Lavorare 2.0

Lavorare in proprio (Seconda parte)

Cinque idee originali per diventare “indipendenti”.

Nella prima parte dell’articolo dedicato al lavoro in proprio (se non l’hai ancora fatto, puoi leggerlo qui) abbiamo parlato della necessità di fare impresa per creare nuove opportunità professionali per tutti. La maggior parte delle idee innovative nasce in società culturalmente più adulte come gli Stati Uniti, Israele, la Gran Bretagna e i paesi del Nord Europa.  Tuttavia anche in Italia si sta muovendo qualcosa.

Ecco allora una lista di alcune tra le realtà più interessanti nate di recente da cui prendere spunto se si vuole diventare imprenditori. Leggere la storia di chi ha osato cambiare vita ed è riuscito nel proprio intento può stimolare la creatività di chiunque ambisca a elaborare progetti inediti.

Madsen Cylces: puntare sulle due ruote.

Jared Madsen, americano dello Utah, nel 2008 ha notato che la bici rappresenta per molti un sostituto dell’auto. Così ha pensato di trasformarla in mezzo per trasportare di tutto, dalla spesa ai bambini, rendendo più agevoli gli sforzi per restare in equilibrio. Ha quindi progettato una bicicletta allungata nella parte posteriore, su cui è posizionato un contenitore che supporta fino a 271 kg

Il design è molto gradevole e un po’ retrò, stile anni Sessanta, e il prezzo di vendita è di 1850€ circa. Jared dichiara di vendere quattrocento bici l’anno, principalmente negli USA, anche se non mancano le richieste dal resto del mondo. Sul sito madsencycles.com, oltre alle due ruote, è possibile acquistare anche simpatiche t-shirt a tema, utilissimi accessori e parti di ricambio.



Il meccanico a domicilio.

I servizi a domicilio sono in genere sinonimo di successo, basti pensare al boom della pizza su ordinazione consegnata direttamente a casa del cliente. Qualcuno, in Colorado, ha capito che la maggior parte delle persone non ha né tempo né voglia di recarsi in officina quando ha un problema con l’auto. A volte si tratta di semplice pigrizia ma molto spesso di serie difficoltà logistiche. 

Da qui l’idea di far nascere Green Garage, il servizio “meccanico a domicilio” che ripara l’auto ovunque essa si trovi: a casa, in autostrada o sul luogo di lavoro. L’officina mobile sta riscuotendo grande successo e a Milano c’è chi ha pensato di ripetere l’esperimento con le biciclette, lanciando il progetto Officina Ciclante.   

Il servizio bus per gli aeroporti secondari.

«Nel 2002, in Italia nessuno sapeva ancora cosa fossero i voli low cost. I collegamenti tra città e aeroporti secondari come Roma Ciampino e Bergamo Orio al Serio, poi, erano pressoché inesistenti. Sicché ho deciso di fare la mia scommessa imprenditoriale investendo 100.000€ per noleggiare degli autobus presso una società del settore e mantenere due persone fisse a un desk di Ciampino. Ho iniziato così a trasportare passeggeri tra aeroporto e centro città, e a tutt’oggi il fatturato è di 25.000.000 di euro l’anno (sono passato da seicento passeggeri al giorno a novemila)» spiega Fabio Petroni, romano, che dà lavoro a duecentosessanta persone e dispone di cinquanta bus a marchio Terravision

«Importanti ai fini del successo sono state la partnership stretta fin da subito con una tra le maggiori compagnie aeree low cost e la presenza su internet. Per ottimizzare gli affari ho poi inaugurato i Terracaffè (presenti a Londra, Firenze e Roma presso i terminal cittadini degli autobus), dove i passeggeri possono ingannare l’attesa prima della partenza» ha quindi concluso l’imprenditore.

Hempower: quando la canapa non va in fumo.

I bolognesi Federico Dala, Chiara Marzocchi e Michele Marsili hanno fondato la Hempower, società che commercializza prodotti ecologici a base di canapa la cui sede si trova a trenta chilometri da Bologna. In catalogo si trovano tute, sandali biodegradabili senza gomma e cuciti a mano, tovaglie, zaini e quant’altro. 

«Nel 1999, in crisi con il mio lavoro, volevo crearmi un’alternativa. Presi così a girovagare su internet e mi colpirono da subito i tanti siti dedicati alla canapa. Mi resi conto che questa pianta poteva diventare la compagna ideale per un’avventura imprenditoriale e più mi documentavo, più mi appassionavo» ha raccontato Federico, uno dei fondatori dell’azienda, in un’intervista.

I pannolini lavabili di Mammaflo’.

«Cercavamo per i nostri bambini dei pannolini lavabili, ma nel 2006 in Italia era impossibile trovarne. Allora ho pensato: “Perché non produrli noi?”. Un bando regionale per l’imprenditoria ci ha finanziato i primi 25.000€, coi quali abbiamo acquistato il tessuto (spugna in bambù o in cotone e pile) presso fornitori italiani e stranieri. A quel punto abbiamo disegnato, tagliato e cucito il prodotto con le nostre mani» spiega Daniela Montinaro, pugliese, che con la sua famiglia ha aperto Mammaflo’

Un approvvigionamento di pannolini per tre anni d’uso costa appena 400€, a fronte dei 1.500€ necessari per l’acquisto dei comuni usa e getta nello stesso arco temporale. Un tipico esempio di business win-to-win che si traduce in un notevole risparmio per i genitori.

