Che senso ha spendere tanti soldi per una maglia da calcio?
Diario di un web editor in vacanza.
Sei a Barcellona per goderti quattro giorni di relax e ammirare la bellezza del capoluogo catalano. Hai l’imbarazzo della scelta, tra i capolavori di Gaudì, Barceloneta, il Barrio Gotico, La Boqueria e monumenti vari.
Ti guardi attorno cercando di catturare ogni fotogramma per inserirlo nell’album dei ricordi. Per riuscirci costringi il tuo smartphone a un superlavoro, pregando che la batteria tenga botta fino al rientro in albergo.
Ciononostante ti accorgi che l’elemento comune in tutti i tuoi scatti non è un particolare stile artistico o architettonico. No, è la maglia di Messi. Ovunque ti giri trovi qualcuno che ne indossa una, dal neonato all’ultraottantenne.
Quand’anche il tuo spirito d’osservazione non fosse esattamente quello di uno Sherlock Holmes, ci sarebbero comunque i capillarissimi FCBarcelona Official Store a rammentarti che anche tu devi acquistare una maglia di quello che è definito “Més que un club”. Altrimenti non sei davvero nessuno.
Non hai nessuna intenzione di cedere, tuttavia ricordi che a casa ti aspetta un nipote calciofilo e a quel punto sei con le spalle al muro. Scendi alla fermata metro Catalunya perché Google ti ha detto che lì c’è un negozio del club azulgrana e mentre sali gli scalini per tornare in superficie hai un mancamento. Hai appena letto sul display che la maglia ufficiale da gara costa ben 140€ e il modello replica 85€.
Sei colto dallo sconforto e pensi a quanti pasti dovrai saltare durante il soggiorno per ammortizzare la spesa. Avvii l’app calcolatrice sperando che il responso non sia così grave ma tant’è: non te la puoi permettere.
Mani in tasca, vaghi per La Rambla come un cane bastonato, dando calci ai mozziconi di sigaretta rimasti a terra. Ma proprio quando ormai avevi perso ogni speranza, sul bordo di un marciapiede noti un telo con esposte delle maglie del Barcellona perfettamente identiche a quelle ufficiali.
Come si determina il prezzo di una maglia da calcio?
Ormai qualsiasi multinazionale produce in Asia, che si tratti di abbigliamento, scarpe, oggettistica o elettronica di consumo. I prodotti confezionati in Occidente sono soltanto quelli d’élite, perché il costo della manodopera non è competitivo.
Una maglia come quella del Barcellona, il cui sponsor tecnico è la Nike, nel paese di produzione ha un costo di circa 7€. Il trasporto in Europa fa raddoppiare il prezzo, quindi alla dogana si potrebbe acquistare la casacca con appena 14€.
Cosa accade, poi? Il prezzo di vendita ai negozianti diventa 30€. Questi, a loro volta, stabiliscono un ricarico del 100% e oltre, per il proprio guadagno. A questo importo va poi aggiunta l’IVA, che in Italia è al 22%. Ed ecco qui che il costo diventa pressoché inaccessibile ai più.
Considerando che un club come il Barcellona è al primo posto nelle classifiche di vendita, con tre milioni e seicentomila maglie distribuite annualmente in ogni angolo del globo, si evince che questo è un giro d’affari di proporzioni bibliche.
Non ci sarebbe nulla di male se i prezzi non fossero così assurdamente gonfiati, dunque forse vale la pena fare qualche riflessione prima di lasciarsi trasportare dall’onda emotiva. Anche perché dietro a ogni prodotto c’è una rete di sfruttamento della manodopera che fa rabbrividire.
Il mondo è dei furbi.
Chi guadagna, in questo business, sono solo i mercanti, ossia coloro che non fanno nulla se non contrattare. Chi invece realizza il prodotto mettendoci ingegno e sudore, viene ricompensato con un pugno di riso e fagioli, un caffè e qualche dollaro al giorno di salario.
Spesso ci sentiamo dire che non dobbiamo acquistare prodotti contraffatti, poiché in questo modo finanziamo persone che sono legate ad associazioni a delinquere o nella migliore delle ipotesi evadono il fisco.
La domanda, però, nasce spontanea: non sono le multinazionali stesse ad agire illegalmente e ad aver creato il fenomeno della pirateria? Se i manufatti costassero il giusto, la gente non avrebbe alcuna necessità di rivolgersi alla “concorrenza”. Ergo quest’ultima non avrebbe modo di esistere.
Il prezzo onestissimo che il ragazzo senegalese mi ha proposto lungo La Rambla è quello che chiunque dovrebbe pagare nello store ufficiale di ogni squadra di calcio blasonata. Mattiamoci sopra un’altra quindicina di euro, magari, per essere magnanimi.
Quel che è certo è che una maglia non può costare così tanto solo perché nel percorso che va dalla fabbrica allo scaffale passa di mano in mano e acquisisce un valore che, di fatto, non ha. Paghiamo il marketing, non la qualità: questo deve essere chiaro a tutti.
La qualità vale 7€, come abbiamo visto, e non possiamo lasciarci accecare dalla passione regalandone ben settantotto a faccendieri senza scrupoli che non creano nessun valore aggiunto, con la loro attività.
Cuidado, amigos!
autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"