Burnout: quando il lavoro ammala
L’ideale è un fuoco sacro che, se arde troppo forte, può ustionare
Per un crudele paradosso, investire troppe energie (fisiche e mentali), buoni propositi ed empatia nel proprio lavoro, soprattutto se questo prevede il contatto con il pubblico e non presenta un’efficiente organizzazione interna, può rivelarsi un boomerang. È la sindrome da burnout, diventata amaro pane quotidiano da marzo 2020 per una parte consistente di medici e infermieri.
Cosa s’intende per burnout e quali sono i campanelli d’allarme
Il termine indica una situazione di svuotamento emotivo caratterizzata dal marcato distanziamento psicologico nei confronti del paziente e da un approccio improntato al cinismo e allo svolgimento automatico e meccanico dei propri compiti. L’esplosione della pandemia di Covid19 ha oberato di lavoro medici e infermieri; il numero di ore da coprire giornalmente è lievitato all’improvviso, senza che, di contro, ci fosse un’adeguata preparazione ed una proporzionata redistribuzione all’interno dello staff. Ciliegina sulla torta, il distacco forzato dalle proprie famiglie per evitare loro l’eventualità di un contagio.
Così, è capitato che psicologhe assunte poco prima di marzo 2020 si ritrovassero catapultate in reparti convertiti in luoghi di degenza per pazienti Covid. Si ritrovavano quindi a fronteggiare ogni giorno uno o più decessi, e doverne informare i familiari.
Uno tsunami paragonabile a quello che investì i giovanissimi costretti a partire per il fronte all’indomani dell’inizio della Grande Guerra.
Il burnout ha molteplici corollari: insoddisfazione professionale ed umana, ansia, depressione, sviluppo di dipendenze, peggioramento della qualità delle relazioni, pensieri suicidari…
Sentirsi svuotati e scarichi, vedere disattese aspettative e speranze a lungo riposte nel proprio lavoro, aumenta il rischio di errori diagnostici, pregiudica la qualità delle cure e incrina l’empatia, pietra angolare delle professioni sanitarie.
Un fenomeno, questo, il cui insorgere è stato favorito dalle croniche carenze strutturali e di personale con cui la nostra sanità deve fare i conti. A fronte di una media italiana di 5,7 infermieri ogni mille abitanti, il valore della zona Ocse è di 8,2. Il Censis stima che negli ospedali italiani servano 72mila infermieri, e non perché manchino giovani che abbiano studiato per svolgere questa professione, ma perché i relativi concorsi pubblici prevedono il reclutamento di un numero irrisorio di nuove unità.
Non basta: il burnout di medici e infermieri si accompagna spesso al disturbo da stress post-traumatico (PTSD), patologia studiata per la prima volta a seguito della terribile guerra in Vietnam. Anche la sua sintomatologia ha carattere invalidante, in quanto è caratterizzata da insonnia, incubi ricorrenti, flashback intrusivi e dissociazione.
Quali rimedi per il burnout da Covid19?
Come ha notato lo psicoterapeuta Giorgio Nardone, è fondamentale intraprendere misure di prevenzione del fenomeno.
Quest’indicazione ha numerose traduzioni in termini pratici: in primis le aziende sanitarie locali dovrebbero fornire a medici e infermieri adeguata assistenza e supporto, rompendo il tabù/infondato assioma per cui “dallo psicologo ci va solo chi ha problemi”. Ché nessuno è esente da problemi, ma solo chi ne è consapevole ed è seriamente intenzionato ad affrontarli ha la maturità di rivolgersi ad una figura competente.
Le aziende sanitarie locali dovrebbero, contestualmente, dare a medici e infermieri la possibilità di segnalare eventuali situazioni disfunzionali SENZA rinunciare alla propria privacy.
Sarebbe auspicabile immaginare, spiega Nardone, luoghi e momenti ad hoc in cui i professionisti sanitari potessero raccontare le loro esperienze, tirare fuori emozioni spiacevoli e sgradevoli e confrontarsi in merito. Creare, quindi, una sorta di contenitore emozionale. A questa esperienza collettiva finalizzata alla socializzazione andrebbe affiancata, nel lungo periodo, un’attività individuale come la compilazione di un diario.
In conclusione, concepire la sanità come un organismo che, in quanto tale, trovandosi in una situazione di esaurimento, va sostenuto. Perchè solo se recupera la sua integrità psicofisica trasmette al cittadino la fiducia necessaria ad affidarsi completamente.
Quando le cose non mi divertono, mi ammalo (H.B.)
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