Lavorare 2.0

Airbnb manderà in pensione le agenzie di viaggio grazie a un italiano

Turista o viaggiatore? 

AirbnbLa differenza sta nell’approccio, nell’attitudine. È una questione di sguardo, prima ancora che di portafoglio. Chi è realmente intenzionato a immergersi nell’atmosfera di un luogo, entrare in contatto con lo spirito della sua gente e comprenderne le tradizioni, è generalmente predisposto a lasciar andare schemi e modelli interpretativi tipici della propria cultura. Ciò significa accettare il fascino e la “seduzione” esercitati da percorsi conoscitivi esterni ai circuiti tradizionali e commerciali. Qualcosa forse meno folcloristico e sensazionalistico dei luoghi noti ai più, ma che offre un quadro autentico dell’essenza di un popolo.

 

Airbnb, la vacanza come full immersion in un altro “mondo”

Airbnb

In quest’ottica si inserisce Airbnb, sito che mette in contatto chi si muove con i proprietari di stanze e case da affittare. Il suo avvento ha comprensibilmente messo in discussione l’egemonia di Expedia & company, non solo per i prezzi competitivi e quindi largamente accessibili, ma anche per il diverso tipo di esperienza offerta. Il servizio ideato da Joe Gebbia, Brian Chesky e Nathan Blecharczyk consente infatti di confrontarsi in modo diretto con gli abitanti del luogo visitato, stringendo un rapporto umano facilitato dal contesto domestico e dall’intimità condivisa.

Un’accelerazione, nella concezione del viaggio come occasione immersiva incarnato Airbnb, è rappresentata dalla sezione Esperienze. A idearla, Andrea La Mesa, 35enne italiano, un’infanzia trascorsa a Piazza Bologna (Roma), una laurea in Economia e Commercio, il lavoro in Accenture prima, e la creazione di una startup venduta con successa qualche tempo dopo.

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Esperienze: il viaggio attraverso gli occhi degli indigeni

Airbnb

Puntiamo molto su Esperienze, perché consente di mettere a disposizione non solo case, ma anche eventi che vedono la partecipazione di persone del luogo. Un’occasione che difficilmente si presenterebbe a un turista tradizionale. Chi ha un’idea può illustrarcela, e, dopo averla analizzata, decidiamo se proporla su Airbnb. Stiamo già riscuotendo un certo successo, anche perché questa iniziativa rappresenta una ghiotta occasione di lavoro”. Così Andrea La Mesa. 

Un esempio? Se ami il mare, a Città del Capo (Sudafrica), Dawn, Ocean Advocate (difensore dell’oceano), ti guiderà alla scoperta degli animali che lo popolano, facendoti conoscere le organizzazioni locali direttamente coinvolte nella loro salvaguardia. 

Uno sguardo, quello di Andrea La Mesa, lungimirante e visionario. Le difficoltà iniziali non gli hanno impedito di scalare l’azienda di Joe Gebbia, Brian Chesky e Nathan Blecharczyk. “Per andare negli Usa ho ottenuto una borsa di studio, la Fullbright, e ho trascorso sei mesi in Silicon Valley. Poi mi sono spostato a San Francisco, e lì ho incontrato lo staff di Airbnb: trenta persone che lavoravano in un garage. La loro idea mi ha conquistato, e così ho accettato di cominciare come stagista. Per due anni ho affittato la mia casa e ho abitato solo in appartamenti disponibili sul sito. È stata un’esperienza incredibile, che mi ha consentito di conoscere gli host di tutto il mondo”. 

AirbnbUn’ampiezza di vedute, la sua che può essere l’ancora di salvezza dei 30enni, generazione incastrata tra sogni, precarietà e altalenante spirito d’iniziativa. “Non credo di poter dare lezioni a qualcuno, ma quello che mi sento di dire è che la cosa migliore da fare è non limitarsi all’impegno nel proprio corso di laurea, o comunque in un orizzonte relativamente vicino. Il motivo per cui credo in Airbnb? Perché sta dando l’opportunità a migliaia di giovani di diventare imprenditori di se stessi”. 

Francesca Garrisi

 

 

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La vera bici pieghevole parla finlandese

In principio era il caos.

Muoversi in una città come Roma non è certo facile: traffico ovunque, trasporto pubblico a dir poco inefficiente e distanze troppo grandi da coprire a piedi. Chi deve spostarsi, specie per lavoro, non ha alternative ed è condannato a un sovraccarico di stress in itinere fatto di ritardi e disagi d’ogni genere. Per non parlare dei continui rincari del carburante o del costo degli abbonamenti per treni, metro e autobus che non è affatto in linea con la scarsa qualità del servizio ricevuto. Poi ci sarebbe anche il problema di parcheggi e borseggiatori ma il quadro è già abbastanza triste di suo, inutile rincarare la dose.