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

 
 
 
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Lavorare in proprio (Prima parte)

La fredda cronaca.

Siamo sempre qui a lamentarci perché la crisi ci ha portato via il lavoro o perché quello che abbiamo è malpagato e insoddisfacente. Migliorare la propria condizione di vita, anche a livello professionale, è una sacrosanta pretesa. Cosa facciamo di concreto, però, per cambiare la situazione?

Il più delle volte ci limitiamo a inviare la nostra candidatura ad aziende che, in modo del tutto arbitrario, riteniamo possano offrirci quel qualcosa in più di cui abbiamo bisogno. Puntualmente rimaniamo delusi nel constatare che perfino ottenere un colloquio è ormai un’impresa titanica e laddove fossimo i fortunati vincitori di una selezione, scopriremmo comunque che ci stanno offrendo le briciole. Qual è la nostra percentuale di responsabilità, in tutto questo? Siamo sicuri di avere il diritto di atteggiarci a vittime?

Quando cambia qualcosa, cambia tutto.

Warren G. Bennis, uno dei massimi esperti di leadership a livello mondiale, un giorno disse: «Se continui a fare quello che hai sempre fatto, continuerai a ottenere ciò che hai sempre avuto»Mai pensiero fu più illuminante. Come possiamo pensare di cambiare veramente qualcosa nella nostra esistenza se non usciamo mai dalla famosa zona di conforto?

Siamo cresciuti in un’epoca in cui lavorare significa bussare alla porta di qualcuno, chiedendo cortesemente che ci dia un’opportunità. Non concepiamo altre possibilità: per assicurarsi un salario occorre avere un capo che ci comandi a bacchetta e accontentarsi di una mansione per la quale non nutriamo il minimo interesse. Il che, oltre a magri guadagni, comporta in genere l’insorgenza della sindrome del colon irritabile.

Siamo adulti o bambini?

Essere “dipendenti” non significa lavorare per qualcuno ma ritenere inconsciamente di non essere in grado di provvedere da soli al proprio sostentamento. È una forma di nevrosi infantile che colpisce noi adulti di oggi e ci costringe a un presente pieno di conflitti e frustrazioni. Lo psicologo e autore Giulio Cesare Giacobbe sostiene che bambino è colui che siede ai piedi dell’albero di castagne in attesa che qualcuno gliene tiri giù un po’, mentre adulto è chi ha il coraggio di arrampicarsi e cogliersele da solo.

Sembra la fotografia della situazione attuale: pochi adulti in cima agli alberi e tanti bambini di sotto a frignare. L’esatto opposto della vita che hanno fatto i nostri nonni, quando lavorare significava saper fare qualcosa con le proprie mani, aprire una bottega e guadagnarsi il pane quotidiano.

Si tratta quindi di prendere una decisione e stabilire chi si vuole essere, accettando i rischi che tale scelta comporta. Perché continuare a trincerarsi dietro alla parola “sicurezza” (quella del lavoro dipendente, più che del posto fisso) è una manifesta ammissione della paura di assumersi delle responsabilità. La crisi, quella vera, nasce proprio così: si smette di piantare nuovi alberi, ci si dimentica come effettuare il raccolto e ci si ritrova a bocca spalancata come pulcini che reclamano il becchime. Il risultato è che i rami si svuotano, le castagne vengono razionate e molti restano immancabilmente a digiuno.

Non è un caso che società culturalmente più adulte di altre come gli Stati Uniti, Israele, la Gran Bretagna e i paesi del Nord Europa, seppur inizialmente abbiano registrato anch'essi una flessione, siano da tempo in netta ripresa. Da quelle parti, uno studente universitario che sta per laurearsi concepisce come prima opzione lavorativa quella di lanciare una start up assieme a qualche compagno di corso, anziché limitarsi a inviare curricula. È così che nascono nuove opportunità per tutti.
Nella seconda parte di questo articolo vedremo alcuni esempi di chi ha messo in moto il cervello, si è armato di coraggio e ha fatto il grande salto. Esattamente come i nostri nonni.

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

 
 
 
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Da commerciante a scrittore: la storia di Luciano, il signore in giallo

Scrivere è una necessità.

intervista-assassinaSono sempre stata dell’idea che autori, in qualche modo, si nasce. Qualcuno possiede la vocazione per ingegneria e matematica, altri per lo sport. Se invece ami mettere pensieri o storie nero su bianco sarà difficile che questa passione ti abbandoni. Anche se la vita ti ha portato a dover prendere un’altra direzione.

C’è chi infatti, anche giunto nel mezzo del cammin della sua vita, non ha abbandonato il proprio sogno. Luciano Faraco, classe 1960, ufficialmente fa il commerciante ma ha sempre amato scrivere. Da Napoli con furore, ha da poco sperimentato la gioia di veder pubblicata la seconda edizione de L’intervista assassina, suo primo romanzo. Gli abbiamo fatto qualche domanda per capire come sia possibile conciliare lavoro e passioni e regalare qualche consiglio agli aspiranti scrittori.

