Lavorare 2.0

Sfogliacampanella.it, la sfogliatella 2.0 che arriva dappertutto

Vincenzo Ferrieri, pasticcere napoletano crea un sito per vendere le sfogliatelle napoletane

sfogliatella_a_napoliPerché la sfogliatella fatta a Napoli ha tutto un altro sapore e la vogliono tutti, anche all’estero. Lo ha capito Vincenzo Ferrieri,32 anni pasticcere napoletano, che ha creato un sito, sfogliacampanella.it, di e-commerce, specializzato nella vendita di sfogliatelle, dolci e salate, babà e sfogliacampanelle. 

Con la sua capacità inventiva e la sua creatività,tipica dei napoletani, ha deliziato per anni sia gli italiani che i turisti in quello che è lo storico laboratorio in Piazza Garibaldi, punto nevralgico dell’intera città. 

Ha così deciso di portare i suoi prodotti ovunque vengano richiesti sul sito.

 

Chi è Vincenzo Ferrieri?

Vincenzo_ferrieri

Vincenzo Ferrieri è un pasticcere con una grande esperienza ereditata da padre e nonno e con una passione per la pasticceria creativa. 

Dalla sua creatività nasce la Sfogliacampanella un dolce che unisce la pasticceria napoletana a quella siciliana e che egli stesso definisce come “l’incontro tra sfogliata riccia e babà uniti da una crema di ricotta”.

Sfogliacampanella è anche un negozio fisico situato nel cuore di Napoli a via San Biagio dei Librai 110 all’interno del quale si può acquistare la sfogliatella e decidere come farcirla. Si può,inoltre ,assistere alla sua preparazione e vedere Vincenzo e suo nipote all’opera.

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Il sito

Sul sito si possono acquistare il classico babà napoletano, le sfogliatelle dolci, disponibili in ben 11 gusti (frutti di bosco, mandorla, bacio, ricotta e pere,  limoncello, pistacchio, albicocca, arancia, nocciola, oreo e, ovviamente, quella classica) e le sfogliatelle salate, disponibili in 7 varianti (provola e melanzane, provola e peperoni, provola e zucchine, ricotta e salame, salsicce e friarielli, scarola e provola, soffritto).

Il servizio online è garantito nei giorni lavorativi e le consegne avvengono nell’arco di 24 ore

Gli ordini avviati nel fine settimana verranno invece smistati il lunedì successivo.

Dove sono arrivate le sfogliatelle? 

Beh, vi basti sapere che l’ultimo ordine ricevuto è un acquisto da 3700 pezzi, diretti a Londra.

Simona
Blogger napoletana doc

 

 

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Aprire un Foodtruck: Zibo, la cucina ambulante di qualità

Modesto investimento e tasso di fallimento basso….il food trak conviene!

ziboSono diffusissimi negli Stati Uniti e sono la moda del momento anche in Italia: i food truck o ristoranti ambulanti. Gli affitti carissimi delle grandi città non permettono ai giovani e talentuosi chef di realizzarsi, ed è così che questi hanno deciso di cucinare in un camioncino. 

Solo panini? No, in Italia,ad esempio, i camioncini servono cibo di strada, specialità regionali, etniche o pop come la pizza – ma di prima qualità.

Un esempio di alta qualità del food trak italiano è Zibo Cuochi Itineranti

Come nasce il progetto Zibo

 

Il progetto Zibo nasce da due cuochi professionisti Alessandro Cattaneo (classe 1985) e Giulio Potestà (classe 1987). Dopo essersi conosciuti all’Alma di Gualtiero Marchesi, entrambi hanno lavorato in grandi  ed importanti ristoranti fino a quando, dopo essersi rincontrati, nel 2014 decidono di realizzare il progetto Zibo Cuochi Itineranti che nascerà nel 2015.

