Lavorare 2.0

Italiani esperti di Internet quando c’è da perdere tempo. Ma se bisogna cercare lavoro…

Italiani esperti di Internet quando c’è da perdere tempo. Ma se bisogna cercare lavoro…
Whatsapp, Facebook, Snapchat, Instagram.
Sempre più, a scandire le nostre vite non è l’alternarsi delle stagioni o il verificarsi di eventi oggettivamente significativi nell’ambito privato e/o professionale, quanto piuttosto la quantità di notifiche macinate giornalmente sui social.
Alla vita reale si affianca e/o sostituisce quella virtuale, con chiare – e talvolta pesanti – ripercussioni sull’equilibrio psico-fisico degli individui. Ma non basta, alla bulimia da social, in Italia, fa da contrappunto una diffusa mancanza di dimestichezza con la tecnologia. Insomma, sembra che il web piaccia e conquisti quando serve a distrarsi e oziare, mentre assume le sembianze di un’entità arcigna e inospitale, paradossalmente, laddove potrebbe facilitare attività significative come la ricerca di lavoro, l’home banking o la pianificazione di un viaggio. A fornire gli (allarmanti) dati che descrivono il fenomeno è Eurostat. 
Uomini e donne accomunati dalla diffidenza verso l’Internet utile
Gli italiani si caratterizzano per un mix di sospetto, scetticismo e pigrizia, quando si tratta di svolgere online operazioni minimamente complesse. Scorrendo i numeri relativi l’utilizzo della Rete per operazioni di e-commerce e home banking emerge infatti un marcato divario tra i nostri connazionali e inglesi, francesi e tedeschi. Il problema investe in misura analoga i due generi, e ci colloca agli ultimi posti della classifica europea. Peggio di noi solo Turchia, Bulgaria, Macedonia e Romania. 
Una tendenza, questa, che va ricollegata al cronico, endemico, ritardo accumulato dal nostro Paese in concomitanza delle principali rivoluzioni digitali, a partire dagli anni Ottanta. Anche la classe politica ha giocato un ruolo, in tal senso: sono infatti mancati energici e decisi interventi e misure di sistema volti non solo a promuovere l’alfabetizzazione digitale, ma anche e soprattutto a creare la cultura dell’esemplificazione telematica. A pensar male, c’è da supporre che mantenere una spiccata affezione per la carta sia stato funzionale a tenere in vita, pressochè indisturbata, una burocrazia a volte ipertrofica.
Lavorare, per le donne, resta due volte faticoso. In ambito tecnologico, poi, sembra essere un’impresa
Ad aggravare il già sconfortante quadro complessivo c’è poi la specifica condizione femminile, la cui collocazione in ambito lavorativo è spesso frutto di dolorosi compromessi, se non proprio di scelte obbligate. Il divario nel numero di occupati tra i due generi, In italia, sfiora il 20%; numeri più preoccupanti arrivano solo da Turchia, Malta e Macedonia. 
Nel nostro Paese non lavora una donna su due. La situazione non è molto diversa da quella che caratterizza l’area musulmana. La tendenza generale rispecchia la situazione specifica dell’ICT (Information and Communication Technology), dove la componente femminile occupata è meno di un terzo di quella inglese e tedesca, e pari al 14,2% del totale. Perfino la Spagna, con 13 milioni di abitanti in meno e un maggiore tasso di disoccupazione, fa meglio.
Comparando il rapporto gap occupazionale/presenze femminili nell’ICT, nei vari Paesi, l’Italia è prima, seguita da Grecia e Romania.
Un dato che, a una prima, superficiale, occhiata appare incredibile è poi quello relativo alle donne che non hanno usato il pc negli ultimi tre mesi. Considerando quelle con un’istruzione medio-alta, si arriva al 13%, a fronte del 3% di Spagna e del 4% della Francia. Corollario forse quasi inevitabile è che, prendendo a campione la popolazione femminile tra 25 e 29 anni, quella che teoricamente dovrebbe essere impegnata (su tutti i fronti) nella ricerca di un lavoro, la cifra si attesta al 25%. Solo la Turchia riesce a scipparci l’ultimo posto. 
Un’analisi, quella di Eurostat, che, sulla base dei grandi numeri, ci restituisce l’immagine di un Paese sonnolento, apatico, poco propenso a mettersi in gioco e migliorarsi. Un Paese che non vuole bene alle donne e che, per cambiare direzione, dovrebbe innanzitutto scrollarsi energicamente di dosso il retaggio culturale degli ultimi cinquant’anni. Il passo successivo, inevitabile e salvifico, sarebbe quello di acquisire maggiore consapevolezza e selettività nella scelta della classe politica. Perché solo migliorando noi stessi e il microsistema sociale che ci circonda possiamo sperare di incidere sostanzialmente sulla collettività tutta, e sull’epoca che viviamo. 
Whatsapp, Facebook, Snapchat, Instagram
 
