Lavorare 2.0

Cerchi lavoro? Diventa supplente di terza fascia

Le allettanti promesse.

Ci avevano detto che prendere una laurea sarebbe stata una garanzia per il nostro futuro, perché senza un’istruzione adeguata si finisce inesorabilmente con l’essere sfruttati e malpagati«Con un titolo accademico tra le mani, invece, le vie che conducono a un lavoro serio e stabile sono infinite» sostenevano i più.

Gli abbiamo dato retta, perché in fondo lo dicevano per il nostro bene e con cognizione di causa. Tuttavia non potevamo immaginare che quelle parole avessero una data di scadenza (avrebbero dovuto apporvi un’etichetta con scritto “Da tenere in considerazione preferibilmente entro l’anno 2000”). Così ci siamo imbarcati in un corso di studi universitari, investendo tempo e denaro per il proverbiale pezzo di carta da incorniciare e appendere alla parete più in vista di casa. Come a dire:«Sono uno che ha studiato, ecco le prove!».

C’è anche chi, non contento, ha aggiunto al palmares un dottorato di ricerca, un master o addirittura entrambi, senza contare corsi di specializzazione e abilitazioni varie.
E dopo tanto penare, avrebbe dovuto cominciare la discesa…

Spiacente ma lei è troppo qualificato.

Invece abbiamo sbattuto il muso contro il precariato, entrando nel vortice degli stage non retribuiti, dei co. co. co., dei contratti a progetto e di tutte le forme di schiavismo 2.0 concepibili dalla mente umana. I meno fortunati (circa il 40% dei giovani italiani), poi, hanno dovuto fare direttamente i conti con la disoccupazione.

La necessità di avere uno stipendio ha spinto ingegneri, economisti, biologi e compagnia cantante a candidarsi per posizioni che non richiedono certo anni di studio, ed è lì che ha preso forma un nuovo adagio: “Spiacente ma lei è troppo qualificato per questa mansione”. Un modo cortese per intendere che un laureato non può fare il commesso, poiché alla prima occasione mollerebbe il posto in luogo di una sistemazione migliore, ma soprattutto pretenderebbe un trattamento in linea con la sua qualifica, diversamente dallo sbarbatello fresco (o privo) di diploma.
Oltre al danno, dunque, anche la beffa: non solo non è più vero che un’istruzione universitaria garantisce un lavoro soddisfacente e sicuro, ma è addirittura diventata un ostacolo per la sopravvivenza.

Che fare, dunque?

Poiché è impossibile tornare indietro nel tempo o chiedere a Camera e Senato una sorta d’amnistia per l’estinzione del reato di conseguimento della laurea, molti “colpevoli” hanno pensato di taroccare il proprio curriculum vitae omettendo il titolo di studio e millantando fantomatiche esperienze lavorative in qualità di commesso, cameriere e simili. A quel punto, come per miracolo, le vie d’accesso al lavoro altrimenti negato si sono aperte e siamo ufficialmente entrati nell’era del “se vuoi mangiare, non azzardarti a studiare”.

Qualche benpensante potrebbe obiettare che tale modus operandi costituisca sì un vero reato, poiché qualsiasi autocertificazione (dunque anche il CV) implica il dovere da parte di chi la presenta di non rilasciare dichiarazioni mendaci. Ciononostante omettere la laurea non significa dire una bugia ma limitarsi a non raccontare tutta la verità, il che da un punto di vista giuridico fa tutta la differenza del mondo. E poi, come si dice, bisogna fare di necessità virtù.

Esiste un’alternativa al curriculum tarocco?

Ebbene sì, signore e signori, un modo per lavorare senza auto declassarsi a diplomati c’è e si chiama “insegnamento”. Una strada poco battuta, a giudicare dal numero enorme di posti vacanti nelle scuole italiane, che peraltro consente di mettere anni e anni di studio al servizio di chi ha ancora tutto da imparare: i ragazzi, le nuove leve da formare.

