Da grande voglio fare il posto mobile!
Da grande voglio fare il posto fisso!
La frase di Checco Zalone nel film Quo Vado è ormai diventato un detto comune.
Tuttavia tale esclamazione, col passare del tempo, potrebbe perdere sempre più di valore considerato il mondo lavorativo in cui viviamo.
Lo smart working la fa da padrone, gli e-commerce si stanno mangiando le attività commerciali, soprattutto con le misure anti-Covid e tutte le conseguenze a livello sociale, ed è dura pensare che le pensioni riescano a essere il bastone economico della nostra vecchiaia.
Genitori e nonni vivevano ancora nel mondo in cui, se si veniva assunti da un’azienda, potenzialmente ci si rimaneva vita natural durante. Da impiegato a capo reparto e oltre, seguendo un percorso che fosse o meno meritocratico.
Oggi assistiamo invece alla disfatta del posto fisso.
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Ricordate il gioco delle sedie?
È come se tutti da anni continuassimo a parteciparvi senza sosta, occupando quel posto per un tot per poi passare a un altro e un altro ancora. Svantaggio? Non ci riposa mai. Vantaggio? Non si abbassa mai la guardia e si è continuamente dinamici.
Le imprese hanno ormai reso tutto più flessibile rivisitando i loro modelli organizzativi, all’insegna dell’adattabilità ma anche della precarietà.
Tuttavia, anche chi tra noi riesce a raggiungere la tanto agognata poltona, non ha mica la certezza di un indeterminato a vita.
E se l’azienda dovesse fallire? E se vi licenziassero per giusta causa? E se doveste lasciare il lavoro per motivi personali? Non sto certo portando sfiga, vi invito a riflettere un attimo. In questo caso chi risulterebbe più competitivo? Una persona che ha passato vent’anni nella stessa azienda o chi è abituato al cambiamento?
Lavorare sempre nello stesso posto è certamente rassicurante. Ma nel caso in cui si fosse costretti a fare un cambio di direzione obbligato? La persona che è più abituata a mettersi in gioco certamente avrà coltivato una serie di competenze diversificate. Inoltre ciò consente di indirizzarsi verso professioni che esaltino le qualità personali rispetto a chi deve stare sempre dietro agli umori di un superiore.
La pensione è solo una gratificazione economica
Stringere i denti per accumulare i soldi che serviranno a vivere serenamente un periodo che, bene che ti vada, comincerà dai 60 anni in su, vale davvero la pena?
Invece di costruire una professione attorno a qualcosa di gratificante, che entusiasma, che piace davvero, si perdono anni della propria vita ad aspettare.
Aspettare di avere il tempo di viaggiare, di spendere quei soldi guadagnati con infinita pazienza (almeno che tu non abbia aspirazioni da spazzino o da bidello. Rispettabilissimo, ma allora smetti di leggere qui).
Il problema è che arrivati nel mezzo del cammin di vostra vita si avrà sì il tempo di godersi i risparmi raccolti ma magari non più la voglia o le energie.
Inoltre, chi garantisce che qualcuno non si svegli prima e elimini il sistema pensionistico come lo conosciamo fin ad ora? Oppure, se arrivati al termine della propria carriera ci si rendesse conto di voler aprire una propria attività e seguire finalmente i propri desideri? Non sarebbe stato meglio farlo prima?
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Forse il posto fisso è davvero una vocazione.
Ma non significa che sia l’unica forma di sopravvivenza possibile, né tantomeno quella migliore. Nassim Nicholas Taleb, saggista, filosofo e professore all’Università di New York diceva: «Se correte rischi e affrontate il destino con dignità, niente di ciò che fate potrà rendervi piccoli; se non correte rischi, niente di ciò che fate potrà rendervi grandi, niente».
Inoltre, non per fare del campanilismo, ma i mestieri da freelance sono spesso quelli più creativi. E la creatività è proprio ciò su cui dobbiamo puntare come italiani e occidentali.
Ritrovarsi a competere con professioni di tipo lineare equivale a un suicidio. L’India ad esempio ha i migliori ingegneri al mondo, con salari bassissimi e produttività estremamente elevata. E ormai le macchine stanno sostituendo come lavoro manuale tutto il sostituibile.
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La creatività, l’innovazione tecnologica, la ricerca scientifica, il design, risultano irriproducibili da qualsiasi macchina, almeno per ora, e le competenze richieste per raggiungere livelli di eccellenza rientrano di più nelle nostre corde.
Quindi per fare il lavoro dei propri sogni serve sì una buona dose di coraggio. Ma potrebbe anche oggettivamente risultare più conveniente. Si tratta pur sempre di un cambio di prospettiva.
A voi le conclusioni.
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