La necessità aguzza l’ingegno.

L’unica possibilità concreta di uscire da questo marasma è affidarsi a lei, la cara vecchia bicicletta. Un mezzo di trasporto nobile e salutare, che non inquina, non fa rumore e garantisce quel senso di libertà che tendenzialmente viene smarrito ogniqualvolta si entra in ufficio. Tuttavia nella città eterna scarseggiano anche le piste ciclabili e sono pochi i fortunati a potersi spostare da A a B senza dover ricorrere a strane alchimie.

Non a caso, ultimamente, si sono riaffacciate sul mercato le biciclette pieghevoli. Un tempo erano destinate ai bambini, poiché mamme e papà non avevano a disposizione le attuali monovolume per portare la prole a pedalare nel parco. C’era bisogno di ottimizzare gli spazi nei miseri bagagliai delle utilitarie e da lì è nata l’idea di piegare il telaio. Oggi, invece, a usarle sono gli impiegati che vogliono raggiungere il luogo di lavoro senza necessariamente diventare isterici.
Il percorso è diviso in due tappe: la prima serve per guadagnare l’area ciclabile con l’automobile o un mezzo pubblico, la seconda prevede l’utilizzo delle due ruote per arrivare a destinazione sereni, pedalando.

 

Sfortunatamente, però, le bici pieghevoli conservano il loro carattere infantile e ciò non le rende molto appetibili. Sono davvero piccole, al punto da sembrare giocattoli, e questo scoraggia numerosi potenziali acquirenti che comunque ne apprezzano funzionalità e praticità d’utilizzo. Salirci in sella renderebbe buffo chiunque, figuriamoci un adulto in giacca e cravatta o una persona un po’ paffutella. Inoltre, poiché le dimensioni delle ruote sono minime, occorre pedalare più in fretta altrimenti si arriva al traguardo per l’ora di pranzo. E che dire dell’atavico problema delle buche? Un conto è passarci sopra con una mountain bike, un altro è farlo con la bici di Barbie: il rischio di caduta cresce notevolmente, in quest’ultimo caso.

Dalla Finlandia per passione.

Niente paura, dalla Scandinavia è arrivata Fubi Fixie, una bicicletta di dimensioni normali (le ruote sono da 28”) che grazie a una geniale invenzione diventa pieghevole con un semplice scatto. Progettata dall’esperto in folding bikes Zakarias Laxström e prodotta dalla finlandese Fubicon, questa bici è diventata realtà grazie a Kickstarter, la celebre piattaforma di crowdfunding che consente a chiunque di finanziare la propria idea attraverso il contributo di persone comuni.

La Fubi Fixie può essere montata e ripiegata in dieci secondi, pesa appena 9 Kg e una volta compattata occupa uno spazio di 95x85x35 cm. Ciò significa che può essere trasportata senza problemi anche sui mezzi pubblici e con altrettanta facilità può essere riposta in uno sgabuzzino o nel bagagliaio dell’auto.
Disponibile in tre taglie che ben si adattano alla corporatura di ogni ciclista, è in vendita da ottobre 2016 a un prezzo di 470€ per la versione base (il modello top della gamma costa invece 580€). Una spesa decisamente sostenibile, considerando i benefici che comporta e la garanzia di due anni. Per convincersene, basta guardare il video di presentazione di questo fantastico prodotto.

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

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Sei sicuro di sapere come si costruisce un sito internet?

Do it yourself… ma impara come.

Corre l’anno 2017 e il sogno di ognuno è mettere in rete il proprio blog, curarne i contenuti, farlo spopolare e guadagnare un sacco di soldi. Confucio ha detto: “Trova un lavoro che ami e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”. È esattamente questo lo spirito che ci anima nel momento in cui immaginiamo di mollare un impiego noioso e malpagato per dedicarci a una passione. Non è perché siamo degli ingrati, è che vogliamo semplicemente essere felici.

Ebbene, oggi la felicità passa per il digitale. È un fatto, non un’opinione: qualunque sia l’idea di business che abbiamo in mente, è impensabile che possa avere successo senza un sito internet e un blog aggiornato. Occorre stabilire un rapporto di fiducia con gli utenti dimostrando autorevolezza, se l’obiettivo è convertirli in clienti. Pubblicare quotidianamente articoli di valore è il modo migliore per attirare traffico ma a monte di tutto questo c’è il piazzamento nei motori di ricerca (segnatamente Google), altrimenti nessuno saprà della nostra esistenza.

