Risorse

«Il Salvabanche ha scavato la fossa per i risparmiatori, ma io non ci sto»

22 novembre 2015. Una data che ha segnato uno spartiacque per molti italiani. È infatti il giorno in cui è stato approvato dal Governo il Decreto Salvabanche.  Un evento che ha comportato la perdita di un miliardo e mezzo di euro … e anche di vite umane. La disperazione e il senso di impotenza dei risparmiatori si è espresso talvolta in gesti estremi.  Qualcuno però non ci sta, e ha deciso di portare avanti la propria battaglia. Giuseppe Alunni, imprenditore di Terni che da anni lavora nel comparto delle forniture elettriche, ha infatti deciso di procedere tramite ricorso.  
«Una fregatura». Così riassume la vicenda che lo ha visto protagonista facendogli perdere 50mila euro. Attraverso la sua impresa, infatti, Giuseppe Alunni aveva investito in obbligazioni subordinate di Banca Marche, giudicate sicurissime, e quindi associate a un rendimento estremamente basso. Il problema però è che poi i soldi, suoi e di altri risparmiatori sono stati utilizzati per evitare il fallimento di questo istituto, come pure di Carichieti, Cariferrara e Popolare dell’Etruria. 
«La banca che aveva i problemi più gravi era proprio quest’ultima. Le altre avrebbero, invece, potuto beneficiare di un programma di ristrutturazione interna senza doversi affidare al capitale degli investitori. Tuttavia, i decreti 80 e 81 sono andati in tutt’altra direzione impedendo ai risparmiatori di agire legalmente nei confronti dei vecchi amministratori. Contestualmente, chi si è occupato direttamente delle ristrutturazioni doveva tenere fede al segreto di Stato: violando palesemente la Costituzione»
Come se non bastasse, non è stata intrapresa alcuna azione a supporto dei risparmiatori. Rimborso? Neanche a parlarne. Non è stato emanato alcun decreto attuativo in materia e, “ciliegina sulla torta”, gli obbligazionisti sono stati definiti speculatori. «In realtà, noi non c’entriamo nulla con questa categoria: per capirlo basta considerare i rendimenti dei titoli». Così Giuseppe Alunni. 
L’imprenditore non si arrende, e, forte della guerra già vinta contro gli illeciti bancari, ha deciso di andare avanti e far valere le sue ragioni. «Intendo fare tutto ciò che serve , qualsiasi forma di protesta ed azione, legale ovviamente, per ottenere giustizia. Mi muoverò autonomamente anche se questo è un tema che interessa tanti e spero che ognuno avverta l’esigenza di far sentire la propria voce. Parliamo di temi centrali per la vita dei cittadini e delle imprese: essere trattati come carne da macello non ci sta più bene ed è ora di spazzare l’aria di omertà che si respira su questioni apparentemente ‘intoccabili’ al pari delle persone che hanno causato questi disastri».
22 novembre 2015

Una data che ha segnato uno spartiacque per molti italiani. È infatti il giorno in cui è stato approvato dal Governo il Decreto Salvabanche.  Un evento che ha comportato la perdita di un miliardo e mezzo di euro … e anche di vite umane. La disperazione e il senso di impotenza dei risparmiatori si è espresso talvolta in gesti estremi.  Qualcuno però non ci sta, e ha deciso di portare avanti la propria battaglia. Giuseppe Alunni, imprenditore di Terni che da anni lavora nel comparto delle forniture elettriche, ha infatti deciso di procedere tramite ricorso.  

«Una fregatura». Così riassume la vicenda che lo ha visto protagonista facendogli perdere 50mila euro. Attraverso la sua impresa, infatti, Giuseppe Alunni aveva investito in obbligazioni subordinate di Banca Marche, giudicate sicurissime, e quindi associate a un rendimento estremamente basso. Il problema però è che, poi, con il Salvabanche, i soldi, suoi e di altri risparmiatori sono stati utilizzati per evitare il fallimento di questo istituto, come pure di Carichieti, Cariferrara e Popolare dell’Etruria.

«La banca che aveva i problemi più gravi era proprio quest’ultima. Le altre avrebbero, invece, potuto beneficiare di un programma di ristrutturazione interna senza doversi affidare al capitale degli investitori. Tuttavia, i decreti 80 e 81 sono andati in tutt’altra direzione impedendo ai risparmiatori di agire legalmente nei confronti dei vecchi amministratori. Contestualmente, chi si è occupato direttamente delle ristrutturazioni doveva tenere fede al segreto di Stato: violando palesemente la Costituzione»

Come se non bastasse, non è stata intrapresa alcuna azione a supporto dei risparmiatori. Rimborso? Neanche a parlarne. Non è stato emanato alcun decreto attuativo in materia e, “ciliegina sulla torta”, gli obbligazionisti sono stati definiti speculatori. «In realtà, noi non c’entriamo nulla con questa categoria: per capirlo basta considerare i rendimenti dei titoli». Così Giuseppe Alunni.

