Affitti? Stringere denti e metri quadrati
Come sono cambiati i sogni
Siamo la generazione dei navigatori senza una rotta, trasportati dall'oceano di esperienze e occasioni, senza un’àncora, metaforica o fisica, a cui aggrapparci.
I nostri genitori erano certi che una casa, un buon lavoro e una relazione stabile significassero aver trovato il proprio posto nel mondo. O almeno di aver raggiunto ciò che dai più era considerato un equilibrio economico ed emozionale.
È ancora così? Da cosa dipende quest’inquietudine che, anche una volta ottenuti "i lascia passare per la vita adulta", ci porta a non riuscir mai del tutto a varcarne la soglia? Che ci fa rimanere impantanati in quel confine sottile tra il crescere e l'accontentarsi di un'esistenza non all'altezza delle proprie aspettative? Quella sensazione che spinge a chiedersi: è davvero questo che voglio?
La casa come metafora
Qualche giorno fa mi sono ritrovata a discutere con alcuni amici del perché la gran parte delle persone, con i soldi che spende mensilmente per pagare una stanza, continua a preferire un affitto piuttosto che aprire un mutuo per comprare un appartamento?
Non stiamo parlando di studenti. La co-abitazione tra i trenta e i quarant’anni è un fenomeno sempre più diffuso. Stipendi più bassi? Non avere la certezza di cosa ne sarà di noi fra sei mesi o un anno? O forse è la generazione '80-'90 che ha semplicemente cambiato aspirazioni,trovandosi di fronte a possibilità professionali e una facilità di spostamento superiori a cinquant'anni fa?
Esistono alcuni dati oggettivi che spiegano la tendenza a non mettere radici. Il boom del co-housing è scoppiato anche perché molte persone preferiscono condividere un appartamento all'acquisto di un costoso monolocale.
Spesso risulta soffocante vivere in venti metri quadrati; nello stesso spazio si deve cucinare, dormire, guardare la tv e tutta una serie di attività quotidiane.
A parità di prezzo o a costo minore si opta per spendere i propri risparmi tollerando la presenza di estranei, che potrebbero rivelarsi o meno affini al proprio carattere o abitudini. Ma nonostante il rischio di una convivenza difficile si continua a scegliere la vita fra coinquilini ottenendo in cambio ambienti meno claustrofobici.
Siamo figli …de(i prezzi a)lle stelle
Gli affittuari sono ben consapevoli di tale tendenza e ne approfittano, alle volte aumentando di parecchio le cifre. Se si ha a che fare con lavoratori anzichè con studenti, il prezzo iniziale lievita.
Si tende a pensare che chi non è disoccupato, percependo uno stipendio, abbia maggior potere d’acquisto. Ma non sempre è così. Se infatti nella fase studio i genitori, con sacrificio, passano una quota mensile, dopo il primo contratto arriva il momento in cui devi cominciare a sbrigartela da solo.
Non perché mamma e papà chiudano il portafogli ma per un (corretto) senso di gratitudine e costruzione della propria indipendenza. L'orgoglio però non sempre corrisponde ad una reale possibilità di autonomia economica.
Non parliamo poi del gap che esiste fra lo stile di vita di chi ancora studia (uscire la sera, fare tardi, essere tendenzialmente meno responsabilizzato) e chi lavora ( passare almeno otto ore alla scrivania e al ritorno nella propria dimora desiderare pulizia, un clima tranquillo e andare a dormire presto). Una realtà e un disagio che serpeggiano senza nome.
Il triangolo delle bermuda
Internet è un calderone di storie, se ne trovano a bizzeffe. Ventenni che convivono con persone che hanno il doppio dei loro anni, a volte anche con figli. Il "triangolo delle bermuda" è sempre lo stesso: Milano, Roma e Torino (un po’ meno Bologna).
«Vivo qui ( a Milano) da cinque anni» dice una ragazza «e sono alla quarta condivisione. Come si fa ad avere scelte con questo caro vita e dei lavori a progetto? Molte delle mie amiche hanno accantonato l’idea di matrimonio».
Oppure un’altra donna scrive, non senza un certo senso di frustrazione che trapela dalle sue parole: «Sono separata , continuo a pagare il mutuo della prima casa, ho un figlio e co-abito in una casa grande. Almeno la casa è più spaziosa».
La domanda sorge spontanea: abbiamo paura del futuro, di una vita che sembra non appartenere più ai millenials o semplicemente l’avvenire come si prospettava ai nostri genitori non esiste più? Forse è presto per dare una risposta. Le evoluzioni della società, per essere attestate, vanno in primis vissute.