Hanno compreso che lo sforzo economico per l’apertura di un vero ristorante sarebbe stato notevole  e che i rischi erano tanti e quindi hanno optato per il  food truck che ha sicuramente meno rischi rispetto ad un ristorante, anche se richiede un'organizzazione maggiore. 

Il progetto è innovativo perché il loro menù è vario e di alta qualità. Cucinano piatti classici italiani e realizzano dessert con frutta fresca di stagione come se fosse un ristorante, al punto che si propongono per catering, banqueting, cene a domicilio ed eventi.

I vantaggi

 

Il food truck è certamente più divertente di un classico ristorante e si ha la possibilità di organizzare il lavoro come si vuole ed anche la propria vita e la propria giornata.. Non si rischia, ad esempio, di aprire a pranzo e che non viene nessuno a mangiare.

La burocrazia italiana

Per la realizzazione del progetto ci sono stati tempi di attesa un po’ lunghi dovuti alla burocrazia. Per ottenere la licenza si deve dimostrare di aver lavorato nella ristorazione, per almeno due anni negli ultimi cinque. Una volta conquistata la licenza, bisogna compilare la carta di esercizio, dove devono essere registrate le persone che lavoreranno.

Inoltre sono stati sottoposti a vincoli relativi alla circolazione del veicolo che può sostare solo in alcune aree e sulle strisce blu per due ore. 

Sono soddisfatti

Attualmente Alessandro e Giulio continuano a viaggiare per l’Italia dimostrando le loro abilità di chef , anche se non è stato facile far capire ai passanti che non si tratta di cibo scadente ma di ottima cucina. Ci sono riusciti grazie all’immagine che hanno: sono sempre in divisa da cuoco ed il furgone ha una grafica che fa comprendere il loro messaggio.

Ad oggi sono soddisfatti del loro investimento che si sta dimostrando redditizio anche nei mesi invernali ( nei quali c’è un calo della richiesta di cibo all’aperto) grazie ai catering ed ai matrimoni.

Simona
Blogger soddisfatta

 
 
 

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Lydda Wear: la battaglia (vinta) per il diritto dei disabili alla normalità

L’abito non fa il monaco è una mezza verità

DressInfatti, se pretendere di inquadrare una persona basandosi principalmente sul suo aspetto esteriore è indiscutibilmente ridicolo, è un dato di fatto che per vestirci scegliamo (o dovremmo scegliere) qualcosa che rappresenti, almeno parzialmente, l’idea che abbiamo di noi stessi.

L’abbigliamento che indossiamo rappresenta una sorta di seconda pelle, immaginata e voluta, a differenza della prima, che ci viene “offerta in dotazione” in modo assolutamente casuale. E solo se ci sentiamo a nostro agio al suo interno acquisiamo disinvoltura e sufficiente autostima, “ingredienti” fondamentali per vivere un’esistenza soddisfacente, caratterizzata da relazioni nutrienti e stimolanti.

Tuttavia, non sempre l’espressione di ciò che sentiamo di essere si concretizza con facilità, in quanto la conoscenza e consapevolezza del nostro corpo, delle sue risorse e dei suoi limiti, è il frutto di un processo lungo e, talvolta, accidentato.

Dunque, se già chi viene definito normale, nel senso che non è affetto da patologie particolarmente invalidanti, deve fare i conti con un rapporto spesso tormentato e complesso con la propria identità esteriore, è facile immaginare quanto siano amplificate le difficoltà, per chi convive con un qualche handicap.

Non è un caso, quindi, che l’elaborazione di soluzioni concrete e pratiche al problema sia arrivata da persone che vivono quotidianamente e direttamente il tema della diversità, con tutte le sue implicazioni.

Lydda Wear è un’azienda di Terrassa Padovana (Pd) che, unica in Italia nel suo genere, progetta e realizza capi d’abbigliamento destinati a persone affette da una qualche patologia invalidante. A oggi il marchio, con i suoi 600 prodotti, risponde alle esigenze di utenti colpiti da 200 malattie, dalla tetraplegia all’Alzheimer.

