«Devo tutto ai miei dipendenti». E per loro rinuncia a 4 milioni di euro
Di chi è un’azienda? Di chi la possiede, o di chi l’ha – letteralmente – tirata su?
Il dilemma/dibattito si ripropone con particolare urgenza ogni volta che il “destino” dell’organizzazione è a un bivio. E le scelte assunte dai vertici rispecchiano sostanzialmente la loro visione della questione.
Il tema dell’innovazione e dell’apertura, in ambito imprenditoriale, sembra essere una questione cruciale, eppure, il più delle volte, quando si tratta di decidere, e si offre l’occasione di esprimere una concezione davvero non convenzionale e orizzontale, si dimostra tutta la miopia, l’opportunismo, e il conservatorismo dei quadri dirigenti.
Quante aziende sono state costrette a una “cura dimagrante” paurosa, in fase di vendita? Quanti posti di lavoro – e quante vite – sono state pesantemente condizionate, per garantire laute buonuscite ai vertici? La domanda è chiaramente retorica. Non si contano i lavoratori sacrificati da riassetti produttivi ed acquisizioni: per questo la storia di Éric Belile, patron francese del colosso della cancelleria Générale de bureautique (impresa che si occupa di assemblare stampanti) è di quelle che sorprendono felicemente, e danno da riflettere.
Quando un “no” può costare caro
L’uomo, a un passo dalla pensione, ha scelto di rinunciare alla buonuscita da 4 milioni di euro per cedere l’azienda a coloro i quali avevano contribuito in misura preponderante a costruirla e renderla solida. Ovvero, i lavoratori. Incredibile, per l’immagine di imprenditore con cui siamo abituati a confrontarci, ma vero: Éric Belile ha rifiutato la ghiotta (per lui) offerta avanzata da una società concorrente.
Gratitudine & lungimiranza
«Non mi interessa se in 7 anni perderò una cospicua fetta di dividendi. Meglio intascare meno soldi ma avere la consapevolezza che Générale de bureautique resterà in mano ai miei ragazzi». Éric Belile ha scelto queste parole per spiegare la sua decisione a Ouest France. Grazie a lui il rischio licenziamenti è scongiurato.
«Non mi piace essere definito altruista. Molto più banalmente, mi sono limitato ad assecondare il corso degli eventi. Ho tirato su l’impresa con i miei dipendenti, perciò è semplicemente inevitabile che io la lasci a loro. In un certo senso, glielo devo». Una scelta, la sua, che dimostra come per fare impresa sia fondamentale condividere, nel bene e nel male, tutto ciò che riguarda l’attività produttiva. I lavoratori non sono arance da spremere, e chi lo capisce viene premiato dai risultati. Umani e non solo.
Insomma, Éric Belile sembra essere tutt’altro che un idealista o un portatore sano di utopie. La saggezza dimostrata è figlia dell’esperienza sul campo, e va a braccetto con una congrua dose di prudenza. L’uomo infatti ha deciso di preparare al meglio (e con largo anticipo) il passaggio di consegne.
Così, ha offerto ai dipendenti un viaggio aziendale nel Sahara algerino, da cui era scappato con la famiglia alla volta di Parigi a inizio anni Sessanta. Contestualmente, ha concordato con loro il versamento iniziale di un acconto e il saldo della cifra rimanente attraverso i ricavi aziendali maturati successivamente. Inoltre, per rendere meno traumatico il tutto, ha stabilito che formerà e affiancherà il personale per un quinquennio.
Un’azienda è come i capelli: la solidità sta nella radice
Générale de bureautique ha quasi 30 anni: è stata fondata a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, quando Éric Belile si è licenziato da Canon per dare vita a un progetto tutto suo. E l’impresa gode di ottima salute, basti pensare che nell’ultimo anno è valsa un fatturato di 8 milioni di euro, pari a una crescita del 25%.
L’auspicio è che l’attaccamento e la dedizione dimostrata da Éric Belile verso il progetto da lui creato possano cumularsi a quelli dei dipendenti/futuri proprietari contribuendo a rafforzare la prosperità guadagnata sul campo in 30 anni.