Il papà dell'MP3 è italiano. E nessuno lo conosce
Tutti sappiamo chi sono Mark Zuckerberg o Steve Jobs.
Ma quando si parla di eccellenze nostrane abbiamo la memoria corta o ignoriamo completamente la loro esistenza.
Ammetto che anche io, fino a stamattina, non conoscevo Leonardo Chiariglione, mente creatrice dei formati audio-video MP3 ed MPEG. In poche parole l’uomo che ha rivoluzionato il mondo della musica trasferendola su digitale.
Se negli USA Mr MP3 oggi sarebbe leggenda (il Time nel 2000 lo ha inserito tra le personalità più influenti nel mondo della tecnologia), nel Bel Paese è un ingegnere sessantenne piemontese dall’indole schiva, che lavora ancora oggi nel mondo dell’audiovisivo.
Pochi riconoscimenti economici e molti intellettuali per l’uomo senza cui non esisterebbero né YouTube né Spotify. E che, con la sua invenzione, ha sempre sognato un futuro più giusto ed equo per la musica.
Infatti è profondamente dispiaciuto per esser stato il principale fautore delle pirateria. «Ho sempre rifiutato una responsabilità nella diffusione illegale: abbiamo tecnologie a disposizione, ma la società non può mettere dei limiti alla creatività tecnologica; diversamente sparirebbe in poco tempo. Ho sempre cercato di coniugare la tecnologia con il rispetto di chi crea i contenuti».
Come nasce l’MP3?
L’istruzione del signor Leonardo si sviluppa tra liceo classico e laurea in ingegneria elettronica al Politecnico di Torino. Una formazione completa e una visione a tutto tondo che ha sempre accompagnato la sua vita professionale.
Dopo la laurea il giovane di belle speranze parte per un dottorato in comunicazioni elettriche a Tokyo. «Un paese che mi ha sempre affascinato; ancora oggi il giapponese è la lingua che conosco meglio»(oltre a inglese, francese, tedesco, spagnolo e portoghese).
Ancor prima di aver terminato il dottorato Chiariglione sbarca al CSELT, prestigioso Centro Studi e Laboratori Telecomunicazioni del capoluogo piemontese.
Un'occasione sprecata
Oggi il download degli MP3 è stato largamente battuto dai brani in streaming. «Il formato che ho inventato aveva dato un messaggio: realizzare la disintermediazione. Quello che dico è che il modello classico dell’intermediario che promuove saggiamente i talenti giovani e ne fa sfondare, diciamo, uno su dieci, è un modello che deve continuare. Ma quello che mi tormenta è che la rivoluzione MP3 è sì passata, ma ha confermato l’unico di business che già esisteva, che è proprio quello delle case discografiche».