Lavorare 2.0

Casa Rider, a La Spezia il primo "rifugio" per chi consegna a domicilio

Ho sempre avuto un amore particolare per le figure secondarie, visibili a un occhio superficiale eppure poco considerate.  

Traslandole in campo lavorativo, ci sono professioni come i riders che, silenziosamente, mandano avanti una grossa fetta di economia, coloro che ci recapitano “magicamente” il pasto caldo e ripartono subito verso un altro indirizzo, con qualsiasi condizione atmosferica.  

La questione sulle condizioni contrattuali e oggettive dei lavoratori temporanei è ancora molto dibattuta. Spesso, infatti, questo tipo di professioni non hanno sufficiente tutela. Già sono stati fatti dei passi avanti ma se ne possono certamente fare degli ulteriori.  

Infatti, ciò che va considerato, non è tanto il cambiamento del lavoro in sé, visto che la figura del fattorino esiste da decenni, ma più una trasformazione lato datore di lavoro.  

Ormai i riders sono fondamentalmente a servizio delle piattaforme virtuali. Si trovano quindi spesso a improvvisarsi, in città che non gli danno alcun tipo di supporto e che non possiedono un luogo "a loro misura". 

Casa Riders, un rifugio accogliente  

Proprio per questo motivo, La Spezia è diventata la prima città a creare uno spazio dedicato ai lavoratori della gig economy.

“Casa Riders” è un rifugio dove chi sfreccia per la città a far consegne potrà sia prendersi un attimo di pausa, che usare i servizi igienici, che ricaricare il cellulare, e infine, in caso di pioggia o condizioni metereologiche sfavorevoli, trovare un riparo.  

Il progetto è stato portato avanti insieme ai sindacati CGIL, CISL e UIL, e si è sviluppato da una esplicita esigenza di settanta rider.  

«In tanti si ritrovano a litigare per il parcheggio, a non avere un punto dove ricaricare il telefono, ormai uno strumento di lavoro a tutti gli effetti, o a non sapere dove andare in bagno. Abbiamo quindi pensato a un luogo dove garantire un minimo di comfort ai lavoratori, con un occhio di riguardo anche alle ragazze, che lavorando in strada giorno e notte, sono esposte» ha esposto Fabio Quaretti, della CGIl di La Spezia.  

L’amministrazione della città ligure è stata molto collaborativa. Alcuni locali di via Padre Giuliani sono dunque stati rinnovati e riadattati sulla base delle esigenze dei riders.  

«Di tutto l’allestimento ci occuperemo noi come CGIL insieme a CISL e UIL. Serviranno stipetti per le mantelline, ma anche un punto di ricarica per le biciclette elettriche e tutto ciò che i lavoratori che verranno a visitare i locali ci segnaleranno». 

Un nuovo sistema?

Un altro importante passo avanti è ufficializzare Casa Riders come lo starting point, un luogo “virtuale” dove idealmente timbri il cartellino di entrata e di uscita. Averlo distante dalla zona di lavoro è un problema. Se l’applicazione invece riconoscesse Casa Riders come starting point, a partire da quel momento i ragazzi potrebbero aspettare al caldo d’inverno e al fresco d’estate. 

Infatti, come risulta da diverse testimonianze, i luoghi in cui i riders sono tenuti a presentarsi, risultano sempre piuttosto scomodi e isolati. Sono stati registrati diversi casi di molestia, sia verso donne che verso uomini.  

Uno dei rider di Just eat sottoilinea che il problema di questo lavoro è proprio non sapere a chi rivolgersi per problematiche "reali", dal momento che non c’è una persona dietro al'assegnazione degli ordini ma un algoritmo che gestisce andamento e tempi di consegna. 

Casa Riders sembra un ottimo inizio per “umanizzare” questo tipo di economia, mettendosi maggiormente dalla parte del lavoratore che, con gli strumenti giusti, riesce a performare anche meglio. 

Un modello win to win che è stato già replicato in città come Napoli o Verona. Noi non possiamo che augurarci che si diffonda sempre di più.

di Irene Caltabiano

 

 

 


 

google playSeguici anche su Google Edicola »

 

Continua...

We make market, l'eccellenza artigiana italiana sbarca online

Primato artigianale 

L’Italia, si sa, è un paese dove l’artigianato, grazie anche alla materia prima di alta qualità, va fortissimo e fa svettare alta la bandiera dell’eccellenza nazionale in tutto il mondo.  

Il grosso problema è però la mancanza delle piattaforme giuste per pubblicizzare il lavoro di tanti professionisti, che, tra fashion e plant designer, ceramisti, pittori, pellettieri e chi più ne ha più ne metta, nel 2022 non può di certo  permettersi di svolgersi solo fisicamente.   

Fino ad ora.  

Cos'è We Make Market?

We Make Market è la startup di e-commerce dove gli utenti trovano un’offerta sui migliori prodotti handmade, con un supporto continuo da parte di un team specializzato, in modo da promuovere la digitalizzazione e l’ampliamento del mercato.  

In principio fu Cargo Market, un evento che riuniva in luoghi storicamente importanti e rappresentativi d’Italia, soprattutto di Genova, i migliori artisti, designer, stilisti e creativi, ciascuno attentamente e rigorosamente selezionato in base allo stile che ogni particolare edizione richiedeva. 

