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Il mugnaio 2.0 salva l'ultimo mulino

Altro che Antonio Banderas con i suoi biscotti.
C’è  a chi  sta davvero a cuore la sorte dei mulini, e non solo quelli "bianchi". Stefano Caccavari, imprenditore ventisettenne laureato in economia aziendale, ha voluto rilevare l'unico mulino a pietra rimasto nella sua terra, la Calabria.
 

Il motore scatenante è stata la notizia che il macinatoio (certificato bio) nella zona di san Floro, vicino Catanzaro, stava per chiudere. Una risorsa che non poteva finire nel dimenticatoio come se nulla fosse. « Ho deciso di lanciare una raccolta fondi su Facebook per comprarlo» dice questo giovane romantico. « Non potevo permettere che una tradizione così forte andasse perduta».

La fortuna aiuta gli audaci. Il crowdfunding del progetto Mulinum ha avuto un successo strepitoso e, straordinariamente, molte donazioni sono arrivate anche dall’estero. Risultato? La raccolta ha fruttato 78000 euro in 48 ore, 500mila in meno di tre mesi. Così, ciò che era partito dal voler rivalutare un luogo dove Stefano era cresciuto, è diventato qualcosa di ancora più ambizioso.

C’è da dire che Caccavari non è nuovo a questo tipo di iniziative. Ha già alle spalle il progetto Orti di famiglia, oltre 100 gruppi di persone che, tramite abbonamento, raccolgono prodotti coltivati senza additivi chimici sui terreni di famiglia. Possono inoltre  seguire tutte le fasi di semina e raccolto.

Risistemare il macinatoio non è l’unico obiettivo. L’area e i campi di grano circostanti diventeranno un’azienda bio-agricola, costruita esclusivamente con materiale sostenibile. «La ruota idraulica azionerà le macine, proprio come 100 anni fa e avremo solo energia rinnovabile per far funzionare il tutto ». Un edificio nel pieno rispetto della natura, una perla rara in zone di abusivismo e costruzioni selvagge.

L'intraprendente "mugnaio" ha intenzione di puntare sulla filiera corta e prodotti a km 0. L’obiettivo è creare un sistema in loco, dove il grano immediatamente raccolto nei campi si trasformi in farine non setacciate, dal sapore antico e con meno glutine. Meno remunerative ma sicuramente più genuine, per prodotti buoni e dall’aroma casereccio, che possano rilanciare economie e tradizioni delle terre calabresi. Verrà inoltre istituito un Comitato scientifico per testare gli effetti delle farine su persone allergiche o intolleranti.

L’aperura è prevista per gennaio 2017, quindi c’è ancora tempo per sostenere la campagna ( al momento i finanziatori sono 101). Aderire al progetto non significa semplicemente sostenere l’idea alla base. Si può scegliere di diventare soci consumatori, coloro che da dicembre riceveranno i prodotti del mulino, o soci investitori, che divideranno anche gli utili.

 

Un connubio vincente tra tradizione e innovazione. Benvenuti nell’agricoltura 2.0. 

 

di Irene Caltabiano

 

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Social food: la spigolatura, un rito antico per promuovere il nuovo

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Cos'è l'olio di Bakken e perchè non rappresenta un'alternativa al petrolio

Il punto a favore è aver reso gli Stati Uniti più indipendenti da Venezuela e Medio Oriente.
 

L'olio di Bakken è infatti l’alternativa più consistente al combustibile tradizionale. Ma il prezzo ambientale e umano, come spesso accade, è alto. Forse troppo. 

Cos’è

Il Bakken è uno strato roccioso compreso tra gli stati del Montana, del Dakota Nord e Sud e di alcune aree canadesi. Anche detta bacino di Willston, è un’area che si estende su una superficie di 520mila chilometri quadrati.

Il geologo J.W. Nordquist scoprì il territorio nel 1953, ma non fu lui a dargli i natali, bensì il suo proprietario , un agricoltore del Nord Dakota di nome Henry Bakken. La scoperta ha rappresentato una vera e propria manna dal cielo. Nell’Aprile del 2013 l’ente geologico statunitense ha stabilito che possono essere estratti fino a 7,4 miliardi di barili di petrolio dai giacimenti della formazione geologica di Bakken, raddoppiando le stime dell’anno prima (che parlavano di un massimo di 3,65 miliardi di barili).

Negli ultimi anni questo bacino è diventato la principale fonte di petrolio degli USA. Nel 2013 è stato estratto dall’area il 10% di tutta la produzione statunitense, rendendo il Nord Dakota il secondo stato americano produttore di petrolio.

