Appartenere a un luogo può essere un’arma a doppio taglio
Infatti, se la vita che conduciamo non ci soddisfa, può essere difficile e doloroso decidere di abbandonarla per cercare altrove una dimensione a misura dei nostri desideri. Non sempre è facile stabilire con nettezza cosa distingue un sano radicamento dalla prigionia psicologica nei confronti di un territorio.
Certamente, chi vive con fluidità (e perché no, anche un pizzico di fatalismo) il proprio legame con i posti che attraversa è avvantaggiato, nel momento in cui sceglie di mollare tutto e iniziare un nuovo capitolo della propria vita. Così, avere rapporti amicali o sentimentali con persone di altre culture può rappresentare un aiuto notevole, in quanto consente di integrare nella propria identità aspetti molteplici e multiformi, garantendo un’elasticità mentale preziosa per adattarsi a nuovi contesti. In tal senso, particolarmente emblematica è la storia di Guido Castagnoli, fotografo nato a Torino e cresciuto a Genova che oggi vive con la moglie, un soprano giapponese, e i tre figli a Berlino.
Rinunciare al posto fisso, e vedersi aprire le porte di una nuova vita
Un punto di snodo significativo, nel privato come nel lavoro, è stato la decisione di abbandonare il lavoro di grafico e consulente creativo in un’agenzia di Milano. Correva il 2006 quando Guido Castagnoli decise di provare a dedicarsi a tempo pieno alla fotografia. Una scelta, la sua, che sicuramente ha pagato, se si considera che, nel giro di qualche anno, è riuscito poi a ottenere collaborazioni con riviste prestigiose come New York Times, Financial Times, Vogue ed Elle. Nel 2011 ha poi ottenuto il secondo posto nella categoria landscape dei Sony Photography Awards con un reportage sull’utilizzo di fiumi e canali cittadini a Tokyo.
Nel frattempo, proprio undici anni fa, il fotografo conobbe Seiko al vernissage di una mostra. In breve tempo la storia decollò e, anche per evitare eventuali problemi con la famiglia di lei, i due decisero di sposarsi.
Perché Berlino?
La scelta avvenne nel 2008, dopo che Guido Castagnoli trovò un agente per le sue foto nella capitale tedesca. Visitare spesso la città gli consentì di apprezzarne i punti di forza, tra cui la quantità e qualità di stimoli offerti e l’apertura e curiosità nei confronti delle varie culture. Nel frattempo erano nate anche le prime due figlie della coppia, Mei ed Emi, e l’ambiente di Genova, in cui stavano trascorrendo i primi anni di vita, iniziava a mostrare i limiti insiti in un certo provincialismo.
Per le bambine l’approccio con il tedesco è stato morbido, peraltro Berlino ha offerto loro tranquillità e un rapporto di genuino interesse e attenzione reciproci con i coetanei. “Qui il razzismo, semplicemente, non esiste. Neanche in tenera età”, spiega Guido Castagnoli. Di questo “clima” particolarmente positivo sta usufruendo anche Ao, il terzo figlio della coppia nato nel 2015.
Tuttavia, qualcosa di cui avvertono la mancanza rispetto all’Italia c’è. “Si tratta del modo di socializzare e aggregarsi tra genitori al di fuori dell’orario scolastico. Inoltre, nei Paesi mediterranei tendiamo a far incontrare i bambini in gruppo, qui invece si preferisce farlo individualmente”.
Come definirebbe Guido Castagnoli l’esperienza sua e della sua famiglia a Berlino? Una parentesi, un tratto di strada presumibilmente lungo, ma quasi certamente non la scelta definitiva. “Dopo che i nostri figli saranno cresciuto ci piacerebbe trasferirci fuori da una grade città, magari in Italia o in Giappone. L’importante è che si trovi vicino al mare, perché questo è probabilmente l’unico scenario che sento davvero mio”.
Quando le cose non mi divertono, mi ammalo (H.B.)
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