La citazione non è mia ma di Marco Montemagno, un opinion leader da 250mila follower su Facebook.
Ci hanno fatto credere che stavano creando idee per cambiare il mondo in meglio, ma hanno dimenticato di aggiungere un tag: "per noi"!
Non siamo più imprenditori di noi stessi.
Ok, il posto fisso è morto, adesso siamo tutti digitali 2.0. Vendiamo i prodotti con l'e-commerce su Amazon o Ebay incassando con Paypal, scriviamo notizie su Facebook, giriamo video per Youtube e speriamo che qualcuno clicchi sul nostro sito dopo averti trovato con Google. Facciamo tutto questo per 12 ore al giorno con un sistema operativo Microsoft o Apple.
6 aziende che ci decidono l'esistenza
Ne ho citate solo 6, ma non andrei molto oltre per valutare quanto questi "Big Six" ci tengono per le palle. Dettano leggi (termini di utilizzo), ti fanno aprire o chiudere l'attività (chiusura account) quando vogliono e non esiste nessuno nel mondo tanto grande da poter negoziare con loro.
Hanno poteri infiniti.
Possono mandare a quel paese chiunque, persino l'FBI quando gli chiese i dati dei terroristi. L'impatto di una loro decisione ti può far chiudere, farti fallire o potrebbe renderti ricco. Sono DIO!
Lavorare per se stessi
Molti amici blogger, o proprietari di siti di e-commerce spesso mi chiedono qual'è la migliore strategia per aumentare le visite. Spesso affidano il successo del loro modello all'amplificazione di una pagina Facebook, o alle tecniche di SEO (search engine optimization) per "uscire" per primi su Google. Si affidano ad Ebay per vendere online e utilizzano Paypal per incassare. ERRATO!
Stai arricchendo loro, non te!
Pensa a te stesso! pensa al tuo sito, al tuo negozio, ai tuoi servizi. Conquista clienti, lettori, abbonati per te e non per Mark o Larry (Mark Zuckemberg, fondatore Facebook e Larry Page fondatore di Google).
Cerca di sviluppare il tuo brand "sfruttando" i "Big Six" in modo complementare.
Non affidargli il tuo valore, altrimenti dopo sarai nelle loro mani, sarai vittima dei "termini di utilizzo". E quando sarai diventato loro, quando non gli starai più bene, ti chiuderanno con un click!
Duccio
Click-Through Messiah
guarda il video di Marco Montemagno
Il lavoro nobilita l’uomo…e favorisce l’incastro e la complementarietà
Lo dimostrano, le iniziative imprenditoriali, sempre più diffuse sul territorio, che si basano su coesistenza e connubio tra il bagaglio esperienziale dei migranti e la componente italica “tradizionale”. Proprio questo è il principale fattore del successo di una serie di ristorante aperti a Venezia da qualche anno a questa parte. L’ultimo, in ordine di tempo, è l’Africa Experience di Calle Lunga San Barnaba inaugurato lo scorso 4 novembre.
Il locale, gestito da dieci soci, tra etiopi, sudanesi, nigeriani, iraniani, afgani e curdi richiedenti asilo, segue la nascita di altri due felici progetti: l’Orient Experience 1 di Cannaregio e l’Orient Experience 2 di Campo Santa Margherita.
I piatti da proporre sono stati individuati attraverso un concorso che ha visto partecipare, in qualità di giudici, studenti e professori dell’Istituto Alberghiero Barbarigo di Venezia. Gli ideatori delle pietanze che si sono posizionate in cima alla classifica sono stati accompagnati in sala da alcuni soci fondatori.
«Si tratta di una sfida che ci coinvolge tutti. Il nostro auspicio è che chi verrà qui avrà voglia di conoscere i ragazzi africani e magari allargherà anche la sua prospettiva sulla questione dei migranti». A parlare è Samah, 31 anni, una delle socie, veneziana di origini egiziane. «Il fatto è che, quando gli stranieri arrivano in Italia, subiscono una sorta di attacco a prescindere. Se si rimboccano le maniche il problema è che rubano il lavoro agli italiani, se non fanno nulla invece vengono definiti parassiti. Speriamo che, davanti ai piatti, si superino pregiudizi e stereotipi riflettendo sul fatto che ci si rapporta a delle persone».
Emblematico l’interno del locale, realizzato dall’artista francese Blandine Helary e dalla coppia iraniana Iman Ahmaznade e Neda, che è costituito da un grandissimo albero di fili di legno ondulati. La metafora di un luogo chiamato mondo grande e confortevole nella misura in cui riesce a essere ospitale per chi è in cerca di un futuro migliore.
I piatti preparati all’Africa Experience sono stati scelti per condividere un pezzo del percorso di vita di ciascun rifugiato. Infatti non vengono seguite strettamente le ricette originarie, piuttosto si reinterpreta la tradizione attraverso ricordi del viaggio verso l’Italia, suggestioni personali … e un pizzico di fantasia.
Uno dei soci, l’afgano Hadi Noori, vive qui da dieci anni, ma conserva immagini nitidissime del suo passato. «Quando intraprendi il viaggio sei solo, ma strada facendo incontri e conosci persone che poi magari perdi di vista di lì a poco. Dalla Turchia ho raggiunto la Grecia con un gommone, lì ho provato a lavorare ma lo sfruttamento era tanto. Poi mi sono infilato con altri ragazzi in un camion che trasportava arance, non sapevamo neanche se saremmo sopravvissuti. Ancora oggi tanti condividono questa sorte».
A dispetto della deriva intrapresa da alcuni partiti politici, Venezia è da sempre aperta all’influenza e all’incontro con l’altro. In tempi recenti, l’abbraccio, reale più che ideale, con i migranti, è iniziato quattro anni fa, quando Hamed Ahmadi, regista e imprenditore afgano ha fondato il primo Orient Experience. Nel 2006 era approdato in Italia per partecipare alla Mostra del Cinema con due cortometraggi; uno di questi era stato considerato una critica alla religione islamica, e così non era più potuto tornare nel suo Paese. Aveva quindi chiesto e ottenuto l’asilo ed era stato accolto a Tessera, nella terraferma veneziana. Qui aveva iniziato a lavorare come mediatore culturale, invitando i ragazzi a riflettere sul rapporto con il cibo che avevano instaurato durante il viaggio verso l’Italia.
«Per avvalorare il risultato della nostra ricerca culinaria, ogni domenica organizzavamo delle feste al centro d’accoglienza e invitavamo alla nostra tavola tutti i cittadini che volevano assaggiare un piatto diverso», spiega Hamed che, con una rapida notazione, dimostra di avere, sulle migrazioni, le idee molto più chiare di tanti sociologi e ancor più politici. «Il fenomeno degli ultimi anni è sempre associato alla tragedia ma chi è riuscito ad arrivare, nonostante le difficoltà, è vivo e non c’è nulla di più vitale del cibo. Mangiare e condividere parte della propria cultura è un modo per rimanere legati alle proprie radici favorendo l’integrazione».