L’invidia è un boomerang o un seme? Sei tu a decidere
Ci sono foto che parlano con più efficacia di un oratore "consumato"
1958, Beverly Hills, Usa. Sophia Loren e Jayne Mansfield sono sedute in un ristorante. La prima approfitta della vicinanza per guardare con malcelato scetticismo il decolletè della seconda. Sembra incredibile che persino un’attrice affermata e desiderata come la Loren possa aver conosciuto l’invidia e la competitività spesso sotterranea (ma tagliente) che caratterizza i rapporti tra noi donne comuni. Gli occhi dell’attrice italiana sono fin troppo eloquenti, è evidente che sia infastidita dalle attenzioni catturate dalla collega: la scollatura del vestito della bionda lascia ben poco spazio all’immaginazione.
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Parliamoci chiaro: è naturale provare una sottile gelosia per persone vicine, che percepiamo come simili, e che riscuotono apprezzamenti in ambiti per noi rilevanti. A fare la differenza, però, è come decidiamo di usare questo sentimento.
La strada più immediata e comoda da imboccare è quella di alimentare segretamente la speranza che la persona invidiata precipiti nell’infelicità. Un approccio, questo, che, comunque, ha un solo effetto (deleterio): confermare – inconsciamente - a noi stessi che siamo inadeguati. Ci convinciamo così che gli obiettivi raggiunti dagli altri siano fuori dalla nostra portata.
Crogiolandoci nell’invidia spostiamo l’attenzione da qualcosa che dovrebbe starci a cuore (come fare a ottenere quello che desidero?) a situazioni fuori dalla nostra sfera d’azione, e che non spostano una virgola nella nostra quotidianità. L’infelicità altrui, infatti, non porta nessun contributo concreto al miglioramento delle nostre vite.
L’invidia è un’emozione dolorosa, a tratti sgradevole. Uno stato d’animo paragonabile a camminare a piedi nudi su cocci di bottiglia. Il più che tangibile rischio che porta con sé è trasformarci in persone frustrate e rabbiose, se non addirittura convincerci che l’universo tutto congiuri contro di noi e non ci apprezzi. Per evitare di cadere in questa trappola mentale dobbiamo scegliere di fare il lavoro sporco. Vale a dire, spostare l’attenzione da ciò che è fuori, al dentro. Di cosa abbiamo bisogno? Quali risorse possiamo realisticamente mettere in campo per raggiungere i nostri obiettivi? Analizzare i propri limiti e punti di forza è decisivo, per smuovere le acque.
Il confronto ha senso solo se ci sprona a fare del nostro meglio con quello di cui disponiamo. Ostinandoci a competere su un terreno che non è il nostro, inevitabilmente, ci condanniamo a reputarci sempre e comunque perdenti. La prima e più importante forma di libertà di cui disponiamo è quella di valorizzare le nostre peculiarità. Solo così possiamo sfuggire alla tirannia del vittimismo e alla claustrofobica sensazione di essere costantemente vittima delle circostanze.
Quando le cose non mi divertono, mi ammalo (H.B.)
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