Italiani e lavoro: vorrei ma non posso
04.08.2015 16:26
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Leggo e rileggo il primo articolo della nostra -ben scritta- Costituzione e non smetto di ridere.
Eppure è un ridere amaro, irritato, nauseato.
La parola lavoro, associata all’Italia, ha quasi il sapore del ridicolo al momento.
Ma stiamo tranquilli, perché ci pensa Mr. Bean a risolvere tutto. Ci sta portando alla rinascita. Dice che la crisi si è allontanata.
Lui ovviamente riesce a constatarlo con mano da quando si è seduto sulla sua comoda poltrona eletto con convinzione dagli Italiani. D’altra parte lo dice proprio la Costituzione che la sovranità appartiene al popolo e che la esercita pure… ah no? Non è andata propriamente così??? Stranissimo…
Sorprendente leggere che poi, nonostante “l’utilissimo” Job Act (che poi usare la nostra bellissima lingua no, vero? Che già con i suoi tentativi di comunicare in inglese ci ridicolizza ogni volta) sfioriamo ancora il 30% di tasso di disoccupazione! E la cosa peggiore, leggevo Salzano e dati Eurostat, è che circa 4,5 milioni di italiani nel primo trimestre del 2015 ha smesso di cercare.
Aumentano i “vorrei ma non posso”.
Abbiamo perso anche le speranze? Perché in questo caso sarebbe come essere già clinicamente morti...
La motivazione principale sembra essere proprio lo scoraggiamento.
Complimenti Italia! Siamo per una volta in pole position in Europa. Percentuale di scoraggiamento anche più alta della Bulgaria.
Sempre da Salzano, pare che per ogni 100 lavoratori ce ne siano 15 che cercano un lavoro e 20 che vorrebbero lavorare ma hanno smesso di cercare perché sfiduciati.
Ora, al di là della fin troppo semplice critica ai “vertici”, personalmente credo che la problematica sia di ben più ampio raggio.
Sono gli scenari a essere cambiati, lo sfondo sociale e valoriale all’interno del quale ci muoviamo.
Eravamo un popolo dalle molteplici risorse che rispettava le sue radici e ne aveva cura; che faceva della sua storia il proprio vanto ed il proprio nutrimento.
Eravamo capaci di costruirci e riedificarci. Eravamo saturi di contenuti. Abbiamo sacrificato l’appartenenza a favore dell’apparenza.
Sapevamo scrivere, parlare, creare, “sporcarci onestamente le mani” con le attività più umili pur di lavorare e ne andavamo fieri. Avevamo dignità e rispetto.
La crisi oggi è una realtà, ma credo anche che rappresenti uno scudo, una sorta di giustificazione dietro la quale celare la nostra caduta libera, il nostro disimpegno, il nostro appiattimento, lla nostra crescente accidia.
Eravamo il popolo delle eccellenze. Oggi viviamo solo di quella eco che non siamo in grado di ristorare. Non conosciamo, non ci informiamo non ci attiviamo.
Ci hanno progressivamente spento i sogni, e, peggio ancora, le menti.
E di questo passo sarà sempre più semplice manovrarci e azzerarci pensieri autonomi.
Mentre facciamo la fila davanti a una delle boutique più chic per spendere gli ultimi spiccioli che ci restano, pur di apparire al top, c’è chi si occupa dei nostri interessi facendoli diventare i propri.
Ma che ci importa, alla fine la borsa super glamour è nel nostro armadio e...
«Ehi, guarda lì… cercano personale per il turno di notte, disponibilità immediata...
Beh… di notte? Subito? Ma come faccio? Ho già prenotato le vacanze… e poi io la sera ho la palestra poi devo riposare… E se lavoro di notte come faccio a dedicare tempo agli amici e al fidanzato?. Questo paese non offre nulla!».