Lavorare 2.0

Wetacoo, la startup per chi ha bisogno di spazio extra

Nuove necessità

Traslochi dell’ultimo momento, assunzioni improvvise in un altro paese o semplice necessità di spazio in più. 

La pandemia, nel bene e nel male, ha cambiato molte abitudini quotidiane degli italiani. Chi, costretto dal lockdown, è “tornato alla base” e c’è rimasto. Chi invece, da due anni a questa parte, lavora in smart working senza più mettere piede in ufficio. 

O infine, chi magari si è ritrovato a dover cambiare o riorganizzare rapidamente la disposizione casalinga per adattarla alle esigenze professionali.

Il minimo comun denominatore? L'accumulo di roba e la mancanza di spazio in cui depositare scatole, mobili e tutto ciò di cui non si ha il tempo di liberarsi in breve tempo o che inizialmente non avevamo previsto nei nostri spazi abitativi.  

Le tradizionali aziende di self-storage o trasloco non riescono a offrire un servizio qualitativamente sufficiente per soddisfare la richiesta di praticità, flessibilità e trasparenza richiesta dai clienti.  

Ma niente paura. Una startup ha intercettato questo bisogno e l’ha trasformato in business. 

Wetacoo, dare i giusti spazi

Si tratta di Wetacoo, startup romana lanciata da Federico Prugnoli e Pierfrancesco Bosco, due giovani imprenditori con un percorso di studi MBA alla Columbia University e un trascorso lavorativo nella consulenza strategica.  

La visione dei due fondatori è piuttosto chiara: «Vogliamo semplificare la vita delle persone prendendoci cura dei loro oggetti. Ci immaginiamo un mondo in cui trovare spazio per un divano sia facile come archiviare i file di un pc». 

 In pochi click i clienti di Wetacoo possono infatti richiedere che i loro oggetti vengano ritirati dove e quando preferiscono, per poi essere conservati in un magazzino e prelevati quando viene più comodo.  

Non c’è un limite di quantità, può trattarsi di pochi scatoloni come dell’arredamento di un’intera casa o ufficio. Inoltre, non esistono vincoli sulla durata del deposito e si paga solo per lo spazio effettivamente utilizzato.  

I clienti solitamente si affidano a Wetacoo per ristrutturazioni o per liberare spazio in casa, ma anche per traslocare, depositare attrezzatura o archiviare documenti. 

«Abbiamo sviluppato un’esperienza online per il cliente che si adatta alle diverse esigenze, permettendogli di identificare lo spazio di cui ha bisogno e prenotare il servizio in pochi minuti» ha dichiarato Luca Pisano, CTO di Wetacoo.  

Come funziona Wetacoo

wetacoo8Basta inserire l’indirizzo da cui desideri che vengano prelevati gli scatoloni e automaticamente appariranno i diversi spazi di deposito suddivisi per prezzo mensile, includendo sempre ritiro e riconsegna con una tariffa da 50 euro al mese. 

Si può anche scegliere che la roba venga ritirata davanti al portone o che lo staff la prelevi al piano dell’appartamento. 

In più, Wetacoo offre vari servizi extra come smontaggio mobili, materiali ed imballaggio, per rendere l’esperienza di deposito più semplice possibile. 

Wetacoo è da poco disponibile anche a Milano. Con un bacino di utenti in crescita e selezionato da LUISS Enlabs, si sta affermando sempre di più e mira ad espandersi in altre città italiane. 

Una startup utile e risolutiva, che non escludo di contattare in futuro!

irene caltabiano

di Irene Caltabiano

 

 

 

 

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P.E.A.S: vorresti conoscere il vero prezzo di ciò che indossi?

Quantità vs qualità

fast fashionIl campo della moda è riconosciuto come uno dei più nocivi e con il maggior impatto ambientale dell’industria mondiale.  

Ormai è cosa nota che il fast fashion sia responsabile del 10% dell’inquinamento globale, secondo solo al settore petrolifero. 

La società consumistica considera ormai gli abiti come un prodotto usa e getta, a discapito della qualità sulla quantità, dello spreco sulla durata.  

Come possiamo evitare di contribuire a un processo tanto dispendioso quanto dannoso, non solo per il pianeta ma per noi stessi? 

P.E.A.S., al fianco della moda sostenibile 

La Direzione Turismo, Marketing territoriale e Moda della Regione Lombardia ha approvato il bando Fashiontech, che mette a disposizione oltre dieci milioni di euro per finanziare progetti di ricerca e sviluppo sulla sostenibilità ambientale e sociale nel mondo della moda.  

Bando che è stato accolto con entusiasmo da WWG, azienda di sviluppo software e applicazioni personalizzate, che da sempre è a sostegno di un business green ed cosostenibile. 

In collaborazione con il Politecnico di Milano, Mood s.r.l. e 1Trueid s.r.l. ha creato P.e.a.s (Product Education Accountability System), un avanzato sistema volto a certificare l’intera filiera produttiva di un capo, mostrando al consumatore l’effettivo impatto ambientale di un singolo indumento.  

 L’obiettivo è sensibilizzare chi acquista su quanto effettivamente l’utilizzo di capi di cui si conoscono gli esatti passaggi di provenienza possa impattare positivamente sull’ambiente. 

