Il Jobs Act limita i cocopro per aumentare le tutele dei lavoratori
Dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione
Con l’obiettivo di limitare l’uso dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa perché troppo spesso usati col fine nascondere dei veri e propri contratti di lavoro subordinati, il Governo ha deciso di intervenire in maniera incisiva sulla disciplina di questi contratti.
Come
A partire dal 1 gennaio 2016, infatti, il Jobs Act ha limitato il campo di intervento di questa forma contrattuale, definendo, in maniera dettagliata, la linea di confine tra lavoro autonomo e subordinato per evitare un uso distorto dei cococo a vantaggio dei lavoratori.
In pratica il Jobs Act ha previsto che
dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
I CoCoCo esclusi
Gli unici contratti esclusi da questa normativa sono:
- Le collaborazioni disciplinate (trattamento economico e normativo), in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore, dai CCNL stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- Le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
- Le attività rese da amministratori e sindaci di società e da partecipanti a collegi e commissioni;
- Le collaborazioni rese in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate al C.O.N.I.;
- Le collaborazioni certificate dalle Commissioni di Certificazione, previste dall’art. 76 del D.L.vo n. 276/2003.
Le aziende, inoltre, nello stipulare un cococo, dovranno fare attenzione agli “Indici” che possono inquadrare l’attività in un rapporto di lavoro subordinato e che sono:
- mancanza di autonomia,
- assoggettamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare dell’imprenditore,
- uso dei mezzi di lavoro del datore,
- inserimento stabile all’interno di un processo produttivo e dell’organizzazione aziendale,
- retribuzione fissa mensile,
- orario di lavoro fisso e continuativo,
- continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico, organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali.
Possibilità di stabilizzare i cococo
Secondo questa nuova normativa,infatti,il datore di lavoro, se lo desidera, può stabilizzare il lavoratore cococo portandolo a tempo indeterminato, senza l’applicazione delle sanzioni amministrative collegate all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro precedentemente sottoscritto (per illeciti retributivi, contributivi e fiscali). L’importante è che le parti sottoscrivano un accordo in sede protetta (Direzione del Lavoro, Sindacati/Associazioni datoriali o Commissione di Certificazione) con il quale:
- il lavoratore rinuncia ad eventuali pretese sulla riqualificazione del rapporto di collaborazione cessato;
- il datore di lavoro, nei successivi 12 mesi, non licenzi il lavoratore per giustificato motivo oggettivo.
Il mercato del lavoro nel 2016. Guarda il video
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