Emozioni e pandemia: per tornare a vivere, smetti di sentirti in colpa
“Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. C’ho messo una vita a farmele”
Questa frase, pronunciata dall’attrice Anna Magnani ai suoi truccatori, mi è tornata in mente dopo l’inizio della pandemia. Un giorno, guardandomi allo specchio, ho intravisto il primo capello bianco, pervicacemente comparso, tra l’altro, in un punto che lo rende difficile da nascondere. Che fare, allora? Strapparlo nell’illusoria speranza di riavvolgere così il nastro della vita fino al mio 37esimo compleanno, a febbraio 2020? Ho deciso di arrendermi a questa nuova, inattesa, realtà tricologica: cedere alla tentazione di rimuovere ha un prezzo nettamente superiore al guadagno sperato. Perlomeno per me.
Così, l’indomito capello bianco è rimasto dov’era, e adesso quasi lo cerco con lo sguardo, mentre mi pettino: mi ricorda che non casca il mondo se qualche volta mi concedo il lusso di essere fragile, di accasciarmi. Anche perché non sono di certo io, con il mio microscopico raggio di azione, a portarne il peso sulle spalle.
Malinconia, senso di precarietà, rimuginazioni e ansie anticipatorie, negli ultimi due anni sono diventate presenze consuete come vicini di casa. Al tempo stesso, le centellinate occasioni di condivisione, contatto fisico e bellezza, sono state fonti di gioia e calore moltiplicati all’ennesima potenza. Tra le pieghe, hanno fatto capolino sensazioni in passato poco familiari, se non addirittura esotiche. Gratitudine, consapevolezza, e il bisogno di rivolgere uno sguardo compassionevole, o quantomeno non più torvo e truce, alle persone che si muovono in direzione ostinata e contraria alla mia.
Qual è la sintesi di questo coacervo emozionale? È materialmente possibile raggiungerla? Ma soprattutto: è davvero necessario raccordare, uniformare (in pratica, omogeneizzare ed appiattire) il nostro paesaggio interiore?
Forse no. La pandemia ha tutta l’aria di essere un catalizzatore (psicologico in primis): un evento che ha accelerato ed accentuato l’emergere di dinamiche rimaste sommerse per tanto, troppo tempo, anche perché tentavamo in ogni modo di reprimerle e soffocarle. In una parola, di negarle. Per questo ancora qualcuno rincorre il ritorno alla normalità pre-Covid come farebbe l’assetato delirante in pieno deserto.
E chiamala normalità, una quotidianità caratterizzata da cacofonia di stimoli esterni, bulimia di cose da fare, e ghettizzazione delle persone sprovviste di un sorriso (meglio, ghigno) da paresi facciale…
Emozioni: cosa hanno in comune Anna Magnani, Albert Camus ed il Kintsugi
Per spiegare di cosa si tratta bisogna fare un passo indietro, e definire il Kintsugi (letteralmente riparare con l’oro): si tratta di un’antica pratica radicata in Giappone e finalizzata al ripristino di oggetti in ceramica. Questi vengono rimessi insieme saldando i diversi frammenti con il metallo prezioso.
Riempiendo crepe e spaccature, il manufatto diventa unico e irripetibile. La rottura ha reso indispensabile che venisse sanato, e questo gli regala una nuova vita, che nessun altro prodotto simile potrà mai replicare. Una concezione, questa, radicalmente in contrasto con il mito tutto occidentale dell’eterna giovinezza, della perfezione e dell’efficientismo per cui ci si sbarazza immediatamente di cose (e spesso, purtroppo anche persone) non più “funzionali” a scopi e aspettative che abbiamo appiccato loro addosso.
Il Kintsugi, focalizzandosi sulle asimmetrie a cui attribuisce un valore peculiare, abbraccia e valorizza l’intrinseca contraddittorietà della vita. Bellezza e autenticità si scoprono dove la vulgata comune non immagina neanche possano esistere. E qualcosa di simile, in altri luoghi ed epoche storiche, hanno fatto Anna Magnani, e lo scrittore Albert Camus. Invincibile estate, la poesia che trovate qui di seguito (pubblicata nella raccolta L’estate del 1954), non fotografa forse il caleidoscopio interiore che abbiamo imparato a sperimentare in tempi di Covid19?
Mia cara,
nel bel mezzo dell’odio
ho scoperto che vi era in me
un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime
ho scoperto che vi era in me
un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile tranquillità.
Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno
vi era in me
un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa
quanto duramente il mondo
vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore
che mi spinge subito indietro.
Quando le cose non mi divertono, mi ammalo (H.B.)
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