Lavorare 2.0

Almalaurea: come affrontare un colloquio di lavoro

Le “istruzioni per l’uso” per affrontare al meglio la parte più importante del processo di selezione

colloquio di lavoroPer affrontare con successo un colloquio di lavoro non è sufficiente “raccontare” le esperienze maturate nel corso degli studi o le precedenti esperienze di lavoro,quello che davvero è importante  è farlo nel modo giusto. Chi ci seleziona vuole che dimostriamo motivazione ed interesse per la posizione ricercata e soprattutto vuole sapere perché deve scegliere proprio noi.

Nella maggior parte dei casi, inoltre, si arriva al colloquio tesi e nervosi e questo può comprometterlo. 

Ecco perché è necessario arrivare molto preparati al fine di ridurre al minimo il rischio di figuracce.

Ma vediamo insieme quali sono le 10 regole fissate da “Almalaurea” per affrontare un colloquio di lavoro al meglio:

  1. Arrivare informati. Arriva al colloquio informato sull’azienda e sul ruolo per cui ti candidi, sulla persona che incontrerai e sul suo ruolo in azienda.
     
  2. L’importanza dell’orario. È buona norma presentarsi 5/10 minuti prima del colloquio, non arrivare in ritardo.
     
  3. L’abbigliamento. Vestiti come immagini che richieda lo stile aziendale. Prediligi un abbigliamento sobrio e formale.
     
  4. Sapersi raccontare. Imposta una presentazione sulle tue competenze e esperienze, sui tuoi punti di forza e sulle caratteristiche che ti rendono il candidato giusto per la posizione a cui ti sei candidato e per cui sei stato selezionato.
     
  5. …se il colloquio è telefonico. Scegli un luogo tranquillo, non rumoroso e fai in modo di avere sufficiente tempo a disposizione.
     
  6. …se il colloquio è “on line/via Skype”. Predisponi l’ambiente affinché sia ordinato, tranquillo e ben illuminato. Assicurati che gli strumenti (rete internet, audio, video) funzionino e presentati in modo curato come se il colloquio fosse di persona.
     
  7. …se il colloquio è “di gruppo”. L’obiettivo è valutare le tue capacità relazionali e di interazione col gruppo, non rimanere in disparte ma evita di prevaricare gli altri. Leggi le prove e mantieni il focus sul ruolo e sugli obiettivi delle prove stesse.
     
  8. Relazionarsi correttamente. Con il selezionatore stai composto, guardalo negli occhi, ascolta le domande, parla con calma e rispondi in modo sintetico ma preciso. Mostra interesse verso la posizione per cui sei candidato, poni domande utili per comprenderla meglio.
     
  9. Le 3 C: coerenza, chiarezza e curiosità. Cerca di essere coerente e di non contraddirti. La chiarezza è fondamentale e se ne hai l’occasione fai alcune domande sull’azienda e sul ruolo. Ricorda, la curiosità denota motivazione. Non barare, sii sempre onesto e trasparente.
     
  10. Motivazione e positività. La motivazione va costruita con cura. Racconta perché sei interessato al ruolo, all’azienda e all’opportunità proposta. Racconta con positività anche le esperienze di lavoro passate. Non parlare male di ex colleghi e datori di lavoro. Non rinunciare istintivamente a una proposta di lavoro diversa nel caso ti venga proposta al termine del colloquio: il selezionatore potrebbe avere colto abilità o attitudini idonee per un'altra posizione lavorativa.

In bocca al lupo

 Simona 
Blogger dis-occupata

 
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Insegnare ai ragazzi la filosofia per dargli la possibilità di trovare lavoro

L’Irlanda vuole introdurre lo studio della filosofia già dalle elementari per insegnare ai ragazzi a pensare in modo critico

Cosa insegnare ai nostri ragazzi “digitalizzati” che vivono e vivranno in un mondo dominato dalla tecnologia, nel quale i robot hanno quasi totalmente sostituito il lavoro degli uomini?

Possiamo insegnare loro la programmazione e l’utilizzo di internet ma: “mancherà in loro la capacità di spaziare su più campi, di mettere insieme diverse materie e competenze, insomma di essere pronti a dare una risposta a quelle domande che non si possono fare a Google”.

E dal momento che pensare e ragionare in modo critico è una prerogativa degli esseri umani e non delle macchine diventa fondamentale formare i nostri figli con la filosofia.

E’ ciò che pensano gli irlandesi. L’attuale presidente Michael Higgins,infatti, ha introdotto la filosofia tra le materie insegnate nelle scuole del suo Paese perchè :« L’insegnamento della filosofia  spiegato  è uno degli strumenti più potenti che abbiamo a nostra disposizione per far imparare ai ragazzi come comportarsi in maniera libera e responsabile in un mondo che è sempre più complesso, interconnesso e incerto».

L’iniziativa deriva dalle riflessioni conseguenti alla pesante crisi economica che ha colpito l’Irlanda negli scorsi anni. A domande del tipo quali sono le conseguenze etiche prodotte  dall’automazione delle macchine e il perché della disoccupazione di massa ed ancora come distribuire la ricchezza in una società digitalizzata, si può rispondere soltanto se si possiedono tutti gli strumenti intellettivi per ragionare su certi temi. 

E come si acquisiscono questi strumenti se non attraverso l’insegnamento della filosofia?

