Dieci vecchi mestieri che servono ancora... e che nessuno sembra voler più fare
A volte ritornano.
Nell’articolo “Il nomadismo digitale: stile di vita 2.0 o ritorno alle origini?” (chi non lo avesse ancora fatto, può leggerlo qui) si sosteneva che il desiderio di una vita non stanziale, sempre più diffuso nelle nuove generazioni, avesse poco a che fare con la crisi economica e la conseguente carenza di lavoro. Si ipotizzava, infatti, che dietro l’esigenza di non esser più limitati da vincoli spaziotemporali ci fosse una sorta di risveglio del naturale istinto di presenza proprio dell’essere umano.
- Dove sei? Qui.
- Che ore sono? Adesso.
È così che, sostanzialmente, si vuole rispondere a queste domande. Come a dire: “So benissimo dove mi trovo, perché ho scelto io di essere qui a fare quel che sto facendo. E lo sto facendo ora, senza preoccuparmi di quel che accadrà dopo o ripensare a quanto è accaduto prima.”
La disamina evidenziava come nomadi digitali e lavoratori vecchie maniere fossero soggetti allo stesso tipo di responsabilità e ciò confermava l’ipotesi di partenza: non è la crisi ad aver fatto nascere un nuovo modo di lavorare e stare al mondo, ma nuove priorità.
Come volevasi (ri)dimostrare.
Ebbene, questa tesi trova ulteriore conforto nel momento in cui, leggendo le statistiche, ci si accorge che in Italia il mercato del lavoro richiede dieci vecchi mestieri che nessuno sembra più interessato a fare.
Eccoli qui, elencati in ordine alfabetico: apicoltore, birraio artigianale, commesso, esperto di orto e coltivazioni, falegname, gelataio, idraulico, meccanico, panettiere e sarto.
Ora, premesso che trattasi di mestieri nobilissimi e anche piuttosto ben remunerati, verrebbe da urlare “fermi tutti!” agli italiani che, zaino in spalla, stanno affollando aeroporti e stazioni ferroviarie per andarsi a guadagnare il pane chissà dove, facendo chissà cosa.
“Fermi tutti! Non vedete quanto lavoro c’è ancora nel Belpaese? Restate a casa vostra, dunque, così fate contenti anche mamma e papà…”
Qualcuno le avrà anche dette queste cose, verosimilmente, eppure ciascuno dei sopracitati mestieri continua ad essere snobbato dai più.
A una prima analisi, si potrebbe pensare che gli italiani non vogliano più sporcarsi le mani e preferiscano lavori impiegatizi che comportano senz’altro un minor dispendio di energie. Mestieri più “comodi”, quindi, o forse semplicemente più “classy”.
Tuttavia, a un’analisi più attenta, si scopre che il sarto, il meccanico, il falegname e compagnia cantante hanno un denominatore comune: la stanzialità.
Non a caso si tratta di “vecchi” mestieri, ossia quelle attività da “casa e bottega” che implicano totale devozione o comunque un coinvolgimento significativo in termini di tempo e di spazio. Si lavora tanto e ci si sposta poco, per non dire zero.
Ecco allora che la teoria del nomade digitale torna utile per spiegare come mai ci sia una tale carenza di personale in determinati settori.
Udite, udite!
Lo stile di vita correlato a un certo tipo di lavoro è diventato più importante del lavoro stesso ed è per questo che quel vuoto è destinato a rimanere incolmabile. Non è perché non ci siano abbastanza persone alla ricerca di uno stipendio, che Mastro Geppetto non ha più allievi da iniziare all’arte della lavorazione del legno. È che, semplicemente, la vita del falegname non è più così attraente o perlomeno non come lo era un tempo, quando la priorità era trovare un modo per mettere su famiglia.
Perché? Perché stando chiusi in officina ci si perde troppo di quel che accade là fuori. Non si viaggia, non ci si sposta, non c’è flessibilità di alcun tipo.
È anche così che un lavoro può diventare anacronistico. Non perché esso non sia più necessario (tutt’altro, dacché continua a essere molto richiesto), ma perché non ci sono più persone disposte a vivere in un certo modo.
Alcuni mestieri, in determinati contesti sociali, si stanno estinguendo come a suo tempo capitò agli accenditori di lampioni. Allora fu per via del passaggio dall’illuminazione pubblica a gas a quella elettrica, oggi è perché ci si può guadagnare da vivere in un’infinità di altri modi, unendo il dovere al piacere.
Specie considerando che tutte le distanze si sono ridotte a un clic.