L’imprenditore non si arrende, e, forte della guerra già vinta contro gli illeciti bancari, ha deciso di andare avanti e far valere le sue ragioni. «Intendo fare tutto ciò che serve , qualsiasi forma di protesta ed azione, legale ovviamente, per ottenere giustizia. Mi muoverò autonomamente anche se questo è un tema che interessa tanti e spero che ognuno avverta l’esigenza di far sentire la propria voce. Parliamo di temi centrali per la vita dei cittadini e delle imprese: essere trattati come carne da macello non ci sta più bene ed è ora di spazzare l’aria di omertà che si respira su questioni apparentemente ‘intoccabili’ al pari delle persone che hanno causato questi disastri».

 
 

«Sono stato vittima di usura bancaria. E ora vi spiego come difendervi»

Stalking bancario: qualcosa si muove. Forse

 

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Infrazioni al codice della strada: quando puoi fare ricorso?

Le multe costituiscono una delle sanzioni più odiose, oltre a essere, talvolta, comminate con una certa arbitrarietà. Dunque è necessario far chiarezza sulla loro natura, così da sapere quando e come presentare ricorso. 
Tanto per cominciare, queste possono essere annoverate tra le sanzioni amministrative, venendo elevate in caso di trasgressione al Codice della Strada. Chi intende far valere le proprie ragioni, può rivolgersi a Prefetto o Giudice di Pace.
Esistono specifiche casistiche a cui legare un ricorso, tra queste:
- Verbale non notificato entro 90 giorni, che diventano 150 se si risiede all’estero
- Autovelox non indicato attraverso apposita segnaletica
- Verbale incompleto, o stilato da un agente esterno al territorio di competenza
- Apparecchi atti a rilevare l’infrazione non omologati
- Consegna di un doppio verbale inerente la medesima infrazione
- Presenza di un vizio di forma
- Notifica al vecchio proprietario a seguito del passaggio di proprietà (in questa eventualità ci si può avvalere dell’autotutela)
È possibile inoltrare il ricorso gratuitamente entro 60 giorni dalla notifica della sanzione o dalla contestazione (articolo 203 del D.lgs. del 1992) Per procedere è necessario inviare una lettera in carta semplice tramite raccomandata A/R al Prefetto, al Comando di Polizia Municipale o all’organo accertatore. 
Il ricorso deve presentare, in allegato, i documenti considerati necessari per suffragare la tesi del cittadino, di cui può poi essere richiesta anche l’audizione. Se da parte del Prefetto non vi è alcuna ordinanza emessa in risposta, in ottemperanza al principio di silenzio/assenso, si ritiene l’opposizione accolta. 
Ci si può poi rivolgere al Giudice di Pace, entro un mese dalla contestazione o dalla notifica della sanzione (articolo 204 bis del D.lgs del 1992). Trattandosi di un procedimento civile, sono previsti dei costi: nello specifico bisogna pagare 43 euro, che si sommano a una marca da bollo di 27 euro per sanzioni inferiori a 1.100 euro. 
Quali decisioni può assumere il Giudice di Pace? Potrebbe bollare il ricorso come inammissibile, confermare la sanzione, annullarla in parte o per intero, o condannare il ricorrente a pagare un importo compreso tra il minimo e il massimo della previsione edittale. 
Le multe costituiscono una delle sanzioni più odiose, oltre a essere, talvolta, comminate con una certa arbitrarietà

Dunque è necessario far chiarezza sulla loro natura, così da sapere quando e come presentare ricorso.

Tanto per cominciare, queste possono essere annoverate tra le sanzioni amministrative, venendo elevate in caso di trasgressione al Codice della Strada. Chi intende far valere le proprie ragioni, può rivolgersi a Prefetto o Giudice di Pace.

