È possibile taroccare un CV senza scadere nell’illegalità?
“Giura di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?”
Eccome… Recenti statistiche rivelano che circa il 60% degli italiani è solito mentire all’atto della presentazione della propria candidatura per un posto di lavoro. A volte la realtà viene un po’ ritoccata, mentre in altre circostanze è ingigantita o semplicemente occultata.
C’è chi millanta competenze avanzate in una lingua straniera o in ambito informatico, chi amplifica il livello di esperienza raggiunto in uno specifico settore o espande la durata di precedenti impieghi per nascondere periodi di prolungata disoccupazione.
Tuttavia il nostro non è soltanto un paese di pavoni che fanno la ruota, pur essendo capponi. C’è anche chi omette volutamente titoli di studio e abilità varie, sottodimensionando il proprio curriculum, pur di ottenere uno straccio di lavoro che gli frutti uno stipendio.
Perché si arriva a tanto?
La risposta a questa domanda appare scontata. La crisi che dal 2001 a oggi ha messo in ginocchio l’Occidente, non ha deprezzato solo gli immobili ma anche lauree, master e specializzazioni varie.
Oggi, un dottore in Giurisprudenza che vuole fare l’avvocato è un povero illuso che con un po’ di fortuna riuscirà a fare il passacarte in qualche studio legale, a fronte di un rimborso spese pagato in voucher. Magari tra le specifiche competenze acquisite, chissà, un giorno potrà menzionare la gestione e la manutenzione della macchina per il caffè espresso, oltre alla conoscenza avanzata della fotocopiatrice.
La gente non mente per divertimento ma per necessità. È il caso di molti laureati che prendendo coscienza del fatto che anche ottenere un colloquio è ormai un’impresa titanica, finiscono col candidarsi per i cosiddetti impieghi “minori”.
Ma cosa accade a un ingegnere o a un architetto che fanno domanda per un posto da commesso? A men che il proprietario non sia un parente stretto, si viene cortesemente accompagnati alla porta con la seguente motivazione: «Spiacente ma non posso permettermi di assumere un laureato per sistemare gli scaffali e accogliere la clientela. Anche perché alla prima occasione mi pianterebbe in asso, in cambio di un lavoro migliore.»
Come dargli torto?
Non fa una grinza. Al tempo stesso, tuttavia, non si può nemmeno dare la croce addosso al ragazzo o alla ragazza che, avendo imparato la lezione, decide di reinventare il proprio CV adattandolo alle specifiche esigenze del negoziante.
Perché se quella stessa persona che prima era stata accompagnata cortesemente alla porta si fosse presentata dicendo “ho a malapena un diploma in Ragioneria”, verosimilmente sarebbe stata assunta e, udite udite, pagata in euro.
E se fosse stata necessaria un’esperienza pregressa nel settore? Nessun problema, la tecnica largamente diffusa è quella di menzionare due o tre negozi fittizi presso i quali si è prestato servizio, anche se ciò non corrisponde a verità.
In genere si scelgono esercizi commerciali non più esistenti o fantomatici negozi di altre città, così da rendere impossibili eventuali controlli circa la veridicità delle informazioni fornite. Lo stesso avviene per altri tipi d’impiego che non richiedono una preparazione specifica e che vedrebbero i laureati fuori concorso per partito preso.
Cosa si rischia taroccando il CV?
Per quanto sia umanamente comprensibile e giustificabile taroccare un curriculum per questioni di pura necessità, pare che a livello giuridico non ci siano attenuanti di sorta: l’atto in sé costituisce un reato sanzionabile a seconda della fattispecie.
I rischi diventano seri quando si presenta il CV a una Pubblica Amministrazione come autocertificazione, ad esempio per un concorso. In questo caso si parla di “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico” ed è addirittura prevista la reclusione fino a due anni.
Quando invece si dichiarano esperienze lavorative mai maturate, si configura il reato di “false dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie”, punibile con sanzione pecuniaria e un anno di reclusione.
Riguardo al professionista che, invece, sottodimensiona le proprie esperienze o collaborazioni, si commette semplicemente un illecito deontologico punibile con una sanzione disciplinare (comminata dal relativo Consiglio dell’Ordine) e non a livello penale.
Più in generale, nel momento in cui un datore di lavoro dovesse appurare che il proprio dipendente ha rilasciato dichiarazioni mendaci, sono previste la risoluzione immediata del contratto, la restituzione dei compensi corrisposti e un eventuale indennizzo per il risarcimento dei danni morali e materiali.
È bene dunque riflettere prima di presentare un CV tarocco, perché i rischi che si corrono non sono affatto banali. Forse un giusto compromesso potrebbe essere quello di presentarsi personalmente al cospetto del datore di lavoro, dichiarare la verità e garantire un periodo minimo di operatività a prescindere da altre offerte che si potrebbero ricevere.
Ma forse anche questo è stato fatto e non ha dato buoni frutti…
autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"