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La banca della plastica? ad Haiti ci paghi già Wi-Fi e assicurazione sanitaria

Troppa plastica

plasticaChi fa la raccolta differenziata (e spero tutti i nostri lettori) sa che il primo bidone a stabordare è sempre quello della plastica.

Qualsiasi prodotto che si trova sugli scaffali del supermercato è ricoperto da un involucro o da una scatola di uno dei materiali più inquinanti sulla faccia della terra.

Dal momento che più prodotti acquistiamo e più plastica accumuliamo, quale sarebbe la soluzione più logica? Che la moneta di scambio diventassero i rifiuti stessi. Impossibile? No. Anzi potrebbe essere il futuro del mercato.

Pagare con i rifiuti

david-katzQuesta l’idea alla base di Plastic Bank, impresa sociale cofinanziata nel 2015 da David Katz e Shaun Frankson, due sub appassionati  e amanti del mare. Durante le loro immersioni sono rimasti sconcertati da quanta plastica inquinasse gli oceani.

 

Katz ha paragonato l'accumulo di rifiuti a un rubinetto da cui sgorga acqua. Se si sta per annegare, l’unica soluzione è chiuderlo. Così hanno cominciato a interrogarsi su quale potesse essere la soluzione al problema, sviluppando la banca del futuro dove puoi comprare ciò che ti serve usando i rifiuti plastici.

Come funziona Plastic Bank?

plastic bankNon solo cibo o articoli per la casa ma anche beni di valore come minuti per il cellulare, WiFi, tasse scolastiche e persino l’assicurazione sanitaria.

La Plastic Bank è già attiva ad Haiti, Filippine, Brasile. I collezionisti raccolgono plastica e la portano in un centro raccolta dove viene pesata; in cambio vengono pagati sotto forma di denaro  o gettoni digitali che possono essere riscattati in qualsiasi negozio o centro di riciclaggio che utilizza l’app ad hoc.

In alcune località i token possono anche essere scambiati con denaro mobile tramite una rete telefonica o contanti da un partner di cambio di valuta.

Tra i prodotti materiali già in vendita è presente il combustibile per cucinare sostenibile e stufe ad alta efficienza, ma altri oggetti vengono aggiunti a poco a poco. 

Dopo che i raccoglitori hanno consegnato la plastica, quest'ultima viene inviata ad un centro di riciclaggio, dove  si vende alle aziende che li utilizzano nei loro prodotti.  Molte società pagano un premio per la plastica rigenerata.

Quanto si può guadagnare?

plastic-bank-8Un collezionista può guadagnare fino a 5 dollari al giorno, secondo Plastic Bank. Questo può raddoppiare o triplicare i redditi reali delle persone. Ad Haiti, ad esempio, la maggior parte della popolazione guadagna meno di 2,41 dollari USA al giorno.

In questo modo si mette in moto ciò che Katz chiama plastica sociale. Gli acquisti di chiunque partecipi all'iniziativa vanno a beneficio dell’ambiente e del sostentamento. 

Ai Caraibi, luogo in cui l'impresa sociale è stata lanciata per la prima volta, si contano oggi 30 centri di raccolta e 2.000 collezionisti, che finora hanno raccolto quasi dieci milioni di chili di plastica.

Plastic Bank ha in programma di espandersi in Indonesia, Sud Africa, Città del Vaticano (sarebbe un "modello diverso" rispetto al programma standard di Plastic Bank), Etiopia, India e Panama.

La storia

plastic-bank-9Un collezionista può guadagnare fino a cinque dollari al giorno, secondo Plastic Bank. Questo può raddoppiare o triplicare i redditi reali delle persone. Ad Haiti, ad esempio, la maggior parte della popolazione guadagna meno di 2,41 dollari USA al giorno.
 

Lize Nise, residente a Port-au-Prince, ha ricostruito la sua vita grazie a Plastic Bank. Nel catastrofico terremoto del 2010 che ha colpito il suo paese, ha perso il marito, la casa e l'occupazione.

Grazie a Plastic Bank ora è in grado di coprire le tasse scolastiche e le spese delle uniformi per le figlie.

