Le chiamavano “formiche argentine”
La moltitudine, lenta ma inesorabile, avanzava brulicando e muoveva all’attacco delle zone coltivate.
Era formata da esseri piccoli e poco significanti ma molto prolifici, che traevano forza dal numero sterminato e dalla compattezza dei ranghi. Erano le formiche argentine, originarie del Sud America: ai primi del Novecento, nella riviera ligure, la loro avanzata fu una sorta di piaga biblica, qualcosa di minaccioso quanto inatteso, che non si poteva bloccare o tanto meno ignorare e che arrecò gravi danni alle colture.
L’inquietante fenomeno fu poi celebrato dalla penna di Italo Calvino, che ne fece una sorta di epopea.
Lo scrittore descrisse magistralmente le futili e talvolta ingenue reazioni degli abitanti della riviera, presi alla sprovvista da nemici così piccoli, quasi incorporei e tuttavia resi potenti dal numero enorme. Ne emersero tre linee di condotta: vi fu chi scelse lo scontro frontale a base di trappole e veleni che, peraltro, sortirono ben poco effetto; altri preferirono ignorare il problema e altri ancora, dopo qualche inutile contromossa, conclusero che l’unica soluzione possibile era la convivenza con i piccoli ma ineliminabili invasori.
Come non cogliere le analogie tra questa appassionante vicenda e un altro moderno movimento di massa, ben più inquietante del primo, che sta oggi premendo sulle frontiere europee?
Il flusso dei migranti e dei rifugiati, infatti, formato da individui ben più significanti delle formiche, sta assumendo numeri quasi altrettanto imponenti. È una marea di adulti e bambini che non mirano a invadere ma piuttosto a sfuggire realtà che non permettono loro di vivere in modo dignitoso e sono perciò disposti a sfidare ogni difficoltà e anche la morte.
Gli europei, a somiglianza dei coltivatori della riviera ligure, hanno reazioni che oscillano tra l’ostilità, l’indifferenza e la ricerca di una formula, peraltro non facile, che assicuri la convivenza pacifica. C’è solo da sperare che prevalga quest’ultima tendenza, motivata da interessi sinceramente umanitari. Certo i problemi degli esuli, che arrivano giorno dopo giorno ai confini europei, andrebbero risolti nei loro Paesi di origine.
Tuttavia, in attesa che ciò accada, è opportuno ricordare che molti europei, non troppo indietro nel tempo, si sono stabiliti all’estero, talvolta come colonizzatori/invasori e altre volte come immigrati in cerca di maggior libertà e di nuove opportunità di lavoro. Ora tocca all’Europa essere meta di immigrazione e agli europei dare un esempio di accoglienza pacifica e civile dei nuovi venuti.
Alberto Rossin