Kabir Mokamel: la street art non è solo Bansky
Il misterioso graffitaro di Bristol è stato positivamente definito "il terrorista dell’arte".
Alcune delle sue opere sono ormai universalmente riconoscibili, fanno bella mostra di sé su gadget e magliette, spuntano da ogni angolo dei social network. Gli è stata addirittura dedicata una mostra (a sua insaputa, pare). Ma non esiste solo Bansky. La street art è una sottocultura che si estende a macchia d’olio su muri e pareti delle città di tutto il mondo.
L’obiettivo più alto a cui può aspirare un artista è che l’allievo superi il maestro. Qui Bansky è fonte d’ispirazione inconsapevole, ma le opere di Kabir Mokamel non hanno niente da invidiare al più famoso collega inglese.
Quarantaseienne originario di Kabul, Mokamel è tornato in patria dopo aver vissuto per anni in Australia. Il suo obiettivo è ricucire le ferite, curare con la bellezza e la nobiltà dell’arte le brutture della guerra. Per questo colora muri abbandonati, macerie, edifici distrutti dai talebani.
Donne dallo sguardo intenso, bambini che trasportano cuori, un fucile che spara arcobaleni, un grosso cerotto sull’intero Afghanistan. La prima opera risale al 2015. Due grandi occhi femminili sul tono dell’arancione. Si chiama Vi vedo e il titolo allude alle atrocità compiute dai nuclei estremisti. Messaggi di denuncia in un museo a cielo aperto che regalano speranza al popolo afghano.
La rivoluzione oggi si fa a colpi di bomboletta. Provate a non chiamarla arte.
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