Death selfie, quando l'apparire distrugge l'essere
Troppo stupido per essere vero.
Eppure al giorno d’oggi possiamo catalogare un nuovo tipo di decesso: la morte da selfie. Qualche anno fa andava di moda il libro delle morti più stupide, macabro elenco di personaggi la cui dipartita era così pazzesca da risultare ai limiti del comico.Ma qui c’è di più: un sottile malessere, un’assurda mania che sta permeando la società dei social network, affamata di like.
Il Paese che miete più vittime? L’India
La Carnegie Mellon University e dell’Indraprastha Institute of Information Delhi , che hanno sposato la causa dal momento che il fenomeno è particolarmente presente in India, hanno tristemente catalogato i tipi di decesso più diffusi per tali cause. Il primo riguarda le cadute da grandi altezze, subito dopo gli scivolamenti in acqua e infine la combinazione mortale delle due.
Seguono selfie sui binari ferroviari, morte per autoscatti alla guida o per armi malamente maneggiate mentre si tentava una foto alla De Niro in Taxi Driver. Dalla ricerca è nato persino un blog che analizza il fenomeno nello specifico, intitolato provocatoriamente Me, Myself and My Killfie (gioco di parole tra selfie e il verbo inglese to kill, uccidere).
La "morte da selfie" ha raggiunto in India dimensioni tali che il Ministero del Turismo ha chiesto ai governi statali di predisporre un apposito divieto di scattare foto nelle zone ritenute pericolose. La speranza riguarda anche lo sviluppo di tecnologie che consentano di avvertire i possessori di smartphone quando si stanno spingendo un po’ troppo in là.
Eroi per un selfie
E se i killfie fossero il nuovo disperato modo di mostrare il proprio coraggio? Il pensiero è andato ai riti di passaggio delle antiche comunità in cui, quando si diventava adulti, si era generalmente chiamati a dimostrare la propria temerarietà con una prova di valore.
Tra i Masai, ad esempio, si doveva raccogliere un pezzo incandescente del corno di un animale. In alcune popolazioni c’era il rito dell’attraversamento del fuoco. Oggi però il pubblico che assiste al “rito di passaggio” è diventato quello dei social . Quel momento va perciò documentato, racchiuso in un’istante che decreti il superamento della prova. L’audacia, nell’era di Facebook e dell’immagine che vale più di mille parole, viene decretato a suon di like.
Nel blog si legge: “L' avvento dei social network ha sviluppato un’insaziabile bisogno di essere popolare, alimentando la nostra sete di narcisismo”. In poche parole se i giovani non vengono messi alla prova, ci pensano da soli. Con tragiche conseguenze.
di Irene Caltabiano
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