Il professore di Treviso che accoglie migranti dando lavoro agli italiani
La bellezza della vita sta nel fatto che questa si nutre di paradossi, talvolta solo apparenti
Così, in provincia di Treviso, in quel Veneto che nell’immaginario collettivo è colonizzato dai leghisti, può capitare che una famiglia “adotti” sei rifugiati. E diventi un modello di accoglienza capace di ottenere l’elogio di Jean Claude Juncker, Presidente della Commissione Europea. Questa, in breve, la storia di Antonio Calò, docente di filosofia, Nicoletta Ferrara e dei loro quattro figli.
«L'idea è venuta dopo aver visto il naufragio degli 800 in televisione. Sono tornato a casa e ho parlato con mia moglie, immediatamente abbiamo coinvolto i nostri ragazzi e insieme abbiamo deciso che dovevamo dare una testimonianza civile come cittadini di uno Stato e come credenti». Così Antonio Calò spiega com’è nata la coraggiosa scelta, maturata ormai circa 15 mesi fa.
A giugno dell’anno scorso il professore di Treviso e la moglie hanno aperto le porte di casa a sei giovani africani età compresa tra 20 e 30 anni arrivati da Gambia e Nigeria. Non avrebbero immaginato, allora, di “raccogliere” reazioni davvero contrastanti. Da una parte, insulti e critiche di chi li accusava di speculare, dall’altra, la piena e fattiva collaborazione dei vicini di casa. «Sono tutti trevigiani doc, alcuni hanno anche la bandiera della Lega alle finestre. Hanno compreso la situazione, e accolto la nostra scelta, dimostrandoci completa e concreta solidarietà. Sono venuti subito a chiedere se i ragazzi avessero bisogno di vestiti e cose da mangiare. Avevo anche invitato Matteo Salvini e a Luca Zaia a vedere con i loro occhi qual è la situazione».
Antonio Calò e la moglie ricevono al mese 900 euro per ciascun migrante, per un totale di 5.400 da gestire. Il modo con cui coprono le varie voci potrebbe essere un modello utile per un confronto e perché no, per ottimizzare le risorse impiegate dai Comuni in tal senso. Mille euro vengono utilizzati per la spesa, 600 per bollette e servizi domestici, 300 per la cooperativa e altrettanti per le spese sanitarie, 700 per una psicologa, 400 per costi legali e connessi ai ricongiungimenti familiari e i restanti 1.400 per una signora tuttofare. «Abbiamo voluto dimostrare che si può fare accoglienza creando anche posti di lavoro per gli italiani».
«Ci occupiamo di un’umanità emarginata, piagata dal dolore e dalle privazioni. Non sono ospiti, bensì futuri cittadini. Dobbiamo trattarli di conseguenza, promuovere la costituzione di piccoli nuclei nei Comuni, così da aiutare i migranti a formarsi e diventare parte integrante del tessuto cittadino».
Una storia che dimostra come, dal “particolare”, sia possibile intervenire sul “generale”, offrendo un’alternativa semplice ma davvero efficace. Per combattere diffidenza e pregiudizi, la cosa migliore è impegnarsi in prima persona. Darsi da fare e metterci la faccia vale più di qualunque proclama e dichiarazione d’intenti.