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Barikamá, lo yogurt che sa di libertà e rispetto

Barikamà, il riscatto attraverso uno yogurt

Vengono dal Mali, dal Senegal e dalla Costa d’Avorio. Suleman, Aboubakar, Cheikh, Sidiki, Modibo, come tanti prima di loro, sono partiti dall’Africa sui barconi della morte, sfuggiti alla violenza delle onde. 

Una volta giunti a in Italia l’odissea non si è certo conclusa. Anzi, è appena cominciata. Gli immigrati arrivano qui per rubarci il lavoro? Quale italiano, potendo scegliere, lavorerebbe come bracciante agricolo nelle campagne di Rosarno e Foggia?  Orari massacranti, paghe da fame, vita in baracche di cartone o in fabbriche abbandonate, senza acqua, luce o alcun diritto. 

Poi le rivolte di Rosarno, contro il razzismo e  lo sfruttamento dei braccianti e la fuga verso Roma. Il loro primo alloggio è stato il pavimento della stazione Termini. Il cibo? I pasti della Caritas. Infine è arrivato il contatto con alcuni centri sociali e associazioni che li hanno ospitati e aiutati a ottenere il permesso di soggiorno. Ma soprattutto hanno consentito la produzione di yogurt Barikamá, che oggi rappresenta il loro riscatto e la loro speranza. 
 

 Barikamà, lo yogurt solidale ed ecosostenibile

Suleman e Yossuf cominciano a promuovere il prodotto nei centri sociali romani, ampliando a poco a poco la clientela.  Il progetto di microcredito nasce ufficialmente nel 2011. Il latte utilizzato è interamente bio e privo di addensanti, conservanti e dolcificanti e la vendita prevede il sistema più eco del mondo
 
I contenitori vuoti vengono infatti restituiti alla consegna e riutilizzati; si  garantisce così risparmio energetico  e sostenibilità economica del progetto.  La produzione si è adesso spostata  nel Caseificio del Casale di Martignano, che sta sull’omonimo lago.
 
 I quindici litri di latte sono diventati centocinquanta e i coraggiosi imprenditori sono ora sette e hanno ampliato la gamma di prodotti. Barikamá adesso vende anche ortaggi e è green al 100%: le consegne infatti vengono effettuate in bicicletta.
 

L’associazione è una realtà in crescita

 

«La gente ci saluta quando ci incontra. Siamo orgogliosi del nostro progetto, di saper parlare al banchetto durante i mercati, di girare per tanti quartieri di Roma, e che la gente ci dica che il nostro yogurt è buonissimo» sottolinea Youssouf con parole semplici e tanta soddisfazione. 
 
Barikamá ha in progetto di diventare una cooperativa, aiutando i ragazzi a abbandonare lo sfruttamento, imparare l’italiano e inserirsi nel mercato del lavoro. 
 
Se tutto questo non dovesse bastare a rendere questi ragazzi speciali, dalla fine del 2014 hanno deciso di inserire nel progetto anche Mauro e Erika, due ragazzi con la sindrome di Asperger, lieve forma di autismo. I due danno supporto informatico e credono molto nella collaborazione di queste realtà. 
 
È possibile sostenere il progetto  sul sito https://barikama.altervista.org/, andando sulla pagina contatti.  A prescindere dai soldi, qui si parla di un altro tipo di ricchezza. Barikamá, chapeau.
 
 

irene caltabiano

 


 

 

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Perchè i giovani stanno tornando a fare i pastori?

Definire una persona “braccia rubate alla terra” non è un complimento

Solitamente l’espressione sottende l’auspicio che il proprietario delle suddette braccia possa assaporare la fatica ed il lavoro vero, a fronte di un’incapacità conclamata nello svolgimento di attività reputate nobili (in generale, si tratta di professioni intellettuali o artistiche).

Fare-il-pastoreNegli ultimi anni, però, il luogo comune secondo cui il lavoro manuale sarebbe un’occupazione di serie B perché coinvolgerebbe solo il corpo senza richiedere alcuno sforzo mentale (capacità di pianificare, mettere a punto strategie…) è stato ampiamente superato. Ed il merito è di quanti hanno deciso di recuperare un antico mestiere quale il pastore, abbandonando senza rimpianti esistenze più strutturate, comode ed, in proporzione, meglio retribuite.

Una storia particolarmente emblematica è quella di Daniele Mattera, 33enne di Marina di Campo (Elba) che ha smesso di lavorare come falegname quando è morto il pastore della vicina frazione di San Piero. Ne ha quindi raccolto sia l’eredità materiale (il suo gregge di capre) che quella immateriale, un bagaglio irripetibile e prezioso di tradizioni, consuetudini e conoscenze strettamente legate ai ritmi della natura.