Italiani e ICTSempre più, a scandire le nostre vite non è l’alternarsi delle stagioni o il verificarsi di eventi oggettivamente significativi nell’ambito privato e/o professionale, quanto piuttosto la quantità di notifiche macinate giornalmente sui social.
Alla vita reale si affianca e/o sostituisce quella virtuale, con chiare – e talvolta pesanti – ripercussioni sull’equilibrio psico-fisico degli individui. Ma non basta, alla bulimia da social, in Italia, fa da contrappunto una diffusa mancanza di dimestichezza con la tecnologia. Insomma, sembra che il web piaccia e conquisti quando serve a distrarsi e oziare, mentre assume le sembianze di un’entità arcigna e inospitale, paradossalmente, laddove potrebbe facilitare attività significative come la ricerca di lavoro, l’home banking o la pianificazione di un viaggio. A fornire gli (allarmanti) dati che descrivono il fenomeno è Eurostat
 

Uomini e donne accomunati dalla diffidenza verso l’Internet utile

Italiani e ICTGli italiani si caratterizzano per un mix di sospetto, scetticismo e pigrizia, quando si tratta di svolgere online operazioni minimamente complesse. Scorrendo i numeri relativi l’utilizzo della Rete per operazioni di e-commerce e home banking emerge infatti un marcato divario tra i nostri connazionali e inglesi, francesi e tedeschi. Il problema investe in misura analoga i due generi, e ci colloca agli ultimi posti della classifica europea. Peggio di noi solo Turchia, Bulgaria, Macedonia e Romania. 
Una tendenza, questa, che va ricollegata al cronico, endemico, ritardo accumulato dal nostro Paese in concomitanza delle principali rivoluzioni digitali, a partire dagli anni Ottanta. Anche la classe politica ha giocato un ruolo, in tal senso: sono infatti mancati energici e decisi interventi e misure di sistema volti non solo a promuovere l’alfabetizzazione digitale, ma soprattutto a creare la cultura dell’esemplificazione telematica. A pensar male, c’è da supporre che mantenere una spiccata affezione per la carta sia stato funzionale a tenere in vita, pressochè indisturbata, una burocrazia a volte ipertrofica.
 

Lavorare, per le donne, resta due volte faticoso. In ambito tecnologico, poi, sembra essere un’impresa

Donne e ICTAd aggravare il già sconfortante quadro complessivo c’è poi la specifica condizione femminile, la cui collocazione in ambito lavorativo è spesso frutto di dolorosi compromessi, se non proprio di scelte obbligate. Il divario nel numero di occupati tra i due generi, In italia, sfiora il 20%; numeri più preoccupanti arrivano solo da Turchia, Malta e Macedonia. 
Nel nostro Paese non lavora una donna su due. La situazione non è molto diversa da quella che caratterizza l’area musulmana. La tendenza generale rispecchia la situazione specifica dell’ICT (Information and Communication Technology), dove la componente femminile occupata è meno di un terzo di quella inglese e tedesca, e pari al 14,2% del totale. Perfino la Spagna, con 13 milioni di abitanti in meno e un maggiore tasso di disoccupazione, fa meglio.
Comparando il rapporto gap occupazionale/presenze femminili nell’ICT, nei vari Paesi, l’Italia è prima, seguita da Grecia e Romania.
 
