Caffè equo-solidale, perchè dovremmo comprarlo
18.05.2016 16:47
Il caffè è il motore delle nostre giornate.
Tutti ci svegliamo con il pensiero alla magica bevanda. Quotidianamente in tutto il mondo se ne bevono quattro miliardi di tazzine. Pochi però si chiedono cosa ci sia davvero dietro quei chicchi.
Le piantagioni e i pesticidi
Una ricerca fatta dai giornalisti indipendenti del Danwatch ha messo in luce come in realtà esista un forte uso di pesticidi tossici che mette a rischio consumatori e lavoratori. L’uso smodato di sostanze nocive sta decimando i lavoratori nelle piantagioni di caffè. Il principale responsabile di questa morìa è il terbufos, insetticida vietato in Europa ma non in Brasile. Questo prodotto può uccidere anche solo attraverso un minimo contatto con la pelle. Se viene inalato si possono manifestare disordini visivi, vertigini, vomito, difficoltà di respirazione e perdita di coscienza.
I caporali non si curano affatto di fornire ai propri dipendenti adeguate protezioni. «Non mi hanno mai insegnato come fare, il padrone mi ha detto “Qui c’è lo spray e qui c’è il prodotto, vai e spruzzalo”» racconta Ronaldo Vicente Antonio. L’uomo indossava vestiti normali, a volte anche gli stessi per tre giorni di fila, una mascherina di carta e guanti di gomma come quelli per lavare i piatti; a volte se li toglieva per pulire la pompa e tutto il pesticida gli finiva sulle mani. Oggi ha difficoltà a camminare ed eseguire i più piccoli gesti.
Se questo è lavoro
Dire che le condizioni igieniche sono carenti è sicuramente un eufemismo. Ma la sanità non è certo l’unico elemento a mancare. I lavoratori dell’industria del caffè sono privi di contratto e non hanno alcun diritto.
«Il problema più grande è che quasi la metà dei braccianti nelle piantagioni di caffè non essendo regolarizzata perde i benefici sociali» spiega Jorge Ferreira dos Santos Filho, coordinatore del movimento sociale Adere (Articulação dos Empregados Rurais de Minas Gerais). Malattia e ferie retribuite, pensione e sussidio di disoccupazione sono un sogno per chi lavora nelle piantagioni brasiliane. Purtroppo però faticare senza contratto è molto più appetibile dal punto di vista economico. I padroni delle piantagioni offrono un salario più alto rispetto ad altre attività e i lavoratori, magari costretti da debiti, accettano senza rendersi conto di quanto si rendano vulnerabili.
Dal momento che il Brasile è il primo produttore mondiale di caffè, è molto probabile che la polvere che mettiamo nella moka ogni mattina sia frutto di crudeltà e schiavismo. Le grandi industrie (fra cui la Nestlè) possiedono il 40% del mercato globale del caffè con marchi noti come Nescafè, Nespresso e Dolce Gusto.
Lavorare 14 ore al giorno, ingaggiati a giorno, senza paga fissa ma stabilita base a quanti sacchi si riescono a riempire (3/5 dollari per circa 60 litri). Il prezzo del caffè sale successivamente attraverso i vari intermediari ( esportatori, importatori e grandi industrie) fino ad arrivare a quello che troviamo sugli scaffali dei supermercati. Meno del 2% del prezzo al consumatore va a chi ha raccolto i chicchi. Peraltro, le condizioni abitative sono altrettanto precarie: nessun accesso all’acqua corrente. Così spesso i lavoratori costretti a bere dalla stessa fonte delle mucche.
Comprare caffè equosolidale
I modi per combattere tali ingiustizie ci sono. Numerosi i presidi slow food dedicati al caffè (São Tomé, Príncipe, Luwero), che viene importato in Italia grazie al lavoro dell’impresa sociale Equoqui. Altre marche comunque sfruttano la filiera equo-solidale: Alce Nero, Haiti, Chicco d’oro, Ciellini, nonché le linee bio di molti supermercati. Basta fare attenzione alla dicitura fair trade.
E il caffè avrà un altro gusto.
(Grazie a Slow food per i dati)
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