29.10.2015 16:23
Strani tempi, i nostri. Avremmo tutto quello che serve per garantirci un’alimentazione sana, varia e ricca, eppure facciamo spesso fatica a “guardare” un piatto di pasta per quello che è, e goderne, semplicemente, senza inutili e dannosi retro pensieri. Dopo un periodo di abbuffata mediatica, l’anoressia sembra destinata a essere confinata nuovamente nel territorio dell’oscuro e dell’indicibile. In una parola, dei tabù. In troppi – spesso a sproposito - ne hanno parlato, nel recente passato, approdando a poco o nulla di interessante o realmente significativo. “Eat Me” è il documentario, ancora in lavorazione, con cui il regista Ruben Lagattolla vuole riportare l’attenzione sul fenomeno, tagliando come rami secchi pregiudizi e stereotipi che finora non ne hanno agevolato la comprensione. Il progetto è stato ideato dalla dottoressa Giuliana Capannelli, presidente di Heta, Centro Multidisciplinare per il Disagio Psichico e i Disturbi Alimentari operante nelle Marche e in Umbria.
«Lavorando al film ho incontrato molte giovani donne anoressiche. Sono tutte ragazze di estrema sensibilità e intelligenza, che esprimono un malessere che non viene tanto dai canoni estetici quanto da una società autistica e individualistica, in cui non si ritrovano. Nessuna ha in mente l’idea della linea o un particolare modello proveniente dai media».
«Non conoscevo a fondo il mondo dei Dca (Disturbi del Comportamento Alimentare) e ammetto anche di aver avuto qualche pregiudizio iniziale, quella visione superficiale di chi considera l’anoressia una “turba” piuttosto che una vera malattia, ma lavorandoci e confrontandomi con l’esperienza del precedente documentario mi sono reso conto che l’anoressia, per quanto diversa, non è un male meno credibile del disturbo post traumatico da stress dei reduci di guerra». Così Ruben Lagattolla riassume il percorso, professionale e umano, che si è trovato a compiere, realizzando “Eat Me”.
«Per le resistenze che ho incontrato a volte mi sembrava di fare un film sulla mafia», prosegue il regista. «Anche se in realtà più che di resistenza bisogna parlare di diffidenza. Proprio per questo il lavoro richiede tempo. Bisogna creare un clima di fiducia, stando attenti perché basta pochissimo per romperlo, e non bisogna “essere ingordi” ma sapere quando spegnere la camera anche di fronte a situazioni che sarebbero le più intense da filmare».
Dal canto suo Giuliana Capannelli lancia un allarme: si stanno facendo largo i cosiddetti Disturbi altrimenti specificati, caratterizzati da molteplici, differenti sintomatologie, che colpiscono trasversalmente la popolazione. Donne in menopausa, uomini a rischio vigoressia … e non solo. «Un capitolo a parte andrebbe dedicato alle bulimie invisibili e a tutte quelle situazioni in cui il cibo è sintomo di un malessere ma il corpo non viene intaccato».
Skinny o curvy? Meglio farsi guidare dal buonsenso, che non dalla moda del momento, spiega la dottoressa, «Sostituire l’ideale di magrezza con un’estetica morbida e formosa ha poco senso e rischia di portare da un eccesso all’altro. Non si può più definire ideale o “normale” un corpo. Si può solo dire che sotto una certa soglia (come anche sopra) c’è un indice di malattia».
Franziska