Potrà sembrare un’idea balorda quella di parlare di Kant in un aula di scuola elementare ma secondo il nostro punto di vista non lo è. E siamo d’accordo con chi in Irlanda sta pensando di introdurre lo studio della filosofia già dalle elementari come strumento per affrontare le sfide del nostro tempo.

In Italia

Nel frattempo gli studenti italiani, convinti di fare la cosa giusta, stanno prediligendo le scuole che offrono una cosiddetta “formazione tecnologica”o comunque pratica e poco teorica. 

Ma cosa cercherà in loro il futuro datore di lavoro? 

Gli basterà constatare che sanno utilizzare bene gli strumenti di lavoro oppure preferirà scegliere chi ha imparato a ragionare anche se ancora non sa concretamente svolgere un determinato lavoro?  

Simona
Blogger filosofica

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Dieci vecchi mestieri che servono ancora... e che nessuno sembra voler più fare

A volte ritornano.

Nell’articolo “Il nomadismo digitale: stile di vita 2.0 o ritorno alle origini?” (chi non lo avesse ancora fatto, può leggerlo qui) si sosteneva che il desiderio di una vita non stanziale, sempre più diffuso nelle nuove generazioni, avesse poco a che fare con la crisi economica e la conseguente carenza di lavoro. Si ipotizzava, infatti, che dietro l’esigenza di non esser più limitati da vincoli spaziotemporali ci fosse una sorta di risveglio del naturale istinto di presenza proprio dell’essere umano.

- Dove sei? Qui.
- Che ore sono? Adesso.
È così che, sostanzialmente, si vuole rispondere a queste domande. Come a dire: “So benissimo dove mi trovo, perché ho scelto io di essere qui a fare quel che sto facendo. E lo sto facendo ora, senza preoccuparmi di quel che accadrà dopo o ripensare a quanto è accaduto prima.”
La disamina evidenziava come nomadi digitali e lavoratori vecchie maniere fossero soggetti allo stesso tipo di responsabilità e ciò confermava l’ipotesi di partenza: non è la crisi ad aver fatto nascere un nuovo modo di lavorare e stare al mondo, ma nuove priorità.

Come volevasi (ri)dimostrare.

Ebbene, questa tesi trova ulteriore conforto nel momento in cui, leggendo le statistiche, ci si accorge che in Italia il mercato del lavoro richiede dieci vecchi mestieri che nessuno sembra più interessato a fare.
Eccoli qui, elencati in ordine alfabetico: apicoltore, birraio artigianale, commesso, esperto di orto e coltivazioni, falegname, gelataio, idraulico, meccanico, panettiere e sarto.

Ora, premesso che trattasi di mestieri nobilissimi e anche piuttosto ben remunerati, verrebbe da urlare “fermi tutti!” agli italiani che, zaino in spalla, stanno affollando aeroporti e stazioni ferroviarie per andarsi a guadagnare il pane chissà dove, facendo chissà cosa.
“Fermi tutti! Non vedete quanto lavoro c’è ancora nel Belpaese? Restate a casa vostra, dunque, così fate contenti anche mamma e papà…”

Qualcuno le avrà anche dette queste cose, verosimilmente, eppure ciascuno dei sopracitati mestieri continua ad essere snobbato dai più.
A una prima analisi, si potrebbe pensare che gli italiani non vogliano più sporcarsi le mani e preferiscano lavori impiegatizi che comportano senz’altro un minor dispendio di energie. Mestieri più “comodi”, quindi, o forse semplicemente più “classy”.

Tuttavia, a un’analisi più attenta, si scopre che il sarto, il meccanico, il falegname e compagnia cantante hanno un denominatore comune: la stanzialità.
Non a caso si tratta di “vecchi” mestieri, ossia quelle attività da “casa e bottega” che implicano totale devozione o comunque un coinvolgimento significativo in termini di tempo e di spazio. Si lavora tanto e ci si sposta poco, per non dire zero.
Ecco allora che la teoria del nomade digitale torna utile per spiegare come mai ci sia una tale carenza di personale in determinati settori.

Udite, udite!

Lo stile di vita correlato a un certo tipo di lavoro è diventato più importante del lavoro stesso ed è per questo che quel vuoto è destinato a rimanere incolmabile. Non è perché non ci siano abbastanza persone alla ricerca di uno stipendio, che Mastro Geppetto non ha più allievi da iniziare all’arte della lavorazione del legno. È che, semplicemente, la vita del falegname non è più così attraente o perlomeno non come lo era un tempo, quando la priorità era trovare un modo per mettere su famiglia.
Perché? Perché stando chiusi in officina ci si perde troppo di quel che accade là fuori. Non si viaggia, non ci si sposta, non c’è flessibilità di alcun tipo.

È anche così che un lavoro può diventare anacronistico. Non perché esso non sia più necessario (tutt’altro, dacché continua a essere molto richiesto), ma perché non ci sono più persone disposte a vivere in un certo modo.
Alcuni mestieri, in determinati contesti sociali, si stanno estinguendo come a suo tempo capitò agli accenditori di lampioni. Allora fu per via del passaggio dall’illuminazione pubblica a gas a quella elettrica, oggi è perché ci si può guadagnare da vivere in un’infinità di altri modi, unendo il dovere al piacere.
Specie considerando che tutte le distanze si sono ridotte a un clic.

 

di Giovanni Antonucci

 

 
 
 

 

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