Da artigiano a pastore valorizzando le eccellenze locali

Fare-il-pastore

Daniele Mattera ha definito il lavoro di pastore impegnativo, sia dal punto di vista fisico che della conciliazione con la vita privata (la moglie Moira, che condivide con lui la nuova vita, sta per dargli un figlio), ma ricco di stimoli, scoperte, e gratificazioni. Alcune delle quali si possono letteralmente toccare con mano: nel suo laboratorio, infatti, sta sviluppando la ricetta di un formaggio ottenuto da tre ingredienti a chilometro zero: il latte ottenuto dalla mungitura del gregge, il miele dell’Elba (marchio Doc) e l’Aleatico, vitigno nero semi-aromatico.

E le soddisfazioni ottenute e attese da Daniele Mattera devono pesare molto sui piatti della bilancia, considerando che, come ha dichiarato, il lavoro di pastore non conosce ferie: bisogna essere operativi anche la domenica, e durante le feste comandate.

"Da grande voglio fare il pastore"

Fare-il-formaggioIntanto, a conferma delle prospettive di crescita del settore (e delle ripercussioni positive sull’economia), nel 2020 il Piemonte ha lanciato la scuola per diventare pastore. L’iniziativa, ideata da Coldiretti e dal comune di Paroldo (borgo medievale in provincia di Cuneo abitato da circa 200 persone), è stata promossa in collaborazione con l’Università di Torino e l’istituto caseario di Moretta.

Il corso, incentrato sull’allevamento ovocaprino, ma finalizzato anche ad aprire una "finestra” sulla gestione imprenditoriale dell’attività, è il primo nel suo genere in Italia. Il piano di studi è stato messo a punto dall’ente di formazione di Coldiretti e dall’ateneo del capoluogo; possono accedervi sia i giovani incuriositi dal settore che non hanno maturato pregresse esperienze correlate, sia chi, avendo operato già nel comparto agricolo, vuole rimettersi in gioco in quello zootecnico.

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

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Diabete: gli insospettabili alleati per combatterlo

I progressi tecnologici, l’incremento generale di benessere e comodità hanno un sapore dolce, ed un retrogusto amarissimo

DiabeteIl prezzo da pagare, in termini di salute fisica e mentale, infatti, è più che salato. Basti pensare all’impennata dell’incidenza di patologie gravi e croniche tra cui quelle cardiovascolari ed il diabete sia in Italia che in Europa.

Secondo uno studio realizzato dall’Italian Barometer Diabetes Observatory in vent’anni (2000-21019) il numero di persone affette da diabete ha registrato +60% toccando quota tre milioni. In Europa, in soli sei anni (2008-2014) si è arrivati a 4,6 milioni  (+28%). E le proiezioni di medio-lungo periodo non sono confortanti, se gli stili di vita si manterranno inalterati, a causa dell’invecchiamento della popolazione.

È fondamentale, quindi, impegnarsi su un doppio fronte: rinunciare alla “comoda” sedentarietà e praticare un po’ di sport, e integrare la propria alimentazione, consumando regolarmente alimenti che abbassano l’indice glicemico (la concentrazione degli zuccheri nel sangue).

Diabete: i cibi suoi insospettabili nemici

Mandorle-contro-diabetePregiudizi, luoghi comuni e la difficoltà a diffondere capillarmente corrette informazioni di tipo medico alimentare impediscono spesso l’introduzione di elementi che, al contrario, potrebbero rivelarsi preziosi, per mantenerci in salute. Un esempio? La mandorla, che tendiamo a evitare accuratamente perché le proiettiamo addosso la cattiva reputazione della calorica frutta secca.

A onor del vero, però, apporto calorico e zuccheri non vanno necessariamente a braccetto. Consumare quotidianamente un pugno di mandorla è un’ottima forma di “investimento” sulla propria salute, grazie alla presenza massiccia di magnesio, oltre che di fibre.

Parenti stretti delle mandorle quanto a cattiva reputazione ereditata, sono i semi di lino, girasole, chia e zucca. Questi invece, permettono di fare incetta di Sali minerali e proteine, aiutando a controllare gli zuccheri nel sangue.

Ultime, perché forse meno insospettabili, le verdure a foglia verde: spinaci, rapa, cavolo riccio, cavolo riccio e lattuga.

"Ho il diabete: posso mangiare la frutta?"

Broccoli-contro-diabeteAnche questa è vittima di molteplici (e spesso ingiustificati) preconcetti, quando c’è in ballo il diabete. Non si tratta, infatti, di una categoria di alimenti che va bandita in toto e senza appello, ma consumata con consapevolezza. Sapere se è meglio scegliere arancia o banana, e com’è preferibile consumarla (intera, frullata, spremuta…), perché, a parità di frutto, la presenza di fibre determina un picco glicemico più basso in fase di digestione.

Chi soffre di diabete può inserire nella propria alimentazione, in quantità modiche, mele, nespole, fragole, lamponi ed arance.

Cachi, uva, fichi, frutta conservata e frutta secca, invece, vanno evitati.

Ti piacciono i succhi di frutta? Meglio preparare in casa spremute e centrifughe e lasciar perdere quelli industriali.

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

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