Le parole sono pietre. Prima di scagliarle, assicurati di aver letto un libro di storia
Il passato ha tanto da insegnare. A condizione di essere realmente intenzionati a conoscerlo e studiarlo
Negli ultimi vent’anni l’attenzione delle istituzioni pubbliche, delle organizzazioni culturali e dei media nei confronti degli eventi che, nel Novecento, hanno sancito la discriminazione di molteplici – cosiddette – minoranze è cresciuta in maniera considerevole. Eppure, questo non implicato, in parallelo, la condivisione massiva della memoria e la sua metabolizzazione, la diffusione ed il potenziamento dell’empatia, ed un uso più consapevole del linguaggio.
Qualche esempio in ordine sparso: la parola fascista viene tirata in ballo negli ambiti più disparati, spesso amplificando e drammatizzando la portata di proposte e dichiarazioni che, in concreto, avrebbero un’incisività e rilevanza limitata, se non prossima allo zero. L’etichetta di bullismo viene appiccicata addosso a qualunque scaramuccia tra compagni o amici, dimenticando che tutti quelli che hanno più di 30 anni, durante l’infanzia e l’adolescenza hanno dovuto confrontarsi con commenti variamente salaci per poi sviluppare gli anticorpi necessari a crescere e strutturare la propria personalità.
Quanto alla memoria storica, il suo appiattimento ed uso a mo’ di boomerang si riassume emblematicamente in due parole: cancel culture. Una tendenza, questa, finalizzata a re-visionare e classificare alla luce delle attuali categorie di pensiero, manufatti culturali prodotti nel passato. Con la prima, più immediata e disastrosa conseguenza di interdire alle nuove generazioni lo studio delle opere di intellettuali, artisti e registi ritenuti colpevoli di politicamente scorretto e quindi destinati a essere stigmatizzati e banditi. Come se non esistesse, invece, un’alternativa all’apologia e alla lettura acritica: vale a dire, l’analisi ragionata, supportata da un docente, e volta alla contestualizzazione in una ben precisa temperie storico-sociale. Cercasi disperatamente concetto di profondità e sua applicazione…
Perché, proprio oggi, una riflessione su questo tema? Perché l’appiattimento e l’omogeneizzazione storica e linguistica rischiano di diventare un automatismo. Un atteggiamento la cui pericolosità si disvelerà di colpo (e senza poterla arginare in modo efficace) esattamente come succede a chi, indisturbato, per mesi sfreccia sotto un semaforo rosso, finché ci pensa un patatrac a fermarlo.
Il 27 gennaio si è celebrata la Giornata della Memoria, segnalibro ideale il cui compito è tenere vivo il ricordo delle vittime dell’Olocausto e, tra tutte, si sono imposte alla mia attenzione le parole del responsabile tedesco dell’organizzazione Human Rights Watch, che ha messo in guardia contro un perfido cliché comparso negli ultimi mesi. Quello che equipara i milioni di persone discriminate, deportate, ridotte ai minimi termini e quindi assassinate durante l’Olocausto, a chi non vuole vaccinarsi contro il Covid19 e rifiuta l’obbligo di Green Pass. Così, è ormai la normalità (?) veder brandire nel corso di manifestazioni novax cartelloni su cui è rappresentata la Stella di David, e/o su cui sono scritte parole come fascismo e dittatura sanitaria.
Due torti, però, non fanno una ragione. Certamente le istituzioni hanno gestito e continuano a gestire l’emergenza sanitaria in modo caotico, a tratti improvvisato, e a questo si aggiunge il presenzialismo e le velleità da influencer di molti sedicenti esperti impegnati costantemente nel giro dei salotti TV riuscendo nella mirabolante impresa di contraddirsi a distanza di qualche settimana, e l’imposizione del Green Pass rafforzato per fare ormai quasi qualunque cosa. Il tutto, mentre ormai garantire il rispetto dell’obbligo di distanziamento sociale e uso della mascherina è praticamente pura utopia (salire su un mezzo pubblico a propria scelta per rendersene conto).
Di contro, il continuo alzare i toni di chi non intende vaccinarsi e la strumentalizzazione di concetti storici ancora vivi sulla pelle e nella carne di molti, a chi giova, concretamente? (Probabilmente ai salotti TV che si cibano di teatrini orchestrati in cui radicalizzare gli scontri e le differenze) A cosa serve? Di sicuro, non a evitare la spaccatura sociale e di trasformarci in cani che si sbranano l’un l’altro.
E l’altra, amara certezza, è che, pur con tutte le sue lacune e storture, quella in cui viviamo non si può definire una dittatura sanitaria. (Ri) guardare il film Le vite degli altri per credere…
I ricordi non sono la chiave del passato, ma del futuro (Corrie ten Boom)
Quando le cose non mi divertono, mi ammalo (H.B.)
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