Il nomadismo digitale ha origini antiche.
Nasce dalla voglia di altro e, soprattutto, dalla voglia di “oltre”. Non c’entra nulla con la crisi e probabilmente nemmeno con il digitale: prescinde da Internet e dal computer stesso, per quanto la cosa possa suonare paradossale.
Perché chi siamo noi? Da dove veniamo?
Queste non sono domande trabocchetto da centro di meditazione sperimentale, ma interrogativi che è il caso di porsi e ai quali è opportuno dare una risposta, evitando di scadere nella solita analisi superficiale del tema “lavorare oggi”. Quelle disamine infarcite di retorica che abbiamo letto perfino nei bagni degli Autogrill, tanto sono inflazionate. Oppure perché qualcuno ci ha usato la cortesia di scriverle sulle piastrelle con un pennarello indelebile. Manco fossero le parole dell’ultimo singolo di Tiziano Ferro…
Ecco, allora, chi siamo noi? Non siamo forse la generazione delle tre P, quella cresciuta a pane, pallone e posto fisso? Volenti o nolenti è così che ci siamo fatti grossi ed è questo ciò che abbiamo assorbito dai nostri genitori e dall’ambiente circostante: stabilità economica e stanzialità, e insieme una serie di problematiche che ce le hanno fatte andare di traverso. Al punto che è lecito chiedersi se non saremmo diventati dei nomadi digitali anche qualora di crisi economica non vi fosse traccia e di posti fissi ve ne fosse ancora abbondanza.
Quanti, tra coloro che si sono appena precipitati a rispondere “no”, non associano il vecchio modello impiegatizio a una sorta di calvario? Il girone in cui si è costretti, dal lunedì al venerdì, che spesso priva l’individuo delle energie necessarie per godersi il weekend? E, per estensione, quanti non lo associano a una limitazione della libertà di scelta, di spostarsi o addirittura di esistere, che generalmente si esercitano solo durante le agognate ferie estive?
Perché di “fortunati” col posto fisso in giro ce ne sono ancora diversi esemplari, anche se si nascondono molto bene e non è facile stanarli. Sono in mezzo a noi e non sprizzano affatto gioia da tutti i pori, come invece dovrebbe essere se stabilità economica e stanzialità equivalessero a felicità.
Forse quel “no” deciso sta già diventando un “ni”
Ci siamo evoluti. Non abbiamo più le credenziali per farci concedere un mutuo ma ci siamo evoluti. Abbiamo capito che vogliamo concentrarci sul momento presente, vivere nel qui e ora, anziché dipendere dagli altri e consegnare i nostri giorni a un superiore che ci impedisce di vedere la luce del sole e talvolta perfino di andare in bagno. Nel mentre là fuori la vita accade. Ci concediamo il diritto di domandare a noi stessi se stiamo bene o male e trasformiamo ogni istante in una festa, organizzandoci il lavoro in piena autonomia.
Perché nomadismo digitale non vuol dire sorseggiare un Margarita al sole dei Caraibi senza fare niente: significa semplicemente essere padroni del proprio tempo, essersene riappropriati. Tuttavia, per potersi permettere questo “lusso”, bisogna comunque lavorare (e anche duramente). Lo si fa solo in modo differente, a suon di clic. Basta avere una passione, un piano d’azione e disporre di una buona connessione Internet, dopodiché si può provvedere al proprio sostentamento da qualunque angolo del pianeta in cui si desideri soggiornare. Per questo essere un nomade digitale significa essere cittadino del mondo.
Attenzione però a non fare l’errore di credere che un tale stile di vita sia esentasse. Evadere dall’Italia non implica l’autorizzazione a evadere il fisco. Certo, esistono agevolazioni come il regime forfettario, ma i rappresentanti dell ’Agenzia delle Entrate diventano alquanto permalosi quando non riescono a riscuotere le gabelle.
Lavorare duramente, pagare le tasse… non sono forse caratteristiche in comune col posto fisso? Perché dunque attraversare gli oceani, se poi, sostanzialmente, si è soggetti allo stesso tipo di responsabilità? È presto detto: perché non vogliamo più avere limiti di tempo e spazio. Non vogliamo correre il rischio di restare intrappolati nello stesso labirinto in cui si sono imbattuti genitori e nonni.
Stiamo finalmente uscendo dalla zona di comfort e somigliamo sempre più ai nostri antenati, che magari non avevano gli smartwatch ma per fare rientro a casa si regolavano con la luce del sole.
Ecco che allora quel “ni” si è trasformato in un “sì”.