Lavorare 2.0

Il sabato a Berlino è freddo e triste? Puoi addolcirlo con un bignè italiano

A.A.A. Amore, ambizione e adrenalina compongono il mix più efficace in assoluto, nel mettere in moto desideri e azione

 BignèParliamo di una combinazione di fattori talmente potente, che in genera “regala”, a chi la possiede la capacità di anticipare il futuro, dando vita a iniziative stimolanti e di successo. Una tra queste, a Berlino, risponde al nome di Kuchen von Gaia (Le torte di Gaia), e deve il nome alla figlia del suo “papà”, l’italiano Giulio Silveri, 27enne originario di Acilia. I suoi bignè, al cioccolato, all’arancia e alla vaniglia con cannella, sono diventati un piacevole appuntamento fisso del fine settimana, per i frequentatori dei mercatini di Boxhagener Platz e Mauer Park. Ad attrarre sempre nuovi clienti, come pure quelli ormai affezionati, è il connubio tra qualità e convenienza: il costo unitario è infatti compreso tra 1,5-2 euro.

Attraverso Kuchen von Gaia, nato nel gennaio 2015, Giulio Silveri, propone una vasta gamma di prodotti della tradizione italiana: non solo bignè ma anche tiramisù e crostatine. Parallelamente, cresce anche la sua piccola musa, che, arrivata a Berlino quando aveva un anno,  è ormai perfettamente inserita. «Qui si trova molto bene, ha certamente molta più confidenza di me con la lingua, e al Kindergarten fa tanti progressi. Senza contare che lo Stato ci dà un importante sostegno economico».

Chi semina…raccoglie

La soddisfazione di Giulio Silveri nasce da un principio semplice ma – in un certo senso – implacabile, quello per cui nulla piove dal cielo. Se non si sceglie la fatica come compagna quotidiana, difficilmente si va lontano. «All’inizio ho preso una postazione al mercato settimanale di Boxhagener Platz. Ho capito subito che dovevo farmi venire una buona idea; quello che comunque mi ha rincuorato è stato constatare che, impegnandomi e combattendo lo sconforto che a volta mi assaliva, i frutti non hanno tardato ad arrivare. In questi primi due anni di attività ho alternato la produzione, in inverno, di vellutate e lasagne, con le bruschette e granite estive. Queste ultime sono state particolarmente gradite, visto che a Berlino è quasi impossibile trovare limoni saporiti».

Giulio Silveri è comunque indiscutibilmente, per i suoi clienti, “l’uomo dei bignè”. Eppure, prima di arrivare in Germania non si era mai cimentato con questo prodotto della tradizione pasticcera. «Mi è stata utile l’esperienza pregressa in laboratorio, ma la riuscita definitiva è stata possibile solo procedendo con pazienza, per tentativi ed errori». La consapevolezza di aver creato qualcosa di nuovo e incredibilmente convincente è arrivata nell’aprile 2015, quando, grazie al potere virale del passaparola, ha iniziato a prendere forma e consolidarsi una clientela alquanto eterogenea.

La bravura dimostrata da Giulio Silveri nel trovare la propria fetta di mercato merita di essere ulteriormente sottolineata, se si considera che per i tedeschi il bignè era un prodotto “non identificato”. «Gli inizi sono stati particolarmente difficili, ma io ho tenuto duro, migliorando continuamente la qualità degli ingredienti e arrivando a offrire assaggi gratuiti alle persone che si avvicinavano, tra il sospettoso e l’incuriosito, al mio stand».

Disattiva per: inglese

Via dall’Italia

BignèKuchen von Gaia non è nata dal bisogno. O meglio, a differenza di altre storie, non è il frutto di una partenza determinata da uno stato di frustrazione, professionale e/o umana. «A Roma lavoravo come gelatiere. Ero gratificato, sia a livello economico che per quanto riguarda l’ambiente. La mia compagna oltre a vantare un sostanzioso curriculum in ambito turistico era anche proprietaria di una casa. Non ci mancava niente, dunque non eravamo particolarmente pressati dal bisogno di cambiare vita. Tuttavia, il pensiero di quale sarebbe stato il futuro di Gaia nella Capitale non ci entusiasmava. Stress, delinquenza, pessimismo. Così, nel 2013 abbiamo mollato tutto e siamo ripartiti in Germania».

La felicità sta nelle piccole cose

Giulio Silveri e famiglia hanno trovato a Berlino una dimensione sostenibile e stimolante. Ciò non significa che la città sia perfetta, o che il quotidiano non comporti, come in qualunque altro luogo, problemi e ostacoli da affrontare, piuttosto, si tratta di trovare un soddisfacente equilibrio delle parti. Eppure, c’è qualcosa che manca, all’uomo dei bignè: la vicinanza e il supporto della famiglia per quanto riguarda la crescita di Gaia, ma anche gli amici. L’ottimismo, però, alimenta costantemente la fiamma della sua scelta. «Lavoro tutti i giorni da mattina a sera, ed esco poco o niente. Comunque, so che, se continuo a impegnarmi a questi livelli, i miei prodotti saranno sempre più apprezzati. Dipende solo da me».