Donne ICTUn dato che, a una prima, superficiale, occhiata appare incredibile è poi quello relativo alle donne che non hanno usato il pc negli ultimi tre mesi. Considerando quelle con un’istruzione medio-alta, si arriva al 13%, a fronte del 3% di Spagna e del 4% della Francia. Corollario forse quasi inevitabile è che, prendendo a campione la popolazione femminile tra 25 e 29 anni, quella che teoricamente dovrebbe essere impegnata (su tutti i fronti) nella ricerca di un lavoro, la cifra si attesta al 25%. Solo la Turchia riesce a scipparci l’ultimo posto. 
 
Un’analisi, quella di Eurostat, che, sulla base dei grandi numeri, ci restituisce l’immagine di un Paese sonnolento, apatico, poco propenso a mettersi in gioco e migliorarsi. Un Paese che non vuole bene alle donne e che, per cambiare direzione, dovrebbe innanzitutto scrollarsi energicamente di dosso il retaggio culturale degli ultimi cinquant’anni. Il passo successivo, inevitabile e salvifico, sarebbe quello di acquisire maggiore consapevolezza e selettività nella scelta della classe politica. Perché solo migliorando noi stessi e il microsistema sociale che ci circonda possiamo sperare di incidere sostanzialmente sulla collettività tutta, e sull’epoca che viviamo. 
 
 

 

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Lavorare ad Hollywood? Non aspettare l'ispirazione

City of stars, are you shining just for me?

HollywoodCosì recita il brano cult  di La la land, film acclamatissimo da critica e pubblico. E la città delle stelle in questione non è altro che la scintillante Los Angeles.

Chi non ha mai immaginato, anche solo per un momento, di fuggire alla volta della fabbrica dei sogni? Soprattutto chi vuole DAVVERO lavorare nel cinema sa perfettamente che prima o poi, il capoluogo californiano, è tappa obbligata.

Farsi strada nel campo della settima arte non è mai semplice, ma c’è chi ce l’ha fatta. A dimostrare che il raggiungimento delle proprie aspirazioni è direttamente proporzionale a determinazione, fiducia in sé stessi e una buona dose di testardaggine.

E Giulia Corda, sceneggiatrice vincitrice dello Sloan Filmmaker Fund Grant del Tribeca Film Festival, lo sa bene.

Il Transito di Venere

Chiunque si voglia cimentare in questo arduo percorso è assetato di consigli, dritte e curiosità sulle fasi professionali dei Giulia-Cordafortunati che sono ascesi all’Olimpo del grande schermo. Giulia come ci è riuscita?

Romana, cresciuta a pane, Nutella e Billy Wilder, si laurea in Antropologia e dopo aver frequentato la sede lombarda del Centro sperimentale, ha lavorato a Rai Tre come sceneggiatrice per Un Posto Al Sole e regista per il programma Sfide.

Nel 2011 ottiene una borsa di studio Fulbright ( progetti di studio, ricerca o insegnamento per italiani all’estero) e consegue un Master in Writing for Screen and Television alla University of Southern California. 

Venus Transit è la sua sceneggiatura di tesi e diventerà anche il lascia passare per il Festival più indie di Manhattan. Il film è un Thelma e Louise versione terza età, scaturito dall’amore per i viaggi on the road e i personaggi femminili forti. Una delle protagoniste infatti è una scienziata ispirata a Margherita Hack.

Il manuale del bravo hollywoodiano

il-diavolo-veste-PradaTra Los Angeles e New York Giulia ha fatto esperienza, imparando a confrontarsi con l’ambiente dello screenwriting americano, e raccogliendo una serie di trucchetti che consentono di sapere il fatto proprio nella scalata verso il successo hollywoodiano. Eccoli:

1)   Avere sempre materiale da presentare   

«Una volta la sceneggiatrice de Il Diavolo veste Prada mi ha detto una grande verità. Non puoi mai sentirti soddisfatto di aver finito una sceneggiatura perché la persona seduta accanto a te da Starbucks ne ha scritte almeno altre sei». 

Mai mostrarsi titubanti se ti chiedono a cosa stai lavorando e portare sempre in borsa uno script ben fatto.

I sei segreti per partorire un'idea geniale

2)   Inspiration is for amateurs

scrivereNon aspettate che arrivi la grande idea. Se davvero volete fare questo mestiere, dovete sempre avere la penna in mano senza mai smettere di buttar giù idee. « Ho scritto più in un semestre alla Southern California che in tutta la mia vita precedente a Roma»

3)   Los Angeles, città di macchine e networking

Se odiate guidare, L.A. non è la città per voi.

