Investimenti e amministrazione sembrano un mondo lontano agli occhi dei non addetti ai lavori. Esiste però un’economia vicina alla vita di tutti i giorni, in grado di influenzare in positivo le dinamiche della società. Si chiama impact investing.
Cos’è?
Una politica per cui aziende, organizzazioni e fondi intendono generare sia un impatto economico che un cambiamento positivo su ambiente e società.
I quattro pilastri per definirsi un investitore di impatto sono:
Ritorno finanziario: nel medio periodo gli investitori puntano a un graduale incremento del valore del capitale che hanno stanziato.
Intenzionalità: l’impatto sociale e ambientale è uno dei criteri fondamentali per cui si sceglie un soggetto e non altri.
Temi d’impatto e misurazione d’impatto: si identificano le aree della società sulle quali si vuole intervenire e si ricerca un modo chiaro e trasparente per quantificare i risultati.
La maggioranza sono progetti per l’uso sostenibile delle risorse, l’efficienza energetica, produzione di fonti di energia pulita, assistenza sanitaria, economia circolare, pari opportunità sul lavoro, riciclo.
Quanto vale al momento l’impact investing?
Il mondo degli investimenti sostenibili ha preso forma in tempi relativamente recenti. Fino al 2013 valeva 20 miliardi. Briciole rispetto ai 6853 miliardi ottenuti con investimenti come armi, tabacco e pornografia. Ma se ci si focalizza sulla crescita si scopre che solo due anni prima l’impact investing non raggiungeva nemmeno i 9 miliardi di euro.
Secondo l’analisi condotta dal network globale del settore il 59% degli investitori dichiara di aver ottenuto ritorni competitivi rispetto ai tassi di mercato. E le performance sono spesso migliori delle aspettattive. Insomma si può dire che ambiente, sostenibilità e sociale infine paghino? Sembra di sì.
Questo è il dilemma. Il servizio delle Iene di circa un mese fa ha reso due milioni di spettatori nostrani sospettosi sulla salsa di pomodoro che comprano.Nadia Toffa, front woman del video, afferma che i prodotti con la dicitura made in Italy sono realizzati in Italia in minima parte.
La materia prima verrebbe importata dalla Cina, dove i produttori commerciano concentrato di pomodoro in tutto il mondo. La pasta grezza, una volta arrivata a destinazione, verrebbe diluita da qualche stabilimento nostrano e venduta sugli scaffali del supermercato, con l'etichetta di grandi marche. Circa 20 mila tonnellate per 800 milioni di kg di prodotto finito. Ma c'è di più: le leggi orientali sui pesticidi non sono le stesse del Bel Paese; i limiti entro i quali le sostanze sono ritenute dannose per l' organismo umano hanno una soglia molto più alta. Un'operazione che viene fatta a favore dei prezzi bassi, cosa che confermano gli stessi esportatori del Sol Levante.
Attenzione però. Anche se il servizio è molto efficace, grazie alla parlantina della Toffa e al montaggio incalzante, le informazioni diffuse non sono del tutto vere. Ciò che sembra suggerire il video è che tutti i prodotti italiani vengano fatti con pomodori cinesi, mentre gli incriminati sono i sughi pronti, il ketchup e altre preparazioni. Qual è la differenza? Bottiglie di polpa o passata non c'entrano niente.
Grazie a una contro-intervista del Fatto Alimentare vengono messi in luce gli elementi deboli della tesi. Nel 99% dei casi i pomodori utilizzati sono coltivati e lavorati in Italia, come risulta dalle etichette dei brand più famosi. I barili blu riempiti di concentrato presenti nel filmato, che si afferma contengano pesticidi pericolosi e arrivino in Europa senza troppi controlli, non convincono. Nei dati del sistema rapido di allerta europeo, con sede a Bruxelles,si riscontrano solo due segnalazioni e entrambe non riguardano presenza di pesticidi o parassitari. Nel primo il carico era maleodorante, nell' altro si registrava presenza di istamina, causa di infiammazioni e allergie.
Inoltre, in nome del sensazionalismo, il problema viene ingigantito. Le reali importazioni dalla Cina sono un numero ridicolo, lo 0, 28% del totale. La maggioranza del carico arriva da California, Spagna, Portogallo e Grecia, pomodoro che viene utilizzato per il mercato europeo e non per prodotti in cui è ingrediente fondamentale. Inoltre, ci informa il team del Fatto alimentare, il misterioso richiamo a importatori italiani non è certificato. Potrebbe trattarsi di piccole aziende e non marchi noti al grande pubblico.
Il servizio include un'intervista anche a un noto produttore cinese che afferma di esportare in Italia circa 60mila tonnellate l'anno. Peccato che i dati ufficiali ne riportino solo 14mila. Le conseguenze del video potrebbero essere peggiori dei benefici, un autogol significativo per l'industria italiana poiché lo spettatore non ha spesso né la voglia né i mezzi di verificare le fonti.
Nadia Toffa rincara la dose con una petizione su Change. Org rivolta al Ministero e al premier Matteo Renzi. Nel testo si richiede che per ogni prodotto alimentare venga indicata l'origine degli ingredienti, come accade per l'olio extravergine. Ma sulle bottiglie viene specificato semplicemente se le olive sono di coltivazione europea o extra europea, elemento insufficiente per sostenere il marchio made in Italy. Forse, anziché fare allarmismo, sarebbe meglio concentrarsi su come viene prodotto il vero made in Italy, sicuramente più presente e diffuso della minoranza cinese.
Va bene che il pomodoro si sposa bene con la bufala, ma solo su un piatto da portata.
Ci sono stati d'animo che le parole non riescono ad esprimere.
I nostri occhi dicono più di quanto noi stessi riusciamo a dire. Purtroppo al giorno d'oggi, causa il proliferare di smartphone, tablet e dispositivi elettronici, è molto più difficile incontrare lo sguardo dell'altro. Spesso camminiamo per strada totalmente risucchiati da Whatsapp, messaggi e chiamate. L'altra persona diventa solo un ostacolo sul nostro cammino, non una possibilità di incontro.
I tedeschi hanno più a cuore questa problematica? Non si sa. Fatto sta che Berlino sarà sede del World's Biggest Eye Contact Experiment, il più grande esperimento di contatto visivo del globo. Un flashmob in cui i cellulari rimangono a casa....per guardarsi negli occhi. L'idea è che chiunque possa creare il proprio angolo di empatia, semplicemente cercandola nello sguardo di un'altra persona. L'evento internazionale, che ha come fondatore l'australiano Peter Sharp, si svolgerà sabato 29 ottobre al Brandeburger Tor, dall'13 alle 16. Già l'anno scorso l'iniziativa aveva registrato la presenza di 100mila persone, con eventi simili anche a Roma o Milano.
Un esperimento sociale per abbattere muri che noi stessi abbiamo creato. Un evento che fa eco alla perfomance di Marina Abramovic al MOMA di New York (2010). L'artista stava immobile sette ore al giorno, guardando negli occhi chiunque volesse mettersi di fronte a lei. Le reazioni erano delle più diverse. Chi sorrideva, chi rideva, chi scoppiava in lacrime.
Si potrà comunicare con sconosciuti anche senza dirsi una parola, abbattendo timidezza e differenze sociali?