Non occorre essere docenti di ruolo per ricoprire l’incarico di supplente. Tra maggio e giugno 2017, infatti, sarà possibile iscriversi alle graduatorie di istituto di III fascia, il che consentirà di essere chiamati a insegnare almeno fino al 2020 e assicurarsi uno stipendio facendo qualcosa che si ama e per la quale si è qualificati. Le opportunità sono tantissime, dalla matematica al sostegno, passando per le attività di laboratorio. Si tratta solo di registrarsi sul sito del MIUR (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca) per accedere alla sezione “Istanze OnLine”, recarsi presso la segreteria scolastica di un qualsiasi istituto statale per il cosiddetto “riconoscimento fisico” e attendere che il proprio account venga ufficialmente abilitato.

Non appena le graduatorie saranno riaperte, sarà possibile iscriversi alle classi di concorso confacenti al proprio titolo di studio e selezionare fino a venti istituti all’interno della provincia scelta nei quali si è disposti a insegnare. Dopodiché, da settembre 2017 in poi, il telefono prenderà senz’altro a squillare.

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

 
 
 
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Saunalahti school, la scuola del futuro

Spazi aperti, aria e luce ed un ambiente che rende i bambini felici e che stimola l’apprendimento: ecco la nuova scuola finlandese

bambini_finlandiaPer noi italiani è lontana milioni di anni luce ma in Finlandia è realtà. Parliamo della scuola del futuro,che tutti i bambini desidererebbero e realizzata da poco, dal nome Saunalahti school. 

Partendo dal presupposto che, chi più e chi meno, ma a quasi tutti i bambini non piace la scuola considerata un luogo noioso e poco piacevole che si ha il dovere di frequentare quotidianamente, si è pensato di risolvere il problema a partire dalla costruzione di un edificio ad hoc che possa indurre i bambini ad amarla piuttosto che odiarla.

La Saunalahti school

scuola_finlandese_targaLa scuola Saunalahti è stata costruita nella città di Espoo in Finlandia e supera le altre scuole finlandesi già ai vertici mondiali per qualità di strutture e risultati scolastici degli alunni. 

E' stata definita “la scuola del futuro”  ed è stata progettata e costruita dalla famosa società di architetti Verstas. Essa ospita 750 studenti, dalla scuola d’infanzia all’adolescenza, in una struttura di 10 mila metri quadri che comprende l’asilo e lo “youth club”, la caffetteria, la biblioteca e la palestra.

Costruita come un museo

A vederla,infatti,non sembra una scuola ma un museo d’atre moderna il che pone in evidenza le intenzioni degli architetti che ci hanno lavorato e: “l’istituto non è pensato solo come un posto dove studiare le materie tradizionali, ma per diventare un punto focale della città di Espoo”. La biblioteca, infatti, è aperta al pubblico di sera, e “c’è una crescente integrazione tra la scuola, l’asilo e lo youth club”.

Libertà di movimento

banchi_scuolaI bambini di questa scuola, infatti, possono muoversi e parlare!

Durante le ore di insegnamento  possono sedersi dove vogliono e in qualsiasi posizione desiderino, e la discussione tra gli alunni è molto incoraggiata. 

Possono anche distendersi sul divano con il computer poggiato su un supporto. Il design delle aule è totalmente di supporto al processo di apprendimento. Per esempio, i muri di vetro tra le classi permettono agli studenti di lavorare in gruppi.

Bar, ristorante e lo sport

Concepiti come spazi in cui ci si può incontrare in un momento diverso dal processo di apprendimento. Durante le serate, inoltre, la scuola si trasforma in un centro per intrattenimento e sport per tutti i cittadini del vicinato.

Assenza di barriere

I designer hanno creduto che ogni barriera all’interno della scuola fosse presa dagli studenti come una cosa contro cui ribellarsi: per questo, l’intero spazio è concepito in modo aperto.

Hanno quindi pensato ad un posto dove i bambini possono sedersi, in modo che non si sentano racchiusi in quattro mura.

Sensazione che forse, a scuola, abbiamo provato tutti, almeno una volta.