Quali sono i costi ambientali per estrarlo?

 

Innanzitutto per tirare fuori il bakken si sfruttano le tecniche di produzione più evolute e quindi più costose. Secondo le stime delle principali compagnie petrolifere  si può arrivare ad estrarre fino a 24 miliardi di barili.

Secondo la Eia ( Energy  Information Administration) le cose non stanno esattamente così.  La riserva accertata sarebbe infatti di 9 miliardi di barili, un numero ben al di sotto dei 24 previsti dalle compagnie.  Ci sono zone, come quelle recentemente scoperte a largo del Brasile, che potrebbero garantire numero molto più alti. La produzione, inoltre, è diminuita del 60% rispetto al 2015.

E il costo umano?

Si stima che ogni sei settimane muoia un addetto all’estrazione del petrolio: dal 2006 si contano 74 vittime. Le compagnie offrono bonus di 150 dollari per chi estrae più rapidamente, una sorta di prezzo per pagare il silenzio sui rischi  a cui i lavoratori si espongono.

Molti sostengono che la scoperta del bakken abbia aumentato i posti di lavoro e migliorato la disoccupazione e che il North Dakota abbia chiuso l'anno con un avanzo in bilancio. Ma, uscendo dalle logiche prettamente economiche, qual è il prezzo? Il 2% dell’etano rilevato nell’atmosfera è legato a questo tipo di produzione e i dipendenti sono esposti a rischi mortali. Meglio le rinnovabili, decisamente. 

di Irene Caltabiano

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Quello zucchero troppo amaro

Siamo sempre stati abituati a pensare che il nemico numero uno di un'alimentazione sana fossero i grassi.

 O meglio, questo è ciò che hanno sempre voluto farci credere. Uno studio della University of California, pubblicato sulla rivista specializzata Jama Internal medicine, ha scoperchiato il vaso di Pandora: da oltre cinquant'anni ci viene nascosto il legame tra zucchero bianco e malattie cardiache.

La Sugar Research Foundation, oggi Sugar Association, durante gli anni '60 avrebbe pagato alcuni scienziati per mentire sull'influenza dell'uso quotidiano dello zucchero raffinato sull'aumento di patologie cardovascolari. Cinquantamila dollari il prezzo per il silenzio di tre scienziati di Harvard, che, successivamente, pubblicarono sul New England Journal of Medicine dati sostanzialmente falsi, puntando l'indice sui grassi saturi.

 

Due di loro sono morti. Il terzo, Mark Hegsted, negli anni '70 rivestì addirittura il ruolo di capo del Dipartimento di Agricoltura, dove contribuì peraltro a pubblicare diverse linee guida sull'alimentazione. Il dibattito tra chi fosse il “killer” fra zuccheri e grassi era aperto già in quel periodo. Esistevano principalmente due punti di vista. Ancel Keys, fisiologo (scopritore tra le altre cose della dieta mediterranea), sottolineava come il vero colpevole di una cattiva alimentazione fossero grassi saturi e livelli di colesterolo. John Yudkin metteva sotto accusa gli zuccheri, pubblicando persino un libro dal titolo inequivocabile: “Puro, bianco, mortale”. Quest'ultima ipotesi andava contro il profitto dei magnate industriali. Così John Hickson, manager di una grossa filiera, finanziò ulteriori ricerche che dimostrassero il contrario.

La strategia si rivelò vincente, anche se altamente illegale. Purtroppo o per fortuna i primi dati documentati su un determinato argomento continuano a influenzare per anni il dibattito scientifico. Soprattutto negli USA, dato l'alto tasso di obesità, la recente scoperta è un argomento scottante. Si calcola che l'americano medio consumi circa 22 cucchiaini di zucchero al giorno, pari a 400-450 calorie, la maggioranza dovuti a dolciumi e bibite gassate. Per molti decenni infatti gli statunitensi sono stati spinti dai funzionari sanitari a diminuire i grassi ( comunque dannosi in quantità eccessive), sostituendoli con alimenti ricchi di saccarosio.

 

Alla luce di quest'amara verità , il dibattito sul consumo di zuccheri è stato riaperto, tanto per quanto riguarda malattie cardiovascolari quanto per 'insorgenza di carie e altre patologie. L'organizzazione mondiale della sanità ha recentemente imposti nuove riduzioni di consumo: lo zucchero deve rappresentare il 10% del fabbisogno nutritivo giornaliero, ancora meglio il 5% ( circa 6 cucchiaini).

Il fatto in sé è molto grave. Se è successo per lo zucchero, chissà cosa altro ci potrebbero nascondere...

 

di Irene Caltabiano

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