Lydda Wear: la battaglia (vinta) per il diritto dei disabili alla normalità
L’abito non fa il monaco è una mezza verità
Infatti, se pretendere di inquadrare una persona basandosi principalmente sul suo aspetto esteriore è indiscutibilmente ridicolo, è un dato di fatto che per vestirci scegliamo (o dovremmo scegliere) qualcosa che rappresenti, almeno parzialmente, l’idea che abbiamo di noi stessi.
L’abbigliamento che indossiamo rappresenta una sorta di seconda pelle, immaginata e voluta, a differenza della prima, che ci viene “offerta in dotazione” in modo assolutamente casuale. E solo se ci sentiamo a nostro agio al suo interno acquisiamo disinvoltura e sufficiente autostima, “ingredienti” fondamentali per vivere un’esistenza soddisfacente, caratterizzata da relazioni nutrienti e stimolanti.
Tuttavia, non sempre l’espressione di ciò che sentiamo di essere si concretizza con facilità, in quanto la conoscenza e consapevolezza del nostro corpo, delle sue risorse e dei suoi limiti, è il frutto di un processo lungo e, talvolta, accidentato.
Dunque, se già chi viene definito normale, nel senso che non è affetto da patologie particolarmente invalidanti, deve fare i conti con un rapporto spesso tormentato e complesso con la propria identità esteriore, è facile immaginare quanto siano amplificate le difficoltà, per chi convive con un qualche handicap.
Non è un caso, quindi, che l’elaborazione di soluzioni concrete e pratiche al problema sia arrivata da persone che vivono quotidianamente e direttamente il tema della diversità, con tutte le sue implicazioni.
Lydda Wear è un’azienda di Terrassa Padovana (Pd) che, unica in Italia nel suo genere, progetta e realizza capi d’abbigliamento destinati a persone affette da una qualche patologia invalidante. A oggi il marchio, con i suoi 600 prodotti, risponde alle esigenze di utenti colpiti da 200 malattie, dalla tetraplegia all’Alzheimer.
Come lavora Lydda Wear?
Pier Giorgio Silvestrin ha ideato il marchio in collaborazione con la moglie Catia, biologa che cura la comunicazione web e si occupa delle questioni scientifiche connesse al confezionamento dei capi.
La pregressa esperienza come sarto ha consentito a Pier Giorgio Silvestrin di strutturare il processo di scelta/realizzazione/acquisto in modo tale da consentire ai clienti di indossare qualcosa che fosse – letteralmente – tagliato su misura delle loro esigenze. Così, ciascuno può scegliere dal sito l’indumento che preferisce, tra quelli proposti, e compilare una scheda inerente dati e misure personali. Successivamente riceve a casa alcuni prototipi da provare e rimandare a Lydda Wear corredati da indicazioni e suggerimenti ad hoc. Infine viene confezionato e spedito il capo di vestiario, insieme a un catalogo di tessuti da consultare per gli ordini successivi.
Cambiare pelle all’insegna di un imperativo: realizzare prodotti su misura, ma industriali
Il padre di Pier Giorgio Silvestrin era, a sua volta, sarto, e nel 1973 aveva fondato un’azienda di confezioni tradizionali che produceva capi d’abbigliamento in conto terzi per note marche della moda milanese. “Negli anni 80 abbiamo tagliato tantissimi jeans El Charro, come pure buona parte della giubbotteria Trussardi Sport”.
Il rischio sarebbe stato, quindi, sulla scia della pressante esternalizzazione in Est Europa ed Oriente compiutasi tra gli anni Novanta e il Duemila, di trovarsi davanti a un bivio e, nella peggiore delle ipotesi, chiudere i battenti.
La sorte dell’azienda prende però un’altra piega: il fratello di Pier Giorgio Silvestrin è stato colpito, alla nascita, dalla patologia della spina bifida. Così, la sua vita è stata scandita dal rapporto indissolubile con la sedia a rotelle, e per i genitori è stato naturale, quasi scontato, esprimere il loro amore e dedizione confezionando dei pantaloni che rispondessero appieno alle sue esigenze di vestibilità, comodità … e normalità.
“I jeans, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, richiedono un ciclo di lavoro complesso e sofisticato. Tuttavia, i miei genitori riuscirono nella sfida di decostruirli e ricostruirli: realizzarono un prodotto più alto dietro e più basso davanti, in modo da coprire la schiena e ovviare a fastidiose compressioni. Senza contare la laboriosa procedura per renderli il più possibile simili a quelli indossati da un normodotato. Ovviamente volevano ottenere un prodotto che consentisse a loro figlio di sentirsi, nonostante tutto, vicino ai suoi coetanei”.
Macinare numeri ed esperienze
La produzione pilota parte nel 1993, ma sin da subito Pier Giorgio Silvestrin e i suoi si rendono conto che devono osare, e pensare in modo più ampio, perché il settore ortopedico – sanitario è decisamente troppo angusto e limitante. Quattro anni dopo arriva il sito Internet e nasce ufficialmente il marchio Lydda Wear.
Nel 2000 l’azienda supera i 500 clienti; nel 2004 triplica la cifra e inaugura un sito destinato esclusivamente all’ecommerce e una stazione CAD finalizzata all’ideazione dei modelli su computer.
Nel 2010 i clienti sono 5.000, e con loro arrivano anche i riconoscimenti da parte dei mezzi di informazione. Lydda Wear vince infatti il Sodalitas Social Award.
La normalità è un concetto relativo, ed ha un senso solo se viene riempito – e declinato – sul corpo di ciascuno, prendendo vita attraverso le sue peculiarità. Normalità non è imporre una regola, ma accettare che il mondo è popolato da miliardi di eccezioni. Ognuno di noi ne è portatore sano.