Simona
Blogger (non) finlandese

 
 
 
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Scartata come bidella, fa impazzire gli USA con i suoi studi sulla schizofrenia

Nessuno è profeta in patria

Sabina_BerettaMigliaia di giovani italiani, ogni giorno, provano sulla loro pelle la realtà di questa affermazione, e così decidono di abbandonare il Paese cercando miglior fortuna là dove merito e finanziamenti si incontrano. States in primis, ma anche Canada e regione scandinava. Purtroppo, non tutti riescono a creare il giusto mix tra talento, tenacia e occasione buona, così, a distanza di anni e con una certa frustrazione, qualcuno torna sui propri passi, o comunque ripiega su professioni lontane dai propri desideri. La storia di Sabina Beretta è una di quelle che ci ricorda quanto sia importante coltivare con testardaggine le proprie capacità, se si vuole avere l’opportunità di metterle a frutto.

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Un cervello “in fuga”…per studiarne altri

Sabina_Beretta Sabina Beretta è una neurologa 56enne originaria di Catania. Dopo la laurea partecipò al concorso per l’assunzione di un bidello nell’ateneo etneo, non vinse, e paradossalmente fu quella la sua fortuna. Infatti, alla soglia dei 30 anni,ottenne una borsa di studio per specializzarsi al Mit di Boston. A conquistare gli esaminatori furono le sue ricerche sulla schizofrenia. Si fece apprezzare da colleghi e superiori sul campo, e oggi è a capo dell’Harvard Brain Tissue Resource Center del McLean Hospital della cittadina statunitense, la più grande banca dati dei cervelli. In pratica, il luogo dove neuroni e sinapsi sono protagonisti assoluti, in quanto vengono catalogati e sezionati per poi essere inviati, sotto forma di campioni da studiare, nei laboratori di ricerca di tutto il mondo.

Tutto iniziò con un “cambio di percorso”

L’incontro professionalmente decisivo, per Sabina Beretta, avvenne all’Isef, dove studiava. Fu quello con il relatore della tesi, che insegnava fisiologia, era docente di medicina e stava effettuando degli studi sul cervelletto. Così, la donna si iscrisse alla facoltà di medicina a Catania, dove si laureò con lode in neurologia. Seguì il periodo da ricercatrice a titolo gratuito, e quindi la partecipazione al concorso per un posto da bidello.

 

“Sentii che non avevo opportunità di crescita in Italia, e allora sono andata via”

Sabina Beretta aveva accumulato una certa esperienza studiando gli effetti della schizofrenia sul cervello, quindi era la candidata ideale per lavorare al centro situato ad Harvard. Dapprima collaborò con la direttrice del centro, poi diventò ricercatrice indipendente, avendo a disposizione un budget e uno staff autonomo. Infine quando il posto più importante è rimasto vacante, offrirglielo è stata la scelta più naturale e immediata.

Oggi la donna coordina uno staff di 17 persone.

La verità raccontata dai numeri

Sabina_BerettaA fotografare la situazione della ricerca, in Italia e negli Usa, sono le cifre. Nel 2014, secondo uno studio condotto da Eurostat, nel nostro Paese si sono spesi nel settore circa 200 milioni di euro in meno rispetto al 2013. Il settore che ha sofferto di più, complessivamente, è stato quello universitario. Infatti, l’ammontare che lo riguarda è passato da quasi 6 miliardi di euro a circa 5,6 (– 6%), a fronte di un valore stabile per quanto riguarda il pubblico (3 miliardi di euro) e del raddoppiamento in circa 18 anni del “peso” del privato.

Di contro, nello stesso anno, gli Stati Uniti hanno investito il 2,77% del Pil in ricerca, toccando 514 miliardi di dollari, equivalenti al 3,4% in più rispetto al 2015. Il contributo del pubblico, soprattutto per quanto riguarda il governo federale, è stato cospicuo: nel 2016 infatti si è rilevata una crescita dell’1,5%.

Siamo destinati a una generazione di Sabina Beretta?

Francesca Garrisi

 
 

 

 

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