 
 
«Berlino non è il paradiso, ma se sei sufficientemente curioso, può esserne una buona approssimazione»
 
 
 
Maggiori informazioni https://www.formicargentina.it/news/berlino-non-e-il-paradiso-ma-se-sei-sufficientemente-curioso-puo-esserne-una-buona-approssimazione/

«Berlino non è il paradiso, ma se sei sufficientemente curioso, può esserne una buona approssimazione»

 

 

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Le 10 professioni destinate a scomparire nei prossimi cinque anni

Reinventarsi per sopravvivere

C’era una volta il bigliettaio. Un omino tranquillo, che ti accoglieva sull’autobus, nel quale si entrava rigorosamente dalla porta posteriore, e gestiva la situazione a suon di «Avanti c’è posto!»Una frase ripetuta così spesso da penetrare nell’immaginario collettivo e diventare il titolo di un celebre film del 1942, con protagonista Aldo Fabrizi.

Ebbene, questo signore faceva un po’ di tutto: prendeva i tuoi spicci e staccava il biglietto, verificava se i bambini fossero al di sotto della tacca di riferimento per poter viaggiare gratis, invitava i più giovani ad alzarsi per far sedere le persone anziane e così via. Con lui in postazione, non potevi certo sognarti di scarabocchiare i vetri e i piedi dovevi tenerli per terra, non sui sedili. Insomma, dovevi rigare dritto, altrimenti allertava l’autista, gli faceva aprire la porta centrale e t’invitava a scendere.

Un mestiere socialmente utile, oltre che una garanzia per le casse delle aziende di trasporti delle principali città italiane. Una figura che ha resistito fino alla metà degli anni Ottanta, quando sono arrivate le prime macchinette obliteratrici: goodbye mio caro bigliettaio, per te la corsa finisce qui.

Sono numerose le professioni a essersi estinte nel corso degli anni, spesso per mano della tecnologia, per cui viene spontaneo domandarsi:

Chi sarà il prossimo?

Al primo posto della Super classifica troviamo gli impiegati di banca, statali e amministrativi: l’automatizzazione dei processi burocratici rende la loro presenza sempre più superflua. Gli uffici si stanno infatti trasformando in sezioni su portali web, a cui l’utente può accedere comodamente da casa.

Stessa sorte per il segretariato: i compiti che un tempo erano affidati a una persona fisica, oggi sono gestiti ventiquattr’ore su ventiquattro da software e app. Tanti cari saluti anche al postino: l’uso delle moderne forme di comunicazione digitale, la posta elettronica certificata e la domiciliazione bancaria delle utenze (gas, energia elettrica, ADSL e telefonia, su tutte), stanno mandando in pensione anche il caro vecchio portalettere.

Al quarto posto figurano i magazzinieri, dacché dello stoccaggio si occupano oggi sofisticati macchinari pilotati da un computer: ciò che prima richiedeva la competenza di dieci operai, oggi necessita al massimo della presenza di un supervisore.

Vita dura, inoltre, per i venditori: forse i computer non sono in grado di occuparsi di vendita diretta, ma hanno la capacità di prevedere i gusti dei compratori. Come? Attraverso i cookies, strumento che tiene conto di abitudini di consumo e status socio-economico che li caratterizza. Ciò consente un notevole risparmio, sia di tempo che di denaro, e il vantaggio di vedersi recapitare la merce presso la propria abitazione da qualunque parte del mondo.

Brutte notizie anche per gli esperti di manicure e pedicure: l’arte di maneggiare limette, forbicine e tronchesine, sta per essere soppiantata da macchine intelligenti capaci di fare un lavoro più preciso, in tempi notevolmente ridotti.Che dire degli agenti assicurativi? Ormai fanno quasi tenerezza, vista la mole di compagnie online che offrono servizi migliori a prezzi nettamente inferiori.

“Posso offrirle un caffè?”… Non potremo più rivolgere questa domanda agli addetti alla lettura dei contatori, poiché gli apparati digitali del futuro saranno telegestiti.Riguardo agli agenti di viaggio, poi, vale un po’ lo stesso discorso degli assicuratori di cui sopra e spiegare i motivi della loro dipartita diventa oggettivamente superfluo. Concludono la top ten dei mestieri “sfigati” i giornalisti e gli operatori dell’informazione: il crollo degli introiti pubblicitari e l’esplosione dei social network, in cui chiunque “informa” gli altri a modo suo, stanno dando il benservito all’intera categoria.

