Il mio Laos (parte 2): aprire un ristorante
Cibo, amore e fantasia
Dopo aver insegnato per un anno alle elementari ( vedi Il mio Laos-parte 1. I viaggi di Darinka Montico),nell’unico paese del Sud-Est asiatico non bagnato dal mare, ero ormai assuefatta ai suo modi gentili e al suo ritmo lento e decisi di imbarcarmi per una nuova avventura. Il mio ex compagno aveva appena aperto un'attività di tour operator e vendeva pacchetti di viaggio a turisti, per lo più italiani e inglesi. In queste offerte era spesso incluso un pranzo a Vientiane, la tranquillissima capitale, dove vivevamo. Ci venne dunque in mente che se avessimo aperto un ristorante tutto nostro avremmo potuto guadagnare qualcosa in più.
Girammo Vientiane in lungo e in largo finché entrambi c’innamorammo di una vecchia casa di legno a due passi dal fiume Mekong. Non era abitata e giravano leggende che si trattasse di un' antica casa chiusa. La fascinazione era alle stelle! Ci sarebbero stati parecchi lavori di ristrutturazione da fare ma riuscimmo a contattare la proprietaria. Il prezzo dell’affitto, considerata la dimensione, il giardino e la “location”, era ottimo.
Aprire "un cestino da riso"
Iniziammo gli aggiustamenti e trasformammo quest’antico rudere, con un profumato albero di frangipane all’ingresso, in un semplice e grazioso ristorante. Appesi agli alberi del patio tantissimi cestini di malacca (rattan, un tipo di palma), contenitori in cui tradizionalmente si serve il riso appiccicoso tipico di Laos e Tailandia, e ci misi delle candele dentro. Chiamammo il locale Kong Khao, appunto cestino da riso. Per quanto riguarda il lato burocratico, per uno straniero è complicatissimo, se non impossibile, aprire un attività commerciale in Laos. Fortunatamente invece girare intorno a queste gabole legali è relativamente semplice. Basta trovare un laotiano affidabile che faccia da prestanome e successivamente rendersi impiegati, così da ottenere anche un visto lavorativo e una carta d’identità laotiana.
Il Laos è un paese comunista in cui però la religione è sempre stata molto presente. Il buddismo di oggi porta in grembo ancora molte tracce dell’animismo precedente. Ogni edificio infatti, compreso il mio ristorante, ha nel suo giardino una piccola casa in miniatura, o “tempio per gli spiriti degli antenati” e ogni giorno bisogna offrire piccoli doni per mantenerli felici e fare in modo che tutto vada per il verso giusto. Io stessa mi abituai a portare incensi e fiori freschi ogni mattina, la mia chef invece, più pragmaticamente, preferiva offrirgli lattine di coca cola e pacchetti di sigarette. Per stabilire la data di apertura contattai i monaci del tempio più vicino per chiedergli di organizzare un bassi, una specie di cerimonia di benedizione. In base al calendario lunare decisero la data più propizia. Così invitammo parenti e amici e, tutti seduti sul pavimento di legno mentre i monaci pregavano davanti a un altare di offerte, ci scambiavamo l’un l’altro piccoli fili di lana legandoceli ai polsi. Nel frattempo pronunciavamo parole di buon auspicio, ognuno nella sua lingua.
Il Carnevale del Laos
Subito dopo aver aperto ci rendemmo conto però che i soli clienti dell’agenzia non sarebbero stati sufficientiper mandare avanti la baracca. La mia idea fu creare un locale alternativo, con musica dal vivo, jam session, arte ed eventi culturali. Qualcosa che, in una città senza nemmeno un cinema o un teatro, ritenevo indispensabile. Organizzai una festa per farci conoscere in questo senso, tappezzai l’intera città di poster. Erano i giorni del carnevale europeo e nonostante tale festività non esista in Laos, decisi di mantenere il tema.
Investimmo i nostri ultimi averi in un sound system e una spillatrice di birra e con le dita incrociate rimanemmo sulla porta aspettando gli avventori, che, come indicato, sarebbero dovuti presentarsi verso le 20.00. Alle 21.00 eravamo in quattro ed ero sul punto di piangere, ma, come non mi stancherò mai di ripetere, in Laos i ritmi sono molto rilassati. Alle 22.00 avevamo il giardino pieno di trecento persone, cristiani e non, travestiti chi da Ho chi Minh e chi da Cleopatra, che si dimenavano sotto al nostro bell’albero di frangipani!
Da quel giorno Kong Khao divenne uno dei ristoranti meglio frequentati della capitale. Grazie alle raccolte fondi che lanciavo, per lo più aste di arte locale, riuscimmo a vaccinare più di mille cani contro la rabbia e a sminare qualche chilometro quadrato del paese più bombardato nella storia del mondo!
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