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di Irene Caltabiano

 

 

 

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Ricehouse: il riso abbonda...tra mura e intonaco

Com’è generosa la natura.

tiziana-monterisiLa maggior parte delle volte non ci rendiamo conto di quali ricchezze ci mette a disposizione. Anche ciò che all'apparenza sembrerebbe uno scarto potrebbe celare unagrande ricchezza.

Anche del riso, ad esempio, non si butta via niente. Lo sa bene la startup biellese Ricehouse, che riutilizza gli scarti della produzione del riso per produrre materiali isolanti, adatti a tutti i tipi di costruzione.

«Da sempre mi sono interessata di architettura a favore dell’uomo, vedo la casa come la nostra terza pelle. Come prestiamo attenzione agli abiti che indossiamo, altrettanto va fatto con i materiali degli ambienti in cui viviamo».

Tiziana Monterisi, architetto 43enne originaria di Lecce, due anni fa ha deciso di aprire la startup green con l’intento di promuovere le innovazioni fra i giovani imprenditori e sostenere l’utilizzo di paglia, lolla e pula come materiale da costruzione.

«Quindici anni fa io e il mio compagno, che è anche mio socio, ci siamo trasferiti a Biella e ci siamo ritrovati a vivere in mezzo alle risaie. Abbiamo notato quanti scarti rimanessero sui campi, destinati ad essere bruciati, perché non adatti all’allevamento, come avviene invece per altre coltivazioni». 

Dal momento che in architettura veniva già usata la paglia di altri cereali perché non provare anche con il riso?

Intonaci,malte e massetti

rice-house-4Ricehouse si pone come snodo centrale della filiera che va dall’agricoltura all’architettura. La startup gestisce il coordinamento delle attività dalla materia prima, alla logistica fino allo stoccaggio, in modo da assicurare un approvvigionamento continuo.

In seguito la produzione viene realizzata in partnership con aziende del settore che si occupano di promozione e commercializzazione nel mondo dell’edilizia sostenibile.

I prodotti venduti in particolare sono quattro: dal telaio in legno e paglia di riso a speciali intonaci, malte e massetti che trovano nello scarto della lavorazione uno dei loro componenti principali. Una valida idea per il riciclo e per un’edilizia che punta sempre più al rispetto dell’ambiente.

case-di-risoSono già stati fatti tutti i test e le certificazioni necessarie ad attestarne le caratteristiche isolanti tecniche e acustiche. 

La miscela di calce, lolla e paglia inoltre garantisce la leggerezza dei prodotti, tutti interamente naturali, traspiranti e sani e dunque indicati per tutte le tipologie di intervento e costruzioni: dai restauri (perché contengono calce naturale) alle ristrutturazioni, dove possono essere affiancati a parti preesistenti in mattoni o cemento armato, accanto alle costruzioni, magari in legno e materiali bio.

 

Il materiale è già stato utilizzato per la costruzione di un edificio green, in Val D’Aosta, nato sui resti di un vecchio rudere del 1834.  Grazie alle proprietà isolanti della paglia di riso inserita nel telaio la struttura non ha bisogno di riscaldamento né di un impianto di condizionamento, perché mantiene al suo interno una temperatura mite e confortevole.

rice-house

L’umidità, invece, viene regolata in maniera naturale dagli intonaci interni, realizzati in terra cruda, e dalla ventilazione naturale. A tre mesi dal debutto la fondatrice di Ricehouse è soddisfatta: «Per ora abbiamo venduto materiali per 30mila euro, ovvero un po’ più di quanti ne siano necessari per una villa unifamiliare di 200 metri quadrati, per cui si calcolano in genere 20-25mila euro di biocomposti».

La speranza è anche quella di poter avere accesso a finanziamenti europei per le nuove imprese: «Finora abbiamo realizzato tutto con i nostri guadagni io e il mio compagno, Alessio Colombo, geologo, che mi ha permesso di dedicarmi a questa attività imprenditoriale».

Una realtà per ora unica in Italia, primo produttore di riso in Europa, con coltivazioni concentrate tra Pavia, Novara e Vercelli: «Siamo in contatto con realtà simili in Francia, Spagna, Portogallo, Ungheria e Grecia».