Esistono specifiche casistiche a cui legare un ricorso, tra queste:

-       Verbale non notificato entro 90 giorni, che diventano 150 se si risiede all’estero

-       Autovelox non indicato attraverso apposita segnaletica

-       Verbale incompleto, o stilato da un agente esterno al territorio di competenza

-       Apparecchi atti a rilevare l’infrazione non omologati

-       Consegna di un doppio verbale inerente la medesima infrazione

-       Presenza di un vizio di forma

-       Notifica al vecchio proprietario a seguito del passaggio di proprietà (in questa eventualità ci si può avvalere dell’autotutela)

È possibile inoltrare il ricorso gratuitamente entro 60 giorni dalla notifica della sanzione o dalla contestazione (articolo 203 del D.lgs. del 1992) Per procedere è necessario inviare una lettera in carta semplice tramite raccomandata A/R al Prefetto, al Comando di Polizia Municipale o all’organo accertatore.

Il ricorso deve presentare, in allegato, i documenti considerati necessari per suffragare la tesi del cittadino, di cui può poi essere richiesta anche l’audizione. Se da parte del Prefetto non vi è alcuna ordinanza emessa in risposta, in ottemperanza al principio di silenzio/assenso, si ritiene l’opposizione accolta.

Ci si può poi rivolgere al Giudice di Pace, entro un mese dalla contestazione o dalla notifica della sanzione (articolo 204 bis del D.lgs del 1992). Trattandosi di un procedimento civile, sono previsti dei costi: nello specifico bisogna pagare 43 euro, che si sommano a una marca da bollo di 27 euro per sanzioni inferiori a 1.100 euro.

Quali decisioni può assumere il Giudice di Pace? Potrebbe bollare il ricorso come inammissibile, confermare la sanzione, annullarla in parte o per intero, o condannare il ricorrente a pagare un importo compreso tra il minimo e il massimo della previsione edittale. 

 

Se gli evasori fiscali ci guadagnano dalla chiusura di Equitalia…

Se hai problemi con le banche, loro possono tutelarti

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Se gli evasori fiscali ci guadagnano dalla chiusura di Equitalia…

«Siamo stufi del Fisco vampiro. È arrivato il momento di cambiare rotta». A pensare, o meglio, a pronunciare questa frase stavolta non è stato un cittadino perseguitato da cartelle esattoriali “seriali” o colpito da un avviso di pagamento come un fulmine a ciel sereno. Le dichiarazioni sono del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che, in un’intervista a Radio 105, ha rimarcato quanto annunciato sabato scorso in occasione della presentazione della Legge di Stabilità. Si starebbe preparando la strada per la chiusura di Equitalia, che verrebbe sostituita, nella riscossione delle imposte, dall’Agenzia delle Entrate, la quale peraltro ne detiene il controllo. Ecco di cosa si tratta, e quali sono gli elementi di perplessità suscitati.
L’abolizione dell’Agenzia di Riscossione, preannunciata da Renzi a luglio («la proposta è di sei anni fa e arrivò dalla Leopolda» ha precisato), dovrebbe compiersi per la fine del 2016. Secondo stime del Governo, il provvedimento dovrebbe accompagnarsi, nel 2017, a un gettito di circa 4 miliardi nelle casse dello Stato, frutto della rottamazione di milioni di cartelle. Questa misura comporterebbe il pagamento da parte dei cittadini della sola imposta originaria: gli interessi di mora e – si suppone – l’aggio  sarebbero cancellati. 
Insomma, alla base della decisione del Governo, ci sarebbe la voglia di fare cassa, prima ancora che il proposito di venire incontro alle migliaia di cittadini angosciati da cartelle e avvisi di pagamento
L’idea di chiudere Equitalia, in realtà, non è nuova. Il Movimento Cinque Stelle, da tempo attivo a sostegno dei contribuenti sul territorio contro il proliferare delle cartelle esattoriali, si è apertamente schierato anche in Parlamento.  D’altra parte, a febbraio scorso era stato lo stesso Presidente dell’Ente, Ernesto Maria Ruffini, a evidenziarne gli elementi di criticità: su circa 1.000 miliardi richiesti in sedici anni infatti, solo il 5% è recuperabile. Un’ulteriore quota è invece inesigibile, in quanto il contribuente non deve effettivamente pagare.  
Simone Cosimi, su Wired ha evidenziato alcuni aspetti per cui il contribuente dovrebbe aspettare prima di esultare. Tanto per cominciare, non è stato specificato se - e quale sarà - il limite massimo degli importi oggetto della sanatoria. Il che significa mettere nello stesso calderone il cittadino che per una disattenzione ha pagato con una manciata di giorni di ritardo, l’imprenditore soffocato dalle scadenze, e l’evasore fiscale incallito
Un altro elemento che fa riflettere è il metodo con cui dovrebbe essere reclutato il personale da assumere. Parliamo di 8mila dipendenti della Pubblica Amministrazione che non hanno vinto alcun concorso pubblico. Non si rischia, procedendo in modo poco chiaro, di creare ulteriori – e inutili – sacche di personale poco qualificato, e magari assenteista?
Equitalia è un soggetto capace di condizionare pesantemente la vita degli italiani, e proprio per questo qualunque misura presa nei suoi confronti rischia facilmente di assumere una connotazione populistica e dalla blanda efficacia. Un approccio più equilibrato e complessivo si sarebbe potuto attuare coinvolgendo anche altri “attori” (associazioni dei consumatori, tributaristi, Ambulatori Anti Equitalia). Non resta quindi che augurarsi che tale provvedimento, sbandierato mediaticamente a destra e manca, non sia solo l’ennesima boutade che precede la chiamata al voto degli italiani. 
«Siamo stufi del Fisco vampiro. È arrivato il momento di cambiare rotta»