L'idea nasceva dalla mente di Marco Bruschi e Alberto Ansaldo, provenienti da ambiti professionali completamente differenti ma con una gran voglia di rivalutare alcune zone della propria città, e ogni anno accoglieva migliaia di visitatori nel capoluogo ligure.  

Poi arrivò la pandemia, a marzo 2020. Con tutte le difficoltà del caso, si è deciso di ricreare l’esperienza del Cargo Market... online. L’obiettivo principe era dare un supporto alla digitalizzazione e all’artigianato italiano, aggirando lo stop momentaneo imposto dal Covid.  

I fondatori sono riusciti fin da subito a trovare spazio, con un bacino di professionisti pronti a contattarli e unirsi a loro e di utenti interessati a ciò che la startup aveva da offrire.  

La società prende il via con l’obiettivo di mettere a disposizione degli artigiani un e-commerce gratuito, prendendo una percentuale soltanto sul transato. 

Un mercato ibrido 

Nonostante sia nato l’e-commerce, la parte fisica non è certo stata accantonata. Sono state infatti create diverse formule di workshop e tipologie di corsi che variano nella durata, alcuni più lunghi, altri più brevi, in modo da andare incontro a tutti i tipi di esigenze.  

Inoltre i laboratori sono studiati ad hoc in base alla città in cui vengono svolti. Si passa da quelli per la realizzazione del kokedama, metodo giapponese per mantenere le piante senza vaso, ai workshop inerenti il mosaico che si svolgono a Roma, ai corsi sulla ceramica al tornio a Genova.  

Insomma, un laboratorio in pieno fermento creativo che non può far altro che crescere ulteriormente. 

 

di Irene Caltabiano

 


 

google playSeguici anche su Google Edicola »

 

Continua...

Capsule, la sfera che cataloga e conserva i tuoi ricordi

Partiamo da una semplice domanda.

Quanto tempo impieghiamo ogni mese a scegliere che foto conservare e quali relegare al cestino? Per non parlare poi di quando dobbiamo trasferirle sui vari dispositivi... ed è tutto un crash. 

Ormai anche i programmi di cloud online hanno tasse mensili sempre più alte. Quindi, come fare per avere spazio illimitato, senza spese eccessive e con un accesso immediato ai propri files da qualsiasi parte del globo? 

Un laboratorio di tecnologia australiano ci ha pensato e si è immediatamente messo all’opera. Il capo progetto, Johnatan Zhuang, ha avuto la cosidetta scintilla quando, a causa di un backup fallito, perse tantissime foto della figlia, dai primi passi, ai primi peluche, alle prime risate.  

Così, dopo aver provato diverse soluzioni online, per cui era sempre necessario pagare un tot al mese, senza una sicurezza di totale privacy, si chiese se ci fosse un dispositivo da comprare una sola volta e utilizzare a lunga durata. E, realizzato che non esisteva, ha ben deciso di crearlo lui stesso.  

Riunisce dunque un team variegato, con professionisti provenienti da Asia, Europa e Oceania, ma uniti dal linguaggio del design e della tecnologia. Una squadra che, insieme, contava ben 55 anni di esperienza.  

Come funziona Capsule 

capsule2Con Capsule servono solo 3 minuti per conservare tutto ciò che vuoi. Basta semplicemente collegarlo a qualsiasi device tramite USB una sola volta, scaricare la Capsule app sul proprio telefono e il gioco è fatto!  

L’hardware infatti comunica sempre tramite l’app, anche se lontani da casa o in viaggio, e si connette a dispositivi di ogni tipo, a prescindere dalla forma e dalla tipologia.  

Connettendosi automaticamente da qualsiasi parte del mondo, lavora in background. Se però per qualsiasi motivo si dovesse essere a corto di connessione dati, si può stoppare questa funzionalità e lasciare che si riattivi non appena connessi nuovamente al WI-FI.  

Capsule funziona così proprio perché, se improvvisamente il cellulare decide di abbandonarti, se cade o ci sono infiltrazioni di acqua, puoi star sicuro di non perder alcun dato.

Album automatici 

Ma Capsule non solo conserva le tue foto. Il dispositivo riconosce persone, eventi, location, perfino oggetti, e li cataloga automaticamente. Capsule può anche produrre un backup da Facebook o Instagram e trasformarle in album o slideshows.  

Tutto ciò consente di tenere il cellulare o altri dospositivi continuamente liberi e puliti, senza appesantirli. 

Inoltre, si può scegliere tra quattro eleganti modelli, gli standard Arctic White e Midnight Black e le metal edition in grigio scuro e chiaro. 

Il progetto, diffuso inizialmente tra alcuni tester in versione BETA, ha avuto un grande successo come campagna di crowdfunding su Kickstarter, raggiungendo quasi subito l’ambizioso obbiettivo di 43.000 € con ben 365 sostenitori. 

Conservare file, video e ricordi in maniera sempre più sicura e accessibile è una sfida che Capsule ha deciso di assumersi. Con ottimi risultati.  

irene

di Irene Caltabiano

 
 

 


 

google playSeguici anche su Google Edicola »

 

Continua...

 

FB  youtubeinstagram

✉ Iscriviti alla newsletter


☝ Privacy policy    ✍ Lavora con noi

Contattaci