La-la-landPer correre da una parte all’altra serve necessariamente un mezzo. Un investimento che inizialmente può risultare costoso ma che ripagherà certamente dello sforzo economico iniziale.

Fare rete, come in tutti gli ambiti artistici è fondamentale. Anche in questo luogo sconfinato, le persone che gravitano in un certo ambiente sono sempre quelle, perciò sfruttare tutte le occasioni possibili per conoscere gente del campo: festival, eventi, workshop, masterclass.

4)    Italiani ma non troppo

Gli abitanti del Bel Paese hanno un grosso punto a favore: gli americani amano l'Italia e il suo popolo. Ma, se italiano è sinonimo di allegria e simpatia, spesso lo è anche di disorganizzazione, imprecisione e pessima guida. Perciò occhio al rispetto di regole e soprattutto di orari. I californiani non ammettono ritardi.

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5)   Thank you

Sembrerà assurdo ma i piccoli gesti ( aggiungerei anche non propriamente spontanei) possono fare la differenza. Un biglietto di ringraziamento nei confronti di chi è stato gentile non sai mai dove ti possa portare. Ad esempio Giulia ha  trovato lavoro per un grazie detto al momento giusto.

6)   Aggiornarsi

Sapere un po’ tutto di qualsiasi cosa, seguire i trades, leggere i quotidiani americani (forse per riuscire a destreggiarsi in qualsiasi situazione) come l'Hollywood reporter, Variety o deadline.com.

7) Determinazione

Probabilmente non ci si stancherà mai di ripeterlo, ma per raggiungere i propri sogni si deve essere testardi, anche al limite del fastidioso a volte. Via la vergogna e la titubanza e largo all’intraprendenza!

Il miglior modo per combattere l'invidia? Competere con se stessi

8) Metodo zio Paperone

Questo più che un vero e proprio consiglio sulla professione è un atteggiamento di vita. « Un mio professore show runner mi ha detto: quando andate a un colloquio di lavoro, quando all'inizio vi chiedono se volete qualcosa, chiedete sempre una bottiglietta d'acqua. Magari il lavoro non te lo danno, ma almeno ti porti via  quella!»

 

di Irene Caltabiano

 

 

 

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Tecnologia: Ford crea la culla che fa addormentare il bambino come se fosse in auto

Max Motor Dream 

max-motor-fordLa culla “smart”, che simula i movimenti di un’automobile, creata per la Ford

E… quando il bebè proprio non si addormenta quale soluzione migliore di un giretto in macchina? Quanti di noi, colti dalla disperazione, sono scesi nel cuore della notte a prendere l’auto per far calmare nostro figlio? 

Niente panico! perché nel nostro supertecnologico mondo è stata creata una soluzione che ci consentirà di restare comodamente a casa. 

Ci ha pensato la Ford a risolvere il problema incaricando lo studio creativo di Madrid, Espada y Santacruz, di creare una culla “smart”che simula i movimenti dell’auto.

Il design è molto particolare ma allo stesso tempo minimale e con un tocco “vintage” che le conferisce un look molto attuale.

Come funziona

La culla simula, grazie a degli accessori hi-tech un viaggio in auto. Come? 

Semplice, un altoparlante riprodurrà, in maniera lieve, il suono del motore dell’auto. La culla si muoverà automaticamente per simulare la guida e delle piccole luci a LED serviranno per simulare il traffico e le altre auto.

Disattiva per: inglese

La culla tecnologica

I movimenti che simulano quelli di un’auto sono dati da quattro piccoli bracci elettrici che si trovano sotto il materassino della culla. 

E, come tutte le nuove invenzioni, anche la culla Max Motor Dream è dotata di un’app per smartphone. Attraverso l’applicazione potremo registrare il rumore del motore della nostra auto in modo che sia riprodotto dalla culla. 

Al momento la culla smart per facilitare il sonno dei più piccoli è disponibile solo sul mercato spagnolo.

Simona
Blogger mamma (esaurita)

  

 

 

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