A pensare, o meglio, a pronunciare questa frase stavolta non è stato un cittadino perseguitato da cartelle esattoriali “seriali” o colpito da un avviso di pagamento come un fulmine a ciel sereno. Le dichiarazioni sono del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che, in un’intervista a Radio 105, ha rimarcato quanto annunciato sabato scorso in occasione della presentazione della Legge di Stabilità. Si starebbe preparando la strada per la chiusura di Equitalia, che verrebbe sostituita, nella riscossione delle imposte, dall’Agenzia delle Entrate, la quale peraltro ne detiene il controllo. Ecco di cosa si tratta, e quali sono gli elementi di perplessità suscitati.

 

L’abolizione dell’Agenzia di Riscossione, preannunciata da Renzi a luglio («la proposta è di sei anni fa e arrivò dalla Leopolda» ha precisato), dovrebbe compiersi per la fine del 2016. Secondo stime del Governo, il provvedimento dovrebbe accompagnarsi, nel 2017, a un gettito di circa 4 miliardi nelle casse dello Stato, frutto della rottamazione di milioni di cartelle. Questa misura comporterebbe il pagamento da parte dei cittadini della sola imposta originaria: gli interessi di mora e – si suppone – l’aggio  sarebbero cancellati.

Insomma, alla base della decisione del Governo, ci sarebbe la voglia di fare cassa, prima ancora che il proposito di venire incontro alle migliaia di cittadini angosciati da cartelle e avvisi di pagamento

L’idea di chiudere Equitalia, in realtà, non è nuova. Il Movimento Cinque Stelle, da tempo attivo a sostegno dei contribuenti sul territorio contro il proliferare delle cartelle esattoriali, si è apertamente schierato anche in Parlamento.  D’altra parte, a febbraio scorso era stato lo stesso Presidente dell’Ente, Ernesto Maria Ruffini, a evidenziarne gli elementi di criticità: su circa 1.000 miliardi richiesti in sedici anni infatti, solo il 5% è recuperabile. Un’ulteriore quota è invece inesigibile, in quanto il contribuente non deve effettivamente pagare.  

Simone Cosimi, su Wired ha evidenziato alcuni aspetti per cui il contribuente dovrebbe aspettare prima di esultare. Tanto per cominciare, non è stato specificato se - e quale sarà - il limite massimo degli importi oggetto della sanatoria. Il che significa mettere nello stesso calderone il cittadino che per una disattenzione ha pagato con una manciata di giorni di ritardo, l’imprenditore soffocato dalle scadenze, e l’evasore fiscale incallito

Un altro elemento che fa riflettere è il metodo con cui dovrebbe essere reclutato il personale da assumere. Parliamo di 8mila dipendenti della Pubblica Amministrazione che non hanno vinto alcun concorso pubblico. Non si rischia, procedendo in modo poco chiaro, di creare ulteriori – e inutili – sacche di personale poco qualificato, e magari assenteista?

Equitalia è un soggetto capace di condizionare pesantemente la vita degli italiani, e proprio per questo qualunque misura presa nei suoi confronti rischia facilmente di assumere una connotazione populistica e dalla blanda efficacia. Un approccio più equilibrato e complessivo si sarebbe potuto attuare coinvolgendo anche altri “attori” (associazioni dei consumatori, tributaristi, Ambulatori Anti Equitalia). Non resta quindi che augurarsi che tale provvedimento, sbandierato mediaticamente a destra e manca, non sia solo l’ennesima boutade che precede la chiamata al voto degli italiani. 

 

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Mollo tutto e vado all’estero! La voglia di ricominciare accomuna "previdenti" e "passionali"

 

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