Attraverso questo progetto, la storicità di una maglietta, un pantalone o un maglione, dalla coltivazione della materia prima a tutti gli utilizzi e riutilizzi successivi alla commercializzazione, sarà interamente tracciata. 

Una nuova consapevolezza grazie al sistema blockchain

L'idea è studiare il prototipo di un capo di abbigliamento dotato di TAG “parlante” grazie alla tecnologia Block Chain e sviluppare un’applicazione in grado di leggere le informazioni riportate. 

 Dalla registrazione del seme di cotone fino all’arrivo sugli scaffali: ogni singolo processo produttivo garantirà al cliente, solitamente ignaro dei retroscena dell’industria, l’ecosostenibilità dei suoi acquisti ed il basso impatto ambientale dei prodotti impiegati. 

Inoltre, tramite un sistema di ricompensa, si punta a premiare l’utente che acquista in modo responsabile fornendogli dei punti bonus da spendere, coinvolgendolo attivamente in un processo di cambiamento crescente in ottica green, delle proprie abitudini.  

Un’idea intelligente, che mostra al consumatore quanto effettivamente anche una singola persona, possa fare la sua parte in questo ingranaggio.  

 

di Irene Caltabiano

 

 

 

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Ami pokè, il successo di due giovani romani nato nel cuore delle Hawaii

Tutti pazzi per la pokè

Non è un segreto che, da qualche anno a questa parte, le cucine esotiche stiano prendendo sempre più piede nel Bel Paese, tanto da far preferire a tanti una cena al ristorante giapponese alla nostra sempre verde pizza. 

E dopo sushi e sashimi, è la volta della cucina hawaiana. Nel cuore della Capitale e nelle principali città italiane, è un continuo fiorire di punti vendita di pokè, piatto unico originario dell’arcipelago al largo della costa ovest degli USA, principalmente a base di riso e pesce crudo. 

Nel 2020, secondo i dati raccolti dalle piattaforme di food delivery, è stato l’ottavo cibo più ordinato e nel 2024 potrebbe raggiungere addirittura un fatturato da 143 milioni di euro.  

Tra le varie catene che si sono diffuse a macchia d’olio, molte in franchising, spicca un orgoglio nostrano: Ami Pokè è la prima catena in salsa totalmente romana, fondata dai giovanissimi Alessandro De Crescenzo e Riccardo Bellini.  

Ami Pokè, il business dal team under 30 nato da un viaggio

In soli tre anni e mezzo la società è cresciuta arrivando a inaugurare circa sette punti vendita in location altamente popolate del capoluogo laziale, tutto in completo autofinanziamento. Recentemente hanno anche lanciato una campagna di equity crowdfunding su Mamacrowd, dove hanno già raccolto oltre un milione di euro. 

Forse in pochi sanno che Ami Pokè è stato il primo brand a introdurre questa tipologia di prodotto nella città della carbonara e della cacio e pepe, creando una vera e propria tendenza alimentare.  

L’idea di far conoscere il piatto hawaiano anche in Italia è nata proprio tra le onde del Pacifico, dove Alessandro e Riccardo hanno fatto un viaggio. innamorandosi della cucina del posto. Tornati alla base, hanno stilato un business plan e il resto è storia.  

Il team è quasi tutto under 30 (anche se prima o poi si spera che le aziende giovani smettano di essere considerate “un caso” in Italia). Ami Pokè vuole essere giovane anche nella gestione, affrancarsi dai vecchi modelli del settore della ristorazione. 

I due fondatori sono orientati su una tipologia di business che punti all’ascolto delle esigenze dei propri dipendenti, migliorando e crescendo con loro, ai fini di creare o un clima aziendale positivo, che si concentri sulla crescita interna.  

«Siamo orgogliosi che le attuali risorse senior di Ami Poké – che sono con noi da più di 3 anni – abbiano avuto uno sviluppo di carriera grazie alle loro capacità e alla dedizione al brand. E questo approccio si traduce poi nei risultati, nel feedback dei clienti e nella reputazione di employer che abbiamo costruito» hanno raccontato i ragazzi al magazine Forbes.  

Un successo ancora in crescita

Ma qual è il segreto di un tale successo? Come spesso accade, AmiPokè è andato incontro a un bisogno sempre più diffuso: mangiare sano anche avendo poco tempo a disposizione. 

La pokè, con ingredienti semplici e gustosi, rende il delivery un’opzione salutare e rapida. Ma cosa distingue Amì Pokè dai competitor?Innanzitutto la qualità delle materie prime, non industralizzate e semre fresche, poi una vasta scelta nel menu, che comprende tacos, burger, wraps a base di pollo, pesce e anche tartare e macedonie. Io aggiungerei anche un'azzeccata strategia social, sviluppata soprattutto su Instagram. 

La maggior parte dei capitali raccolti verrà indirizzata verso lo sviluppo degli store Roma, magari aprendo ancora più punti vendita nei centri commerciali e in giro per la capitale. 

Prossime tappe? Sicuramente Milano. Ma noi gli auguriamo di andare verso l’infinito e oltre.  

Daje! 

di Irene Caltabiano

 

 

 

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