L’amore di Luciano per carta e penna ha radici lontane«Da ragazzo volevo fare il giornalista. A scuola ero bravo con i temi, ma nulla di più. Non mi ero mai cimentato a scrivere seriamente un romanzo e non pensavo neanche di esserne capace. Finchè un’estate di qualche anno fa ne parlai con un mio zio, giornalista de Il Mattino e da sempre mio riferimento culturale, manifestandogli questa mia voglia segreta di scrivere una storia».

Com’è andata?

«Mi chiese di buttare giù qualche pagina. Quando lesse quelle righe rimase fortemente colpito e mi spronò a continuare.  Da quel momento ho scritto alcuni brevi racconti, canzoni e poesie, anche in dialetto napoletano. Fino ad arrivare a “L’intervista assassina».

Cosa ti ha spinto a scrivere un giallo?

«È da sempre il mio genere preferito. Ricordo ancora il primo che lessi: un Mondadori, quelli con l’immagine dentro il giallo-mondadoricerchio, al centro della copertina, che richiamava la storia. Avevo sedici anni e lo presi dal cassetto del comodino di mio padre, grande appassionato della categoria».

C’è stato qualche evento particolare che ti ha ispirato?

«Era l’estate del 2012. In tv imperversava la terribile vicenda di una ragazzina uccisa con una cinta stretta intorno al collo. Fu il macabro “giallo dell’estate”, con continui colpi di scena. Seguivo come tutti l’evolversi del caso; d’altronde era quasi impossibile non farlo, dal momento che ogni canale dedicava ore alla terribile vicenda. Ovviamente i media ne erano attirati come il miele. Inviati speciali, giornalisti e pseudo tali, analizzavano l’evento in modo freddo, come se stessero parlando di una partita di calcio. Non potevo far a meno di provare disgusto per quelle persone senza un briciolo di cuore, che sguazzavano nel dolore altrui».

E quindi cosa è scattato dentro di te?

Provavo un tale rancore da aver voglia di vendicarmi di quel modo di fare ripugnante. Fu così che mi venne l’idea, ma solo l’idea, di inventarmi una finta storia misteriosa con la classica persona scomparsa, chiamare le testate giornalistiche e farle appassionare alla vicenda, per poi ridicolizzarle in diretta tv svelando la messinscena. Da qui a scrivere un romanzo il passo è stato breve».    

Esiste un metodo giusto da seguire per scrivere una storia?

«Ognuno ha il suo. Personalmente cerco sempre qualcosa di originale, una vicenda che mi permetta di creare una certa dose di mistero e suspence. Poi comincio a scrivere la trama, dividendola in avvenimenti da approfondire. Butto giù le caratteristiche sia fisiche che caratteriali dei protagonisti,  con tic e manie, e elaboro schede per evitare di dimenticarne le peculiarità. Poi scrivo, riga dopo riga, di getto, finchè non mi calo anche io nella storia, diventandone parte integrante. Ogni tanto torno indietro per modificare, correggere e perfezionare. In un giallo è molto importante la sequenza cronologica degli avvenimenti e il riferimento al profilo psicologico dell’assassino già tracciato in precedenza. A lavoro finito rileggo tutto per far quadrare alla perfezione la storia».

Passando alle domande più pratiche… è possibile conciliare due attività lavorative contemporaneamente?

«Si, ma con molta difficoltà .Bisogna organizzarsi molto bene ed occupare tutti i tempi morti. Stare alla guida ad esempio stimola la mia creatività e quando sono in macchina da solo spesso mi capita di prendere appunti (dopo essermi fermato, ovviamente)».

Come sei riuscito a far pubblicare il libro? Cosa consiglieresti a chi vuole scriverne uno?

«Lo pubblicai la prima volta a mie spese. Una grande soddisfazione certamente. Qualche copia l’ho regalata, molte altre le holuciano-faraco vendute, ricevendo tantissimi complimenti. Poi conobbi il titolare della NPE, una piccola casa editrice alla quale sottoposi il volume. Dopo alcuni mesi ricevetti la telefonata che ogni scrittore alle prime armi vorrebbe ricevere: il signor Nicola Pesce mi disse  che il romanzo era piaciuto ed avevano deciso di pubblicarlo. Un momento molto emozionante. L’unico consiglio che mi sento di dare a chi vorrebbe scrivere un romanzo e non pensa di esserne capace è : butta giù tutto ciò che ti viene in mente  e rileggilo, male che vada hai sprecato un foglio».

Luciano ha già pronto il secondo romanzo, un altro giallo dal titolo Il Mistificatore, ambientato per metà a Roma e l’altra in un’isola del Mediterraneo, a  breve nelle librerie e già presente nei cataloghi online. «Il mio obbiettivo è diventare un raro esempio del "si può avverare un sogno, basta crederci"». Direi che è già sulla buona strada.

 

di Irene Caltabiano

 

 
 
 
 
 
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