Il Cielo Sopra San Marco. Storie dal Veneto sopravvissuto alla crisi
17.07.2017 16:09
Stereotipi e luoghi comuni stanno alla comprensione della realtà come la droga sta al corpo umano
Si ricorre, in entrambe i casi, a una sorta di scappatoia, una via di fuga, per evitare di investire energie, fisiche ed emotive, nella gestione dell’esistenza. Apparentemente ci si risparmia una quantità di problemi, si bypassano contraddizioni e complessità … ma poi gli eventi non tardano a presentare il conto.
Il Veneto è stato una delle “vittime eccellenti” del tritacarne di cliché che caratterizzano una parte cospicua della comunicazione giornalistica odierna. Così, se un tempo la regione del Nordest veniva rappresentata come case history d’eccellenza, instancabile motore di sviluppo, a seguito della crisi iniziata nel 2008, è stata “declassata" a terra irrimediabilmente martoriata.
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Eppure, basta smettere di affidarsi all’informazione urlata di certi media e prestare ascolto ai racconti di chi il Veneto lo vive, agisce e attraversa, per capire che esistono grappoli consistenti di energie più o meno sotterranee che si sono messe in moto. È una terra, questa, spigolosa e burbera, che si sta dimostrando capace di reinventarsi, pur con le sue contraddizioni. Abbiamo chiesto a Barbara Ganz, giornalista de Il Sole 24 Ore, di tracciare un quadro degli scenari odierni.
Quando e perché è nato il blog Il Cielo Sopra San Marco?
E’ nato nell’aprile 2013 per una mia esigenza: trovare uno spazio per le tante notizie del Nordest che non entravano nel giornale, dopo la chiusura delle edizioni locali. All’inizio pubblicavo sporadicamente, ora (più o meno) quotidianamente, ma se avessi il tempo ci sarebbe materiale anche più post al giorno. La questione delle aziende italiane lasciate solo in Libia, con i loro crediti, ad esempio, è diventata un tema ricorrente, e che davvero meritava di essere conosciuto.
La crisi ha colpito e squassato dalle radici il Nordest, intaccando il suo tessuto produttivo, fatto di piccole aziende a conduzione familiare. Com’è cambiato negli anni il territorio e qual è la situazione attuale?
Tutti gli studi indicano che c’è stata una grande (e dolorosa) selezione: aziende che sono scomparse, altre con determinate caratteristiche (una su tutte: la capacità di esportare) che vanno meglio di prima. Molte hanno saputo imparare dalla crisi: ad esempio aprendo ai manager esterni, e anche alle reti. Per anni abbiamo fatto titoli sul “fare squadra” quando in realtà aziende vicine non si parlavano neanche (e se poi mi copia?). Ora di esempi ce ne sono tanti.
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Dopo un “picco” d’interesse mediatico in concomitanza con il periodo clou della crisi i riflettori dell’opinione pubblica sembrano essersi spenti sul Nordest: si può dire che il peggio è passato, o piuttosto questo calo di attenzione ha motivazioni “opportunistiche”?
Io mi scontro quotidianamente con questa difficoltà: ricordate il tornado della Riviera del Brenta? Sui media nazionali sembrava non fosse successo nulla. Il Nordest fa notizia quando ci sono dati a favore o contro lo stereotipo (la locomotiva si ferma, la locomotiva riparte), e quando si può attaccare (come con la crisi della banche). Facciamo fatica a far passare altri messaggi meno folk, diciamo.
Leggendo il suo blog emergono molte storie di (ri)partenza che hanno per protagonisti giovani e donne. Si può dire che sono loro le “nuove leve” del fare impresa sul territorio?
In realtà non solo: c’è tutta una fascia di 40 e 50enni che hanno perso il lavoro, e loro sì sono stati costretti a reinventarsi. Ricordo i due amici ed ex colleghi over 50 che, dopo 13 anni in una azienda metalmeccanica, hanno rilevato una enoteca. O Serena, di Rovigo, a casa dopo 27 anni nell’azienda in cui lavorava anche il marito. Si è inventata una gastronomia per cani che ha successo, e sa usare benissimo i social per farsi conoscere. Pensando a persone come loro ho pubblicato spesso le regole su come chiedere l’anticipo della mobilità, e su come costituire una cooperativa come quelle di dipendenti che hanno rilevato la propria azienda in crisi, altre belle storie accadute in Veneto (Berti, Zanardi).
Quali effetti ha comportato la crisi in termine di coesione sociale? Sono emerse realtà, nell’ambito dell’associazionismo , capaci di tenere unite le aziende sane sopravvissute alla tempesta?
Questa è una cosa che mi stupisce ogni giorno: le difficoltà sono aumentate incredibilmente in questi anni, ma nonostante tutto c’è un ampio zoccolo di persone e di aziende che, anziché indurirsi, reagiscono facendo meglio di prima e assumendosi un ruolo sociale di primo piano. Poi spesso, con un atteggiamento molto veneto (che io ammiro) neanche vogliono che si sappia.
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Dal suo osservatorio, quali sono le tendenze economico-produttive che vede emergere sul territorio? Quale il possibile scenario da qui a cinque anni?
Non mi azzarderei a fare una previsione nemmeno a cinque settimane! Come si diceva in una assemblea di industriali pochi giorni fa, l’anno scorso a quest’ora Trump e Brexit erano due ipotesi poco credibili, e invece…Credo però che ci siano tendenze che ormai si sono affermate: un numero sempre crescente di docenti universitari che si spende per creare occasioni di incontro fra gli studenti e il mondo del lavoro, ad esempio. E la percezione che creare un ambiente di lavoro migliore non è uno spreco, ma ha grandi effetti sul clima interno e sui risultati. Non è un caso che qui a Nordest – dove il modello è nato - ci sia un accordo al giorno nel segno del welfare aziendale, che va sempre un po’ oltre e fa scuola.