ha spiegato Ryan Yasin.
Il suo background formativo lo ha indubbiamente agevolato a imboccare la giusta direzione, in quanto il 24enne si è laureato in ingegneria aeronautica. Allo studio presso il Royal College of Art di Londra è peraltro seguito un periodo in Giappone, durante il quale la sua attenzione è stata catalizzata dagli innovatori del settore della moda. Tra questi, Issey Miyake ha utilizzato principi matematici per confezionare vestiti simili a sculture.
L’impegno premia
Petiti Pli è valso a Ryan Yasin il Dyson Award inglese, che gli ha fruttato 2.000 sterline. Ora il 24enne è in lizza per l’equivalente internazionale del premio, che verrà assegnato a fine mese e che porterà 30.000 sterline nelle tasche del vincitore. “Voglio fare in modo che Petit Pli raggiunga più persone possibile, voglio perfezionare il marchio, e voglio farlo arrivare al mercato. Più di tutto, però, voglio continuare a impegnarmi per realizzare il connubio tra tecnologia e moda, e potenziare le abilità umane espresse attraverso l’abbigliamento. D’altronde non è un caso che questo venga definito una seconda pelle”.