Ofree: se si facessero donazioni con i videogiochi?
Qualche tempo fa mi colpì un video
Un filmato su un uomo cieco che chiedeva l’elemosina per strada. Inizialmente, stava lì, passivamente, ad attendere che la gente gli buttasse qualche spicciolo. Qualche minuto dopo arrivava una donna che cambiava il cartello che lui stesso sfruttava per racimolare qualche soldo. Il cartello recitava: "Sono cieco, aiutatemi a vedere”. La donna l'aveva riscritto in questa maniera: “È una splendida giornata e io non posso vederla". In un attimo una pioggia di soldi si era riversata nel suo cappello.
L'importanza del punto di vista
A volte il successo di qualcosa dipende dalla forma nella quale quest'ultima viene proposta. Se ad esempio si riuscisse a fare beneficenza raggiungendo obiettivi come nei videogames rappresenterebbe certamente un modo nuovo e originale di approccio.
Se nei videogiochi di oggi è possibile al momento solo salvare universi digitali e fanciulle virtuali, con Ofree potrebbe davvero essere possibile iniziare a cambiare le cose.
L’idea è venuta a Nicolò Santin, con l’intento di unire divertimento e fini solidali. La scintilla è arrivata dopo che Nicolò aveva visto i miliardi di dollari ottenuti in visualizzazioni con il video Gangnam style di Psy.
«Di fronte a una cifra simile ho capito che se si potesse coinvolgere il mondo in una impresa titanica analoga ma con finalità benefiche, le persone sarebbero state più felici, se la partecipazione avesse richiesto qualcosa di divertente, come giocare ai videogiochi»
Ofree, fare beneficienza con i videogiochi
Nicolò ha poi coinvolto altre quattro persone (età media: 28 anni, una si è appena dimessa dal proprio posto di lavoro per seguire a tempo pieno il progetto) e fondato Ofree, la startup che permette di guadagnare soldi semplicemente videogiocando e senza nemmeno tirare fuori un euro.
Ofree si è piazzata prima in diverse competizioni, da Milano Startup Weekend a Startuppato senza dimenticare il riconoscimento portato a casa da Lean in EU Women Business Angel.
Attualmente cerca finanziatori: «Abbiamo già coinvolto quattro aziende – ci racconta Nicolò – e una quinta, molto grande, dovrebbe aggiungersi: sono pronte a comparire sulla nostra piattaforma in altrettanti videogiochi, ma è essenziale trovare tanti finanziatori per fare massa critica».
Un playstore solidale
L’utente, tramite il proprio smartphone, accederà a Ofree, scaricando un videogame scelto tra quelli presenti negli scaffali virtuali. Selezionato il titolo, giocherà e guadagnerà monete virtuali che potrà investire in progetti benefici.
Dunque da chi arrivano i soldi? Non dal giocatore ma dall’azienda che sponsorizza il videogioco. Giochi un po’ diversi dal solito in cui è il marchio ad essere al centro del concept. Si tratta infatti di advergame: immaginate un gioco in cui, impugnando una carabina, bisogna colpire i barattoli posti su un muretto e i suddetti barattoli sponsorizzino alcune marche.
Spesso, sono considerati titoli di serie B (se non inferiore) ma, se ben sviluppati e se lo sponsor non è troppo invadente, il risultato può essere di qualità.
«Con la diffusione degli smartphone, la platea dei videogiocatori si è allargata esponenzialmente» osserva Nicolò. «Un tempo videogiocavano esclusivamente adolescenti e maschi: oggi, anche in metropolitana, è possibile osservare signore di una certa età intente a coltivare verdura digitale o assorte ad allineare pile di caramelle colorate. Questo aspetto fa sì che si possa coinvolgere nelle campagne di beneficenza una pluralità indeterminata di persone: si stima che, entro il 2020, i videogamers passeranno da 2 miliardi a 2 miliardi e seicentomila unità»