Che reclusione! Sarà perché scappiamo!
Che dici, ce ne andiamo?
Ogni tanto questa realtà va fugata. Subito tutt’intorno diventa un fuggi fuggi disordinato e precipitoso. Una toccata e fuga di qua, un mordi e fuggi di là, un amore che vinci se fuggi, scappiamo insieme e così via. Ma sì, il modo è crudele, questa vita è un inferno, la società fa schifo, la politica è solo un gran ‘magna magna’, la disoccupazione giovanile è un vero dramma, ecc… Effettivamente, di motivi per darsela a gambe ce ne sarebbero a iosa. Se le cose stanno così, legittima e doverosa è un’evasione (quella fiscale nel nostro paese è esponenziale e mirabile) personale verso la libertà.
Il rifiuto di questa realtà, insostenibile e inaccettabile, è una vera prigionia che porta all’esasperazione nella fuga. Il mondo fuori, è troppo diverso e inaccettabile. Non è come lo voglio, mi schiaccia e m’intrappola. Nulla è come dovrebbe. E quanta insofferenza, disagio e inibizione nel fuggitivo. Lo scontro con troppa diversità lo fa scappare. Non ce la fa! Capitemi, non voglio dire che restare prigionieri in gabbia sia la scelta migliore! Cerco solo di comprendere, mi auguro senza ripetere cose già dette da altri, come forse, alle volte, la strategia dell’alzare i tacchi non sia poi la migliore o la più auspicabile perché trafuga invece illusori sogni di libertà.
Scappa chi fugge
Fugace andirivieni
Nella sua cella, il carcerato, molto spesso carceriere di se stesso, generalmente è solo, talvolta in compagnia. L’evasione dalla condizione che non sostiene più, non è in sé sbagliata, ma di certo non è liberatoria come crede. Qualcosa sempre gli sfugge. è umano. Un aspetto non notato, una disattenzione, una sottigliezza, una piccola o grande verità. Mi è sfuggito qualcosa? E rieccoci di nuovo, con il necessario e inevitabile incontro con la realtà, della quale, un aspetto è rimasto sfuggente. Ecco che per fugare ogni dubbio e accertarsi, gli tocca tornare sui suoi passi, e seguire le tracce furtive che ha lasciato. Così il prigioniero è costretto dallo scappare, al tornare.
L’attimo sfuggente
Diciamo anche che c’è una bella differenza tra l’andarsene (verso, allontanamento), e il venire (da, avvicinamento). Così come sfuggire non è fuggire. Di mezzo c’è un movimento consapevole. Nel venire via (generalmente da) è in atto un evitare il dolore, o uno schivare un pericolo che salva la vita perché ci sottrae al potenziale danno. Dunque c’è una funzione istintiva e protettiva, in quanto, siamo sfuggiti a quell’attimo in cui, il peggio poteva accadere.
Mettersi in fuga verso un rifugio sicuro
Nella corsa precipitosa e disperata abbiamo impresso tracce e impronte che ci aiuteranno a ripercorrere la strada del ritorno. Andare via richiede il saper stare sulle proprie gambe, in modo tale da essere autonomi e indipendenti, sennò diventa parecchio difficile l’alzare i tacchi (e chi porta scarpe basse?). Ma qualcosa, come al solito, non mi quadra. Come si fa a tagliare la corda, e poi filarsela? La strategia da mettere in atto mi sembra aberrante. Ok. Sorvoliamo.
F(r)uga nella realtà!