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Come il consumismo sta uccidendo gli orsi polari. La storia di Pizza

L’orso bianco, re dei ghiacci.

Siamo abituati a pensarlo in mezzo a distese nevose o in attesa di fare scorpacciata di salmone. La realtà purtroppo  è molto diversa. Vederlo rinchiuso in un centro commerciale fa molta più presa e aumenta le potenzialità d’acquisto.

Si chiama Pizza e si trova rinchiuso dentro il Grandview Shopping mall di Guanghzhou, regione a Sud della Cina. Qui più di 500 specie vengono esposte come fossero prodotti. I clienti si muovono tra trichechi, balene belunga, volpi artiche, messe lì per pura estetica, facendo guadagnare al mall l'amaro titolo di zoo più triste del mondo. Una crudeltà già più volte segnalata dagli animalisti cinesi con numerose petizioni per bloccare la tendenza a mostrare animali in cattività a fini commerciali.

Pizza vive in uno spazio microscopico per la sua stazza. Ha lo sguardo triste, compie gesti ripetitivi, dà pugni alla vetrina e se ne sta spesso con la faccia accostata al  bocchettone dell’aria, come se volesse fiutare il mondo esterno o cercare una via d’uscita. Gli altri animali vivono come lui in un habitat totalmente inadatto. Il mondo per fortuna non è rimasto indifferente allo scandalo e fioccano le petizioni per liberare Pizza. Prima fra tutte, la campagna condotta da Animal Asia, che chiede di chiudere il Grandview Aquarium ponendo fine una volta per tutte a questa crudeltà.

Numerose le offerte di una vita migliore per l’orso bianco. Lo Yorkshire Wildlife Park ha proposto di portarlo, nel momento in cui venga rilasciato, all’interno di un parco naturale appositamente creato per gli orsi polari. Lì la compagnia non mancherebbe e potrebbe avere a disposizione un’area di dieci acri e due laghi di otto metri di profondità per immergersi, esattamente come farebbe in natura. Il WildLife park ha dichiarato di sobbarcarsi le spese di viaggio per Pizza ma non ha offerto denaro per timore che venga sostituito con un altro orso bianco.

Nessuno è nato per vivere in gabbia, nè tanto meno lo splendido e maestoso sovrano del Polo. 

 

di Irene Caltabiano

Quell'orso non è un peluche

 

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Orto in ufficio? Favorisce relax e produttività

Un’oasi nel grigio cemento di Tokyo?

I giapponesi hanno intuito che, per lavorare bene, bisogna farsi ispirare dalla natura. Quale miglior soluzione allora se non un orto di 4mila metri quadrati, dedicati alla coltivazione di più di 200 specie vegetali?

Succede a Pasona, in un’azienda specializzata in risorse umane, dove le scrivanie si mescolano ai campi di riso, le stampanti ai grappoli di pomodoro.

Anche all’esterno la struttura sembra un giardino incantato.

Il progetto è stato curato dallo studio newyorchese Kono Design; gli ingegneri hanno riqualificato un edificio di nove piani, riempiendo gli spazi lavorativi di piccole, colorate distrazioni: il verde vivo di un broccolo o la rotondità di un'arancia.

Qui i dipendenti possono coltivare ciò che vogliono, per loro e le proprie famiglie, facendosi aiutare anche dai colleghi. Sono invitate anche le scolaresche a piantare il riso e vederlo crescere.

Prendersi cura delle piante aiuta a rilassarsi, concentrarsi ed essere più produttivi. Essere capaci di crescere un’altra forma di vita alimenta ed è paragonabile alla cura di un progetto e sviluppa la volontà di collaborazione.

Urban farming, l’agricoltura del domani

Si stima che dal 2050 la popolazione mondiale migrerà ancora di più verso la città. Gli spazi urbani dovranno perciò supplire alla crescente richiesta di acqua e cibo.

Coltivare verdura e frutta in loco significa sfruttare minor numero di imballaggi e trasporti, per giardini che cresceranno su tetti, balconi e palazzi. Si dovranno ripensare spazi e architetture per una nuova integrazione tra natura e spazi vitali. 

 

irene caltabiano

di Irene Caltabiano

 

 

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Se i politici non fanno nulla, la lotta agli inceneritori parte dal basso

Dove non arrivano le istituzioni, è compito dei cittadini attivarsi per gli interessi della comunità.

E nel caso delle Mamme no inceneritore, comitato toscano che si impegna per difendere l'ambiente, non hanno certo aspettato che la manna arrivasse dal cielo. Galeotta fu la dichiarazione delle istituzioni locali della costruzione di impianti altamente inquinanti nella piana fiorentina, già zona a rischio per gli alti livelli tossici nell'aria. A parte l'inceneritore per i rifiuti, erano previsti anche un nuovo aereoporto e una terza corsia dell'autostrada. Così un gruppo di mamme si è unito spontaneamente per dire no alle “grandi opere” e sensibilizzare la cittadinanza con iniziative che dessero alternative eco-sostenibili.

Fra i progetti più famosi per ridurre la mole di rifiuti c'è la "borraccia Mamme no inceneritore". I bambini, a scuola, sprecano un sacco di bottigliette di plastica. Perchè allora non optare per un evergreen dell'antispreco in acciaio, che, peraltro, è l' unico materiale che conserva inalterate le proprietà del liquido? Il prodotto è stato realizzato in collaborazione con un'azienda di design bolognese. Risultato? Se si usa la borraccia si evita di buttare almeno 3 bottigliette a settimana, il che vuol dire 156 unità di rifiuti in meno. Finora ne sono state vendute circa 2200.

Mamme no inceneritore non si ferma certo qui. Sono tornati in pista con Che aria tira?, nuovo progetto in crowdfunding per realizzare una rete di centraline per la misurazione della qualità dell'aria. Gli strumenti analizzanno presenza di polveri, monossido di carbonio, temperatura e umidità così da avere un quadro completo della situazione e comprendere quali sono le maggiori fonti di inquinamento. La gran parte delle centraline funziona autonomamente, sfruttando l'energia solare. Il progetto verrà realizzato con partner autorevoli: medici, ricercatori, università, diverse professionalità che daranno basi solide all'iniziativa.

Cosa si farà con i dati raccolti?

Saranno pubblicati su una piattaforma pubblica che raccoglierà le misurazioni di altre centraline, così da poterli confrontare. I documenti verranno utilizzati per uno studio scientifico partecipato, concernente sia il rilevamento dell'inquinamento atmosferico sia gli effetti sulla salute umana. Al momento il progetto si concentra sulla zona della piana fiorentina ma potrebbe essere replicato ovunque.

La campagna, conclusasi circa un mese fa, ha raccolto più dei 15.000 euro previsti. Un risultato che promette bene, sia per il comitato che per i sostenitori, evidentemente sensibili al tema. Non vediamo l'ora di sentire il secondo capitolo della storia.

 

di Irene Caltabiano

 
 

 

 

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