Dallo scenario appena illustrato, emergono due considerazioni

La prima, forse la più lampante, è che non sempre “progresso” significa “miglioramento”. Per convincersene, basta confrontare la qualità del trasporto tranviario prima e dopo l’avvento delle macchinette obliteratrici.

La seconda è che la tecnologia semplifica senza dubbio la nostra esistenza e permette di focalizzare l’attenzione su altri aspetti che, a loro volta, favoriranno ulteriormente il progresso. Allo stesso tempo, tuttavia, complica la vita a centinaia di migliaia di lavoratori che come il povero bigliettaio sono destinati a ritrovarsi senza un impiego. Peraltro con preavvisi sempre più brevi, giacché la rapidità con cui tutto cambia ha ormai carattere esponenziale, non lineare.

Si mettano dunque l’anima in pace nostalgici e reazionari, perché per questo processo non sembra esserci altra cura che quella di affinare le proprie doti camaleontiche: il segreto era e resta avere la capacità di reinventarsi. Continuamente.

 

di Giovanni Antonucci

 

 
 
 

 

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Indovina chi viene a cena (e guadagna) con l’home restaurant

Cucina è condivisione … e comunicazione

Home_restaurantIl matrimonio con i social, quindi, è stato quasi obbligato, ma non per questo infelice. Al contrario, non smette di dare alla luce figli. In origine erano le food blogger a monetarizzare la passione per il cibo, oggi l’obiettivo è a portata di mano di tutti (o quasi) quelli che uniscono disinvoltura ai fornelli con una spiccata curiosità per l’umanità. È la sharing economy, bellezza: la sua ultima declinazione, in ordine di tempo, è il cosiddetto home restaurant, che ha contagiato rapidamente varie parti d’Italia, trovando, in ciascun luogo, una declinazione particolare e fortemente connotata.
 
 
 

Di cosa si tratta?

Home_restaurant

Se sai cucinare, ti piace conoscere persone nuove, confrontarti con esperienze di vita diverse, e hai sufficiente spazio in casa per “ospitare” qualcuno a tavola, sei il candidato ideale ad aprire un home restaurant. Si tratta, in breve, di un modo divertente e stimolante per arrotondare le proprie entrate mensili. Generalmente il primo contatto si instaura tramite il passaparola o via Internet. Prenotazione e pagamento si perfezionano su apposita piattaforma social o attraverso sito/profilo Facebook dell’home restaurant.
 
Ovviamente, l’altra faccia della medaglia è che bisogna rinunciare all’idea classica di svago nel weekend. È materialmente impossibile uscire e andare per locali … ma il divertimento e le novità, sostanzialmente, arrivano a domicilio!
 

…quante tasse devo pagare?

L’attività, essendo svolta in casa, non ha carattere commerciale; inoltre non è necessario richiedere un’autorizzazione sanitaria, ma è comunque consigliabile farsi rilasciare un attestato sulla sicurezza alimentare. Dal punto di vista fiscale, fino a un massimo lordo di 5.000 euro annui, è inquadrata come lavoro occasionale, quindi non bisogna né fare una dichiarazione, nè avere la partita IVA. Qualora invece i guadagni superino questo importo-soglia, bisogna aprirla; la disciplina, entro 30.000 euro all’anno, è quella del regime agevolato dei minimi.
 
Roma Vs Milano
Home_restaurantUno degli aspetti più interessanti del social eating è rappresentato dal fatto che la sua declinazione è fortemente determinata dal background e dal carattere dei padroni di casa. Chiaramente, anche il contesto geografico gioca un ruolo importante. Così, nella Capitale impazza l’home restaurant del giornalista Michele Ruschioni e della moglie Daniela Chiappetti, imprenditrice del settore turistico. Con venti euro ci si gode un menù fisso rigorosamente ancorato alla tradizione romana (spaghetti all’Amatriciana, rigatoni alla carbonara, cacio e pepe, gricia, puttanesca, abbacchio alla romana, baccalà e scamorze), in uno scenario impregnato di storia (Porta Pia) impreziosito dal clima rustico e familiare. Una proposta che ha conquistato turisti, ma anche figli della Città Eterna. 
 
Ma’ Hidden Kitchen Supper Club è diventato un punto di riferimento nel capoluogo lombardo. Gestito da Lele, 40enne art director, e dalla moglie Melissa, impiegata nel settore della moda, è nato come associazione culturale, e ha coinvolto dapprima blogger e conoscenti, quindi turisti e professionisti di ambiti quali la finanza e i lavori creativi. Chi vuole cenare nel loro loft, deve prima di tutto armarsi di pazienza e tenacia: la lista d’attesa, infatti, conta 3.000 persone. 
 
Vuoi metterti alla prova? Ci vorrà poco, per prenderci gusto! 

 
 
 

 
 
 

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