Inserire contenuti su Facebook? Fatto. Twitter? Fatto. Google+? Pure.
Dopodichè si attende. Si aspetta che, nel marasma generale, qualcuno noti il pezzo che abbiamo scritto, cercando di scegliere i termini più giusti, più accattivanti.
Sforzo inutile? La maggior parte delle volte, sì. Quando vedi che un articolo sui gattini o su come far aumentare il seno in 5 mosse fa molte più condivisioni della tua ultima fatica intellettuale la frustrazione ti pervade.
Facebook è la droga dei nostri tempi. C’è chi lo disprezza, chi vorrebbe “uscire dal tunnel”. Ma non può, ci stiamo tutti troppo dentro La vita di qualsiasi persona, la comunicazione, dalla più banale alla più importante, passa da lì.
Vi capita mai di alzare gli occhi dal vostro smartphone e pensare: quand’è che siamo diventati così? Talmente dipendenti da un oggetto da entrare nel panico nel momento in cui cellulare o computer danno forfait?
Mi ha molto colpito la defiinizione di Bonaventura Di Bello, blogger ed esperto di contenuti digitali. Facebook è il « “tritacarne” dell’informazione, dove tutto viene macinato e mescolato, lasciando spesso che contenuti di bassa qualità (se non addirittura inutili o dannosi, come le ‘bufale’) emergano a volte a sfavore di altri ben più utili e interessanti.
Ogni volta che un nuovo ‘post’ viene sparato su un canale social qualsiasi, è come se qualcuno tirasse uno sciacquone trattando quelli precedenti come rifiuti organici’ qualunque sia la loro natura, validità o importanza».
Facebook è come il mercato del pesce
Contenuti a scadenza, letti da un pubblico stanco e frettoloso. Perciò , come al mercato rionale, si gioca a chi urla più forte, a chi trova lo slogan più simpatico, a chi riesce a dare un aspetto migliore alla propria merce.
Se vieni notato, si concluderà l’affare, l’acquisto. Sennò il pesce finirà nella spazzatura, insieme ai rifiuti di tutti quelli che non sono stati abbastanza bravi, che non hanno gridato abbastanza forte.
Quale effetto su chi fa questo mestiere? La perdita di valore. Il contenuto più cliccato vince sulla qualità. Se non ti adegui a un certo tipo di linguaggio, sei fuori, anche se fossi il prossimo Pirandello.
Zuckerberg in salute, gli altri tutti matti
C’è chi si è preso la briga di classificare gli effetti di un uso smodato di Internet e tecnologia. David McCandless, autore per Guardian e Wired Uk, ha creato Inter mental, una Wikipedia dei disturbi da "indigestione social".
Controlli compulsivi, bisogno di usare continuamente lo smartphone come riempitivo, paura di essere tagliati fuori nel momento in cui non c’è rete, ansia data da troppe conversazioni o argomenti da leggere.
Per non parlare di crisi d’identità causata dalle molteplicità di avatar su social, blog, piattaforme, e-mail, app. L’unico che ci guadagna su tutti i fronti da questo traffico isterico, in cui noi stessi siamo produttori di contenuti è il caro Zuckerberg, che se la gode dal suo piedistallo dorato nel bel mezzo della Silicon Valley.
Nostalgia dell’epoca a. F. (ante-Facebook)
C’è un racconto di Asimov, che da piccola adoravo, intitolato Chissà come si divertivano. Si ipotizzava che la scuola del futuro, come tante altre cose, fosse gestita da un computer, qualcosa che ti dava l’illusione di interazione umana.
Un giorno la bimba protagonista della storia trova un libro in soffitta, un documento che descrive com’era la scuola prima dell’arrivo dei robot. Le persone si parlavano, scherzavano ridevano, si guardavano.
Non siamo a quei livelli, ma a volte temo potremmo arrivarci. E inoltre, mi fa venire nostalgia dei cari vecchi libri. Quelli per cui, semplicemente, ti prendevi del tempo, non lo rincorrevi tra una corsa in metro e una pausa e l’altra. E che sicuramente non buttavi nella spazzatura dopo aver letto le prime due righe.