Come può un’azienda sopravvivere alle bufere economiche? Una storia italiana
«Io non voglio fallire»
Un auspicio, una promessa, ma soprattutto la voglia di riscossa dell’imprenditrice Serenella Antoniazzi. Una delle tante, nel nostro Paese. Una donna che ha deciso di non rassegnarsi al tiro incrociato della crisi e dei problemi con le banche. E che, attraverso il suo percorso umano e professionale, può costituire un “precedente” e un esempio di forza per quanti stanno affrontando le stesse difficoltà a cui lei è sopravvissuta.
Quando si è ritrovata a gestire l’azienda di famiglia?
All'età di sedici anni, finiti i due anni di segretaria d'azienda avrei voluto studiare per superare l'esame di ammissione ed entrare in una scuola di arredatrice che distava diversi chilometri da casa. Raggiungere in bicicletta la stazione degli autobus e stare via dodici ore al giorno per studiare, era qualcosa di inconcepibile per i miei genitori. Così mi chiesero di pensarci bene e nel frattempo di entrare in azienda per l'estate. Da lì non ebbi più possibilità di uscire. Fino a quando mi resi conto che amavo il mio lavoro e amavo quello che stavo facendo crescere per me, per la mia famiglia e i miei collaboratori. Stiamo parlando di oltre trent'anni fa.
Quando sono iniziati i problemi...
La crisi nel settore del legno è iniziata nel 2008. Gli anni d'oro e una buona gestione aziendale ci aveva permesso di attutirne i colpi. Gli anni di stenti sono stati più lunghi del previsto, ma tutto sommato sostenibili. Questo non vuol dire che andasse bene. Vuol dire che una goccia continua di lavoro ci illudeva che nel tempo, si sarebbero risolti i problemi economici che intanto volutamente si accantonavano. Pur avendo le spalle al muro, lo sguardo non smette di proiettarsi nel futuro e andare avanti, fermarsi richiedere coraggio e la paura di non sapere cosa ti succederà dopo, ti spinge a non valutare attentamente quello che sta accadendo, sia in azienda che in famiglia.
Come si potrebbe affrontare, secondo Lei, la dolente nota dei crediti difficili (se non impossibili) da riscuotere, per gli imprenditori?
Sarebbe molto semplice risolvere questo problema se invertissimo il giudizio di affidabilità bancario, (rating). Se il cliente insolvente venisse segnalato per il mancato pagamento con una formula legislativa al di sopra delle parti, come avviene già in altri Stati europei, in maniera da tutelare il fornitore, (che altrimenti passerebbe agli occhi della filiera lavorativa come “rompi scatole” se portasse all'attenzione delle istituzioni il suo problema singolarmente e volontariamente), si potrebbero accorciare notevolmente i tempi di esposizione a cui sono sottoposti oggi i fornitori anche nel settore privato. Mentre nel pubblico si ha un minimo di certezza perché lo Stato in teoria non può fallire, nel rapporto fra aziende private, questo timore e sempre più forte e imprevedibile. Anche rendere la fattura fiscalmente valida solo nel momento in cui viene pagata potrebbe essere una forma di tutela del credito. Per il fornitore non ci sarebbe l'obbligo di versare l' Iva, nè le tasse e si accollerebbe comunque i costi per portare a termine le varie commesse.
A sua volta il cliente non detrae le forniture fino a quando non vengono effettivamente saldate. Nelle casse dello Stato le entrate resterebbero invariate, e il lavoro del fornitore tutelato. Al di là di ogni formula, dovrebbe regnare sovrano il rispetto per il lavoro altrui. Nessuno è immune alle difficoltà, ma condividerle in maniera preventiva fin da subito può stimolare ulteriormente la volontà di aiutarsi, ma anche renderci liberi di fermarsi prima che tutto venga distrutto.
Che esito ha avuto la Class Action che ha promosso?
Se ci fermassimo all'esito, tutto il mio lavoro sarebbe stato vano. L'importanza di questa particolare Class Action è che nasce dal voler dire basta alla rassegnazione. Essendo noi, anello debole della catena produttiva non possiamo permettere che sia normale, subire ed accettare ogni decisione presa dal nostro cliente e di cui siamo all'oscuro fino a quando tutto crolla. Siamo sempre falliti e sempre falliremo perché uomini! A volte inseguiamo un sogno e per mille ragioni questo viene infranto, ma quando accade, ci devono essere leggi, che tutelino e supportino coloro che indirettamente sono stati coinvolti. Diritti e doveri camminano alla pari sempre, nella vita e nel lavoro.
«Com’è cambiata la mia vita dopo aver pubblicato il libro “Io non voglio fallire”?»
Pubblicare “Io non voglio fallire” ha richiesto una buona dose di coraggio. È la storia di una donna che si mette in discussione dopo aver scelto di vivere, di concedersi una seconda opportunità. Si ribella a tutto quello che considerato “fisiologico” perché la mia vita è una questione personale e raccogliere decine di storie come la mia dove si diventa fantasmi pur essendo ancora vivi, non può essere considerata soltanto una questione economica, di numeri e statistiche. È cambiata perché ho capito che non posso permettermi di delegare ad altri le mie decisioni anche a costo di lottare fino all'ultimo respiro per far valere i miei diritti di Persona e Imprenditrice.
Come procede oggi la Sua attività?
L' A.G.A., dopo anni tormentati finalmente si è accorta che il suo cuore è composto da due metà. Esse appartengono a due fratelli e soci che hanno trovato la forza di ripartire . La strada è lunga, difficile, quasi impossibile, ma oggi abbiamo una meta, un obiettivo comune che condividiamo con la nostra squadra. Insieme fino alla fine. Oggi abbiamo una visione di futuro.
Che cosa consiglia agli imprenditori che si trovano a vivere una situazione simile alla Sua?
Non vi sono consigli appropriati, se potessi tornare indietro cercherei aiuto prima. Pretenderei dal mio consulente di essere protetta, seguita, guidata ed informata dettagliatamente sugli effetti delle mie scelte. Causa / effetto, non salto nel buio. Per molti imprenditori non è possibile dividere la vita lavorativa dalla privata. Tutto ruota intorno al lavoro e se questo viene meno, disarma anche la persona che a volte poi, si perde. Perdi la tua identità. Ti chiedi dove hai sbagliato, che cosa potevi evitare. Ripercorri ogni attimo, ogni decisione, ogni scelta e ti rendi conto che la tua colpa è stata quella di credere nel tuo lavoro e nel tuo istinto di artigiano perché non è un lavoro qualsiasi il guidare un'azienda, richiedere fantasia, ingegno, responsabilità' e senso del dovere verso gli altri prima ancora che verso te stesso.
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