Malìalab: torno a casa e apro un atelier di moda ecosostenibile
Il southworking.
Fenomeno esploso durante la pandemia, corrente del lavoro 2.0 che ha spinto molti professionisti, complice la possibilità di gestire la propria attività da qualsiasi luogo del globo, a tornare ai paesi di origine.
Unica condizione? Possedere un computer e una connessione tramite i quali collegarsi quotidianamente agli uffici di Roma, Torino, Milano, anche da uno sconosciuto posto dell'entroterra.
Molti fuori sede hanno riscoperto che il caldo fino a novembre e la pausa pranzo vista mare non erano poi così male. E se per alcune persone ciò ha significato un momentaneo ritorno al buon cibo e al sole, per altri è stato un vero e proprio addio al Nord, completando un processo avviato anche prima del famigerato 2020.
Malìalab, ritorno alle origini
Tra questi, vorrei raccontarvi la storia di Malìalab, laboratorio artigianale di moda ecosostenibile, che già dal nome sembra evocare qualcosa di magico.
E un po’ di magia in effetti c’è nella storia di Flavia Amato, giovane stilista e modellista calabrese tornata a casa dopo un percorso formativo nelle Marche, durato la bellezza di otto anni, tra università, corsi e stage in grandi aziende di abbigliamento.
Ma questo mondo non convince Flavia.
«Venire a contatto con una realtà così artificiosa e poco veritiera (il processo di produzione poco pulito, vari espedienti per minimizzare i costi, simulazione di made in Italy, chi più ne ha, più ne metta), mi ha delusa molto, al punto di desiderare di abbandonare l’azienda per scegliere di intraprendere una strada diversa. Così ho scelto di seguire un corso di formazione annuale di Startup con l’ISTAO, dove sono stata scelta fra le dieci startup più innovative del piceno. Il mio sogno era di creare un atelier, dove unire le mie passioni per la salute, il biologico e la moda, fondendole con la manifattura artigianale e uno stile accattivante» scrive sul sito dell'azienda.
Evidentemente il Sud era rimasto nel cuore di Flavia e con lei la voglia di riscatto e di rivalsa su una terra aspra e difficile, ma che, se si sa guardare oltre le difficoltà oggettive, ha ancora tanto da offrire.
Così sceglie di tornare a Guardavalle Marina, un paese di 2000 anime sulla costa ionica. Insieme al suo ragazzo, fa le valigie e recupera un vecchio locale al centro del paese, proprietà dei genitori, per trasformarlo in un laboratorio tessile.
Malìalab, fare impresa al Sud
Canapa, seta, bambù, cotone, mais, alpaca, latte. Una rosa variopinta di materie prime per realizzare capi che mirino a un risultato qualitativo superiore e che abbiano un impatto minimo sull’ambiente. I tessuti vengono poi accuratamente cuciti e realizzati in laboratorio su misura del cliente, per un design elegante e unico.
Chiaramente, il percorso di Flavia e del suo Malìalab non è stato così semplice e mmediato.
«Fare impresa in generale non è facile, soprattutto se sei al sud, soprattutto se sei donna e soprattutto se sei sola e non hai molti soldi da impiegare, io ci metto tutta la buona volontà e l’impegno che posso. Nella mia sartoria biologica realizzo e confeziono capi di abbigliamento seguendo valori di confezione antichi, per creare capi che durano nel tempo. Il mio è un nuovo concetto di moda: artigianale e sostenibile, che guardi al benessere del corpo e dell’ambiente, ma soprattutto che si discosti dal consumismo e crei essa stessa tendenza».
Malìalab, recuperare i vecchi mestieri
Malìalab si inserisce anche in un percorso di recupero dei vecchi saperi. Il tessile anticamente era uno dei settori trainanti della Calabria e sarebbe un peccato perdere completamente le tradizioni. Peraltro, in un’Italia che ha già molte difficoltà a trovare persone che portino avanti le aziende di famiglia o le professioni di padri o nonni.
Quindi non possiamo che fare il tifo per Flavia, sperando che sempre più persone seguano il suo coraggioso esempio.
«Quando ho iniziato sapevo che le difficoltà sarebbero state tante, ma non mi sono data mai per vinta. Se c'è una cosa che posso consigliare a chi vuole perseguire i propri sogni, è mai darsi per vinti. L'importante è accettare che il fallimento più grande, non è la sconfitta, ma il non averci provato».
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