A meno che non si disponga di un budget coi fiocchi, tale da potersi assicurare le prestazioni di un webmaster qualificato, bisogna fare di necessità virtù e imparare un po’ di trucchi del mestiere.

L’importanza di chiamarsi Google.

Con l’avvento di CMS (Content Management System) come Wordpress, Joomla, Magento, Webnode e simili, oggi chiunque può costruire un sito di tutto rispetto con le proprie mani spendendo meno di 100€. In fondo si tratta solo di acquistare un dominio e un buon template. Per l’installazione, poi, bastano pochi clic e il gioco è fatto.
Tuttavia costruire un sito internet efficiente non significa metterlo tecnicamente in piedi ma fare in modo che piaccia al signor Google, prima ancora che agli utenti. Il motore di ricerca di Mountain View domina il mercato al punto che anche i suoi rivali di sempre, Yahoo e Bing, si sono adattati al leader modificando i rispettivi algoritmi.

Quando digitiamo alcune parole chiave nella barra di ricerca e premiamo Invio, dei software chiamati robot entrano in funzione per fornirci le risposte migliori nel minor tempo possibile. Vengono così seguiti una serie di criteri di cui è opportuno tenere conto in fase di progettazione, oppure si rischia di essere tagliati fuori. Una pagina web che non piace ai motori di ricerca è a tutti gli effetti una cattedrale nel deserto: nessuno la raggiungerà mai.
Se vogliamo evitare di fallire prima ancora di aver cominciato, dunque, dobbiamo conoscere i duecento fattori che l’algoritmo di Google prende in considerazione per stabilire chi collocare nelle prime posizioni dei risultati della ricerca.

Il vademecum del bravo webmaster.

In realtà è sufficiente prendere in esame un sottoinsieme di questi criteri per assicurarsi una visibilità soddisfacente, senza dannarsi l’anima per impararli tutti. Vediamo allora quali sono e mandiamoli a memoria come veri e propri comandamenti, se vogliamo che il nostro sito o blog scali la classifica come un alpino.

  • Età del sito: più è “anziano”, meglio si posizionerà.
  • Presenza della parola chiave nel nome del dominio: se ci occupiamo di biciclette, l’ideale sarebbe che la parola “bici” fosse inclusa nell’indirizzo web (ad esempio bicimaniac.com).
  • Periodo di registrazione del sito: è bene assicurarsi la proprietà del dominio per almeno tre anni.
  • Identità del proprietario: se non si rendono visibili il proprio nome e cognome, si è penalizzati.
  • Scrivere gli articoli rispettando le regole SEO: i contenuti vanno ottimizzati in modo da semplificare il lavoro dei software robot che scansionano la rete.
  • Velocità del sito: le pagine devono essere leggere in termini di byte necessari per la visualizzazione.
  • Frequenza di pubblicazione: Google ama i siti aggiornati quotidianamente.
  • Grammatica: può suonare strano ma il motore di ricerca si comporta come una maestra delle elementari e più errori si commettono, peggiore sarà il voto che si prende.
  • Popolarità del sito: si valuta in base al numero di siti che linkano alle nostre pagine.
  • Originalità dei contenuti: ebbene sì, il copia e incolla non è gradito.
  • Qualità dei siti suggeriti: se invitiamo gli utenti a visitare siti di bassa qualità, saremo penalizzati.
  • Coerenza dei contenuti: se ci occupiamo delle sopracitate biciclette, difficilmente otterremo un buon punteggio scrivendo un articolo dedicato alla cucina etnica.
  • Condivisione sui social network: una buona popolarità su Facebook, Twitter e compagnia cantante è considerata un punto a favore.
  • Usabilità del sito: un utente deve trovare facilmente quel che cerca, idealmente senza alcuno sforzo cognitivo.
  • Sito ben strutturato e diviso in categorie: questo aspetto semplifica il compito ai robot, per cui viene premiato.
  • Bounce rate: rappresenta il tasso di persone che abbandonano il sito senza navigarlo e deve essere il più basso possibile.
  • Responsive layout: il sito deve adattarsi alle dimensioni dello schermo dell’utente senza perdere in usabilità ed efficienza.
  • Qualità dei contenuti: gli articoli pubblicati devono essere utili e creare valore nella rete.

Si consiglia dunque di badare poco ai fronzoli e andare dritti al sodo, perché non è l’estetica il parametro che determina il successo o l’insuccesso di un sito web. Ciò, ovviamente, non significa che dobbiamo mettere online un obbrobrio perché in un fattore come il bounce rate, ad esempio, anche una bella grafica può avere il suo peso.

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

 
 
 
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