In tutti questi Paesi si coltiva il riso, anche se in modo meno intensivo rispetto al nostro. Il progetto dunque non è tanto di esportare, quanto aumentare la produzione in loco per esportarla, ma quello di diffondere un  know-how nel resto d’Europa, creando una rete imprenditoriale che valorizzi territorio e attivi un' economia circolare. 

Esempi di economia virtuosa che si spera generino spirali positive.

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di Irene Caltabiano

 

 

 

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Plogging, andare a raccogliere l'immondizia...di corsa!

Correre mentre si raccoglie l’immondizia?

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A prima impressione un'idea bislacca ma che potrebbe rivelarsi geniale a seconda dei risultati ottenuti. Non solo footing ma anche affondi e piegamenti per raccogliere bottiglie di plastica o mozziconi di sigaretta.

Si chiama plogging ed è un’attività che si sta diffondendo a livello mondiale. Lessicalmente il termine è una crasi del verbo svedese plocka upp ( ripulire) e la parola inglese jogging. Mettere insieme benessere fisico e amore per l’ambiente è possibile, se durante l’ordinaria corsetta si raccolgono i rifiuti trovati per strada.

Il neo sport nasce pochi mesi fa a Stoccolma da un gruppo di amici corridori, sdegnati dalla tanta sporcizia che ogni giorno raccoglievano durante il loro jogging giornaliero. Sono bastate alcune foto condivise sui social per richiamare l’attenzione di tanti utenti e runners curiosi, da ogni parte del mondo. E così agli svedesi hanno fatto seguito anche giapponesi e americani e l’ondata non sembra arrestarsi.

Un mondo di ploggers

ploggers-10Persino in  Francia hanno subito cavalcato l’onda lunga del trend, creando uno dei siti più frequentati dai ploggers: Run Eco Team, un’associazione fondata da Nicolas Lemonnier, osteopata di Nantes, diventata in poco tempo di grande ispirazione per gli esperti. Gli iscritti sono più di 1500 e tra i sostenitori anche Mark Zuckerberg, fotografato mentre mostra la T-shirt ufficiale del gruppo.

 

Galeotti nella diffusione della disciplina sono stati anche Facebook e Instagram: l’hashtag #plogging sta decisamente spopolando, tra foto, stories e video della giornata di raccolta. Molti si sono attrezzati con il kit del perfetto plogger, tra scarpe comode, tuta, sacchetto e guanti alla mano. I più meticolosi sono provvisti di una bacchetta per raccogliere l'immondizia senza abbassarsi troppo.

Musica "trash"

plogging-9Hanno persino stilato una playlist a tema che va da Don’t go near the water dei Beach Boys, gruppo tra i primi a denunciare l’inquinamento delle acque marine a Testa plastica dei Prozac +, proprio in riferimento alle problematiche ambientali causate dai rifiuti fino a Il ballo del porponpof di Capone e BungtBangt, la band napoletana che suona con strumenti ricreati assemblando gli oggetti più disparati in circolazione.

Sembra che il fenomeno stia riscuotendo clamore e curiosità anche in Italia, dal momento che sono tanti i connazionali curiosi che si interessano a questa disciplina. In effetti ciò consentirebbe di unire mantenimento della forma fisica a cura del bene comune e sensibilizzazione alle tematiche ambientali.

Italia anti-littering

keep clean and runTuttavia l’idea di raccogliere rifiuti mentre si corre non è una novità, ma una pratica ben collaudata. In Italia infatti viene organizzato con Keep Clean and Run, iniziativa di sensibilizzazione e mobilitazione  contro il fenomeno del littering, ovvero i rifiuti gettati e abbandonati nelle aree pubbliche. Si tratta di un’eco maratona suddivisa in varie tappe percorse lungo la Penisola, con la partecipazione di eco-corridori come testimonial ambientali.

Insomma più più corri, più pulisci. Un bel modo di mantenersi in forma e preservare il bene comune, non credete?

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di Irene Caltabiano

 

 

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