La legge morale dentro di me, la ferocia intorno a me
Prendiamola alla larga.
Quest’anno la mostra della mia Scuola di Fumetto aveva come tema “Underwater”, sott’acqua.
Bello. Intrigante. Stimolante. Quante meraviglie si nascondono sul fondo del mare?
Relitti di navi, specie aliene, civiltà perdute… e cadaveri.
Cadaveri? Aspetta un attimo, trova l’intruso.
Il mio cervello non ha potuto fare a meno di trovare un collegamento tra le ipotetiche meraviglie subacquee e uno dei drammi dei nostri tempi.
È rassicurante pensare che in fondo al mar ci siano Sebastian e la Sirenetta che improvvisano un musical. Ma i dati parlano chiaro. Nei primi 4 mesi del 2019 il Mediterraneo ha inghiottito 422 persone. La percentuale di morti più elevata sul totale delle partenze del 2019.
Dunque, anziché concentrarmi su enormi sottomarini o giganteschi polipi, aveva pensato a un’illustrazione sul tema delle morti in mare. Una cosa semplice e chiara: una ragazza africana che annega.
Nella fase di brainstorming, una ricerca ha tirato l’altra e così ho realizzato come si muore per annegamento. L’acqua pervade le vie respiratorie e, dopo alcuni dolorosi spasmi nel tentativo di introdurre ossigeno nel proprio organismo, si perde conoscenza e si entra in coma profondo. Ma non si è ancora morti.
Si deve arrivare all’anossia, ovvero totale mancanza di ossigeno e accumulo di anidride carbonica nel sangue, che porta a disturbi del ritmo cardiaco fino al totale arresto del muscolo.
Si dice che sia molto dolorosa come morte. Più sotto, nello stesso articolo, testimonianze di chi stava per andarsene in quel modo ed è stato infine portato in salvo. Non ho voluto continuare oltre.
Da qualcuno mi è stato dunque detto che il disegno era un po’ troppo “forte da digerire” per come l’avevo concepito.
Ho optato dunque per qualcosa di più nice, meno impegnativo.
Vi dirò che le recenti notizie sulla capitana Carola Rackete mi hanno fatto pentire di non aver dedicato la mia illustrazione a questo tema.
Sì, magari è una cosa piccola, insignificante.
Ma nel clima di questi giorni mi sarebbe piaciuto dare volto grafico, una mia opinione a matita su questo dramma.
Perciò, anche se molto è stato già detto, ho avvertito l’urgenza di intervenire a riguardo, quantomeno a parole.
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«Lo impediremo con qualunque mezzo democratico. Mi sono rotto le palle» urla stizzito il ministro Salvini giorno 26 giugno. Carola era consapevole, nel momento in cui è sbarcata, di andare incontro alle responsabilità legali delle sue azioni.
Probabilmente ciò che non si aspettava erano quegli improperi disumani che le sue orecchie hanno dovuto ascoltare quando ha messo piede nel porto di Lampedusa.
Ma se un premier utilizza un linguaggio semplicistico, superficiale, facilone, gli asini si permettono di ragliare (con tutto il rispetto per gli asini).
Ma cosa sarebbe successo se la Rackete avesse eseguito passivamente gli ordini? Certamente, ulteriori numeri si sarebbero sommati ai suddetti.
Troppo facile sindacare dal pulpito dei propri divani, mentre si digita forsennatamente con mani unte il proprio odio e la propria cieca ignoranza. Dire «Riportateli in Libia!».
Non so cosa avrei fatto io al posto di Carola. Cosa avrei fatto se delle persone, guardandomi negli occhi, mi avessero detto.
«Non ti chiediamo di provare le loro sofferenze. Aiutaci ad alleviarle»
«Piuttosto che tornare in Libia, preferirei morire. Preferirei dare la mia vita ai pesci piuttosto che essere nuovamente torturato».
«In prigione ho visto così tanti stupri, torture. La Libia è un inferno, le donne vengono violentate, picchiate. Gli uomini torturati per denaro».
So che per tante persone queste parole avranno poco peso, dal momento che si inneggia allo stupro come metodo punitivo.
Troppo facile giudicare quando gli eventi non si vivono sulla propria pelle.
La legge va affrontata e anche le conseguenze delle proprie azioni, certo. Ma i numeri restano. E il criminale è chi uccide, non chi salva vite.
E non posso far a meno di pensare, interrogarmi sul perché ci siano alcuni esseri umani che in questi giorni, nelle stesse acque trovano refrigerio dalla calura tra un gelato e una partita di biliardino mentre per altri le stesse, medesime acque, sono il loro letto di morte, il non-luogo in cui non sono più padroni della loro vita.
Solo della loro morte.
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