Come lavora Lydda Wear?

Pier_Giorgio_SilvestrinPier Giorgio Silvestrin ha ideato il marchio in collaborazione con la moglie Catia, biologa che cura la comunicazione web e si occupa delle questioni scientifiche connesse al confezionamento dei capi.

La pregressa esperienza come sarto ha consentito a Pier Giorgio Silvestrin di strutturare il processo di scelta/realizzazione/acquisto in modo tale da consentire ai clienti di indossare qualcosa che fosse – letteralmente – tagliato su misura delle loro esigenze. Così, ciascuno può scegliere dal sito l’indumento che preferisce, tra quelli proposti, e compilare una scheda inerente dati e misure personali. Successivamente riceve a casa alcuni prototipi da provare e rimandare a Lydda Wear corredati da indicazioni e suggerimenti ad hoc. Infine viene confezionato e spedito il capo di vestiario, insieme a un catalogo di tessuti da consultare per gli ordini successivi.

Cambiare pelle all’insegna di un imperativo: realizzare prodotti su misura, ma industriali

Il padre di Pier Giorgio Silvestrin era, a sua volta, sarto, e nel 1973 aveva fondato un’azienda di confezioni tradizionali che produceva capi d’abbigliamento in conto terzi per note marche della moda milanese. “Negli anni 80 abbiamo tagliato tantissimi jeans El Charro, come pure buona parte della giubbotteria Trussardi Sport”.

Il rischio sarebbe stato, quindi, sulla scia della pressante esternalizzazione in Est Europa ed Oriente compiutasi tra gli anni Novanta e il Duemila, di trovarsi davanti a un bivio e, nella peggiore delle ipotesi, chiudere i battenti.

Lydda_WearLa sorte dell’azienda prende però un’altra piega: il fratello di Pier Giorgio Silvestrin è stato colpito, alla nascita, dalla patologia della spina bifida. Così, la sua vita è stata scandita dal rapporto indissolubile con la sedia a rotelle, e per i genitori è stato naturale, quasi scontato, esprimere il loro amore e dedizione confezionando dei pantaloni che rispondessero appieno alle sue esigenze di vestibilità, comodità … e normalità.

“I jeans, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, richiedono un ciclo di lavoro complesso e sofisticato. Tuttavia, i miei genitori riuscirono nella sfida di decostruirli e ricostruirli: realizzarono un prodotto più alto dietro e più basso davanti, in modo da coprire la schiena e ovviare a fastidiose compressioni. Senza contare la laboriosa procedura per renderli il più possibile simili a quelli indossati da un normodotato. Ovviamente volevano ottenere un prodotto che consentisse a loro figlio di sentirsi, nonostante tutto, vicino ai suoi coetanei”.

Macinare numeri ed esperienze

Lydda_WearLa produzione pilota parte nel 1993, ma sin da subito Pier Giorgio Silvestrin e i suoi si rendono conto che devono osare, e pensare in modo più ampio, perché il settore ortopedico – sanitario è decisamente troppo angusto e limitante. Quattro anni dopo arriva il sito Internet e nasce ufficialmente il marchio Lydda Wear.

Nel 2000 l’azienda supera i 500 clienti; nel 2004 triplica la cifra e inaugura un sito destinato esclusivamente all’ecommerce e una stazione CAD finalizzata all’ideazione dei modelli su computer.

Nel 2010 i clienti sono 5.000, e con loro arrivano anche i riconoscimenti da parte dei mezzi di informazione. Lydda Wear vince infatti il Sodalitas Social Award.


La normalità è un concetto relativo, ed ha un senso solo se viene riempito – e declinato – sul corpo di ciascuno, prendendo vita attraverso le sue peculiarità. Normalità non è imporre una regola, ma accettare che il mondo è popolato da miliardi di eccezioni. Ognuno di noi ne è portatore sano. 

 
francesca garrisi
 
 
 

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