Biova, una gustosa goccia (di birra) nell’oceano
«Il pane deve essere fresco, sennò che gusto c’è!»«Il pane duro? Per carità, butta quella pagnotta, che si ammuffisce!»
Viviamo nella società del consumismo, dell’impulso all’acquisto continuo che ci porta a sostituire immediatamente con il nuovo ciò che magari, per i nostri nonni, era un’eresia relegare al cestino dei rifiuti.
Pensate solamente al fatto che con il pane rimasto sugli scaffali si potrebbero alimentare 25mila persone l’anno.
Il frutto della lavorazione del grano è sempre stato considerato un alimento sacro, fin dai tempi antichi. E allora perché non continuare su questa scia e ridare a filoni e pagnotte "vecchi" una nuova vita?
Biova, il pane vecchio ritorna giovane
C’è chi, di fronte a questi dati, prefersice lavarsene le mani e chi invece avverte il peso della responsabilità di tali sprechi e vuole creare modelli virtuosi.
È il caso di Biova Project, startup torinese nata dalle menti di Franco Di Pietro, Emanuela Barbano e Simone Oro.
«Biova è il nome di una tipica pagnotta piemontese» ha spiegato Franco in un’intervista al web magazine L’Italia che cambia. «A lei ci siamo ispirati, poiché ci racconta di una lunga e centenaria tradizione. Ma per noi la biova è simbolicamente tutto il pane, è quello ancestrale, che da sempre ne identifica tutte le tipologie». Così nasce il progetto ormai divenuto una solida realtà: trasformare tutto quel pane di scarto in un prodotto nuovamente commercializzabile.
I tre fondatori si sono avvicinati alla tematica dello spreco alimentare “sporcandosi le mani” e recuperando le eccedenze di cibo in primis dai catering aziendali. Da quando si sono resi conto della mole di spreco perpetrato quotidianamente, il loro atteggiamento è radicalmente cambiato.
Biova, la birra che ripassa dal via
Tutto sta nell’intercettare lo scarto al momento giusto, prima che sia troppo tardi.
I volontari di Biova Project recuperano in giornata l’invenduto e lo portano negli appositi centri per bloccarne il deperimento, dopo essere stato tritato e impacchettato.
L’elemento interessante è come si cerchi di creare rete con i birrifici locali, offrendo nello stesso tempo un servizio di recupero e uno di consegna.
La birra prodotta viene infatti, una volta imbottigliata, ridistribuita a quelle panetterie e a quei supermercati che hanno donato il pane per produrla, creando un perfetto circolo virtuoso.
Il processo si è dimostrato particolarmente efficace perché il pane va a sostituire circa il 30% della materia prima normalmente utilizzata per produrre la birra nuova. «Biova birra è più una filosofia» racconta Franco «I birrai che collaborano con noi sono dei veri alchimisti e hanno una profonda etica che ci accomuna, legata al recupero degli alimenti».
In effetti il numero di partecipanti che collaborano a Biova Beer può arrivare a coinvolgere centinaia di persone, chiamando in causa diverse professionalità oltre che cittadini interessati ad agire concretamente contro lo spreco alimentare.
Biova, la goccia che si spera diventi oceano
Le idee come Biova Project scaldano il cuore (e lo stomaco).
Al momento le birre Biova si possono trovare in Liguria, Lombardia e Piemonte, distribuite in alcuni grandi supermercati e in botteghe, bar e ristoranti piemontesi.
Solo nel 2019, dagli scarti di pane sono stati prodotti circa 15.000 litri di birra.
Progetti che, se sviluppati su larga scala, potrebbero passare da essere una goccia nell’